Tutti a parte mio marito

Tutti a parte mio marito

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Caroline Vignal torna ad affidarsi all’eccellente Laure Calamy in Tutti a parte mio marito, commedia che si interroga sul desiderio femminile e sul suo essere inappagato. Brillante, a tratti divertente, ma un po’ sterile, il film di Vignal tradisce il suo spunto eversivo con una ricomposizione finale che svela il borghesismo dello sguardo della regista.

Desiderio inappagato

Iris ha un marito apparentemente impeccabile, due figlie meravigliose, uno studio dentistico con un flusso inarrestabile di clienti, un bell’appartamento in una zona che ama, amici che la capiscono… E presto compirà 50 anni. Un giorno un pensiero comincia a farsi spazio nella sua testa: “Fatti un amante”. Iris apre il vaso di Pandora e i candidati emergono come dal nulla, come se piovessero uomini. [sinossi]
Humidity is rising
barometer’s getting low
According to all sources
the street’s the place to go
‘Cause tonight for the first time
Just about half-past ten
For the first time in history
It’s gonna start raining men
It’s Raining Men

Il titolo originale di Tutti a parte mio marito (che ha anche un sottotitolo, It’s Raining Men, dovuto alla presenza in scena della celeberrima canzone qui interpretata dalla protagonista Laure Calamy) è Iris et les hommes, che per un cortocircuito cinefilo rimanda alla mente il misconosciuto Josiane et les hommes, che nel 1977 vide esordire alla regia quell’Alain Deruelle più noto agli amanti del softore con i nomi di Alain Thierry e Allan W. Steeve. Gli apparentamenti tra il film di quarantasei anni fa e il nuovo lavoro di Caroline Vignal terminano qui, ma è interessante notare come il cinema francese stia lavorando sul desiderio e l’eros scegliendo come posizionamento uno sguardo prettamente femminile: è infatti notizia di questi giorni che la nuova opera di Audrey Diwan dopo il Leone d’Oro conquistato con La scelta di Anne sarà una rilettura di Emmanuelle con protagonista Noémie Merlant. Per quanto concerne Tutti a parte mio marito non ci si muove in territori altrettanto arditi, e men che meno torbidi, ma si tenta la carta della commedia briosa partendo da un espediente narrativo vecchio come il cucco e anche abbastanza abusato in un secolo di vita della macchina-cinema. Iris ha poco meno di cinquant’anni, è sposata e con due figlie oramai in piena pubertà, e un lavoro appagante. Con suo marito però non c’è più non solo alcun trasporto erotico, ma il benché minimo rapporto sessuale da quattro anni. Una situazione frustrante per la donna, che riceve però dall’esterno una illuminazione: se questa è la situazione tra le mura domestiche, perché non andare a cercare fortuna sessuale al di fuori? Dopotutto in un’epoca di app incontrare uno o più amanti è solo questione di qualche clic e un paio di chat.

Da qui parte, in forma canonica, un racconto di liberazione delle pulsioni femminili che ben si inserisce nel contesto attuale e nella discussione sul ruolo della donna all’interno della società ma che testimonia proprio nel suo seguire in modo abbastanza pedissequo una prassi narrativa quanto tali riflessioni siano ben ancorate alla storia stessa del cinema e della rappresentazione. Ciò detto Caroline Vignal sceglie il tono della commedia brillante, senza disdegnare incursioni nella pochade e digressioni vagamente lisergiche, come per l’appunto l’utilizzo di It’s Raining Men – cantata dalla protagonista in francese – che dà l’aire per una sequenza in odor di musical, a dimostrazione della volontà di muoversi in modo completamente libero, e di giocare tanto con la trama quanto con l’immaginario cinematografico. Se questo aspetto può risultare anche interessante, la riuscita delle sequenze comiche la si deve all’eccezionale verve di Laure Calamy, che torna a girare con Vignal a tre anni di distanza da Antoinette dans les Cévennes, vale a dire per il pubblico italiano Io, lui, lei e l’asino – la regista non ha una particolare fortuna con l’adattamento dei titoli, a quanto pare. Anche lì si parlava di tradimenti, e anche in quel caso la timbrica scelta era quella della commedia briosa, ma Antoinette dans les Cévennes Io, lui, lei e l’asino contava su una ambientazione davvero fuori dai canoni (il Parco nazionale delle Cevenne, nel sud-est del Massiccio Centrale).

Ricondotta sui binari della commedia urbana, tecnologicamente caratterizzata, Vignal non riesce a tenere il ritmo della narrazione, e così Tutti a parte mio marito rischia una volta scoperto il gioco da parte dello spettatore di girare un po’ a vuoto, ancorandosi alle soluzioni comiche più riuscite ma senza essere mai in grado di approfondire davvero l’intimità del personaggio attorno a cui ruota l’intera narrazione. Tratteggiata con superficialità, la vita quotidiana di Iris non può che restare superficiale, anche se Calamy si impegna in ogni modo per garantire al personaggio quella rotondità che dalla sceneggiatura non pare mai emergere. Si ride del miserando campionario maschile che viene a galla, e in questo Vignal dimostra di avere qualche asso nella manica, anche da un punto di vista registico, ma l’impressione è che il film non abbia particolare voglia di elaborare un pensiero che superi la semplice boutade. Così, all’interno di un film che vorrebbe dichiararsi a suo modo “eversivo” (la donna ha diritto di trovare il piacere dove vuole) la morale che si evince è prettamente borghese, così come la sua chiusura accomodante, famigliare, priva di asperità di sorta. Cinema edulcorato anche quando parla di sesso, asettico anche quando ama immaginarsi inventivo, divertente come una barzelletta della quale si ride e la si dimentica in fretta.

Info
Tutti a parte mio marito, il trailer.

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