Dieci minuti

Dieci minuti

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Maria Sole Tognazzi torna alla regia nove anni dopo Io e lei con Dieci minuti, che sembra un bignami di psicoterapia applicata al cinema, pieno di dubbi esistenziali e frasi profonde, come piace agli spettatori (e ai lettori) pigri di oggi. Convincenti in ogni caso le performance attoriali.

Comfort Zone

Dieci minuti al giorno possono cambiare il corso della giornata. Dieci minuti facendo qualcosa di completamente nuovo, possono cambiare il corso di una vita. Questo è quello che scoprirà Bianca nel pieno di una crisi esistenziale. Nuovi incontri, la scoperta di legami speciali e l’ascolto di chi ci ha sempre voluto bene. A volte basta poco per ricominciare. [sinossi]

A un certo punto, nel corso di Dieci minuti, esplodono le note e la voce di Aznavour, sempre magnifiche, di Hier encore, dove il grande cantautore chansonnier canta del tempo che fugge, e del tempo sprecato a fuggire, a vivere di notte, a fare follie. Tutto il contrario di Bianca (Barbara Ronchi), quarantenne romana, da sempre insicura, paurosa, inerte, da poco mollata dal marito con cui ha convissuto per quasi metà della sua vita. Una catastrofe che le toglie il respiro e la voglia di vivere. Per questo la sua terapeuta, la dottoressa Brambati (Margherita Buy), poco incline alle pacche sulle spalle, ma anzi dura e persino brutale, le “prescrive” di fare azioni diverse dal solito, per almeno dieci minuti ogni giorno. In questo percorso di rinascita, Bianca è supportata dalla sua sorellastra più giovane, Jasmine (Fotinì Peluso), che non aveva mai incontrato prima di quel momento, dato che il padre ha tenuto ben separate le due famiglie. Per farla breve, forzare un po’ la mano per mettere in pratica quello che è oramai un mantra predicato trasversalmente da terapeuti, counselor, motivatori e allenatori di arti marziali che è “uscire dalla comfort zone”. È questo il pre-testo di Dieci minuti, quinto lungometraggio di Maria Sole Tognazzi, a nove anni di distanza da Io e lei (2015). Espressione che nel film non viene mai usata, ma il succo è quello. Nel caso di Bianca, in particolare, si tratta di recuperare lo sguardo e l’udito. Perché il problema fondamentale di Bianca, alla base anche della fine della sua storia d’amore con Nicolò, è che non si accorge di niente. Non vede. Non ascolta. O meglio, sente, ma non ascolta. Vede, ma non registra, non prende atto, chiusa com’è fra le quattro pareti buie della sua mente, una stanza senza porte da cui non riesce a uscire. Ecco dunque che presentarsi al funerale di uno sconosciuto, rubare un vestito in un negozio o leggere un testo in pubblico sono tutte azioni random che però, secondo la dottoressa, servono allo scopo.

Quello che poteva essere un ottimo spunto per una commedia vivace e magari anche (finalmente!) spiazzante – compiere azioni che provocano disagio, paura anche un po’ schifo nel personaggio e quindi anche negli spettatori –, si riassorbe subito in un bignami di psicoterapia applicata al cinema, pieno di dubbi esistenziali, occhi umidi e frasi profonde, come piace agli spettatori (e ai lettori) pigri di oggi. Ed è proprio in questa retorica rimasticata, in questo sciorinare scontatezze con la voce dolente e il sorriso amaro che Dieci minuti e il quasi omonimo romanzo di Chiara Gamberale (Per dieci minuti, 2013) s’incontrano e matchano alla perfezione. La retorica, nel caso del film, non ha a che fare soltanto con la riscrittura del testo di partenza – a opera della stessa regista e della sua collega Francesca Archibugi – quanto con la prospettiva. Che sempre più spesso, nel cinema come in certa letteratura, è una prospettiva assertiva, in cui cioè tutto viene detto, in cui si finge una ricerca (di parole di immagini di senso) quando in realtà è tutto già preordinato, previsto, pre-scritto. Cinema come prescrizione, come ricetta di vita. Come consiglio del giorno. In tutto questo a farne le spese è ovviamente la profondità, che invece è ricerca, apertura su se stessi e sul mondo, che richiede di uscire (davvero) dalle quattro pareti della propria mente assieme ai propri personaggi, anziché limitarsi a muoverne i fili. Porre domande senza affrettare le risposte, come del resto fanno i veri psicoterapeuti con i loro pazienti. Oppure no, oppure si può continuare così, accompagnando questo sfoggio fintamente dimesso di “verità parlate” (anziché vissute), confezionate con immagini calde, ricercate e ben calibrate, innaffiate con musiche leziose di violini che s’impennano a ogni sussulto dell’animo, a ogni emozione telecomandata. Si può, certo che sì. Però in tal modo, anziché parlare della realtà, di vite vere e di persone reali, si rimane nella comfort zone della fiction, della scrittura a tavolino, sicuri di incontrare il favore di quei salotti-bene sempre pron(t)i ad applaudire un cinema composto, moderato, predigerito, mai sorprendente.

In tutto questo, lo sguardo sul femminile è quello di un naturale tragitto verso la sorellanza, e cioè il reciproco conforto, il farsi forza tra donne, in quanto donne. Il prevalere della solidarietà su una iniziale diffidenza. Gli uomini sono come al solito assenti, inaffidabili, narcisisti o più semplicemente stronzi. Sono deboli persino nella loro forza, gli uomini, proprio come Nicolò, il compagno di Bianca, che alla fine sbotta perché ha bisogno anche lui di essere visto e considerato: a parte qualche battuta di sfogo a suo carico tra Bianca e Jasmine, non subisce condanne, anzi, gli viene dato modo di spiegarsi, di fornire la sua versione dei fatti. Anche qui, dunque, nessuna emozione troppo forte: i toni sono smorzati, è una battaglia in cui si spara a salve, in cui sulla rabbia prevale una mesta rassegnazione. Soprattutto ciò che conta, per la donna, dopo aver sfiorato l’abisso, è ripartire da sé. All’uomo rimane, forse, il rimpianto di aver (re)agito con rabbia, senza ben pesare le conseguenze, e dopo è troppo tardi: non rimane che uno sguardo triste, forse di rimpianto, colto attraverso lo specchietto retrovisore dell’automobile in sosta rifornimento. Buona la prova delle attrici, in particolar modo si apprezza la freschezza di Fotinì Peluso e, per una volta, l’irresistibile ruvidezza di Margherita Buy. Sempre che ci si voglia accontentare.

Info
Il trailer di Dieci minuti.

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