Gilda

Torna sulla Croisette il cult noir Gilda di Charles Vidor, già in concorso al Festival di Cannes nella prima edizione del 1946 e adesso riproposto in versione restaurata nella sezione Cannes Classics. A distanza di quasi ottant’anni, l’entrata in scena di Rita Hayworth, i suoi numeri musicali e i vestiti creati per lei da Jean Louis mantengono il loro fascino magnetico, ricordandoci ancora una volta che l’industria dei sogni concede alle sue stelle più splendenti l’immortalità e l’eterna giovinezza.

Put the Blame on Mame

Johnny Farrell lavora per Ballin Mundson, il proprietario di un casinò in una città del Sud America, e diventa rapidamente il suo braccio destro. Tutto sta andando bene finché Mundson non torna da un viaggio con la sua nuova moglie Gilda, una donna del passato di Johnny. Ignaro della loro precedente relazione, Mundson affida a Farrell il compito di fare di Gilda una moglie fedele. Piena di odio, Gilda fa del suo meglio per infastidire, intimidire e suscitare gelosia in Farrell… [sinossi]

Lo squilibrio narrativo di Gilda parte dall’incipit, dal primo incontro e dallo strano e fin troppo frettoloso legame tra il bellimbustoJohnny Farrell (Glenn Ford) e l’ambiguo Ballin Mundson (George Macready). Certo, questa amicizia malata, destinata in qualsiasi caso a degenerare, serve per preparare il terreno e poter innestare l’esplosivo vertice del triangolo, la bellissima e fatale Gilda (Rita Hayworth), e non è così distante dalle dinamiche narrative della felice e intensissima stagione dei noir degli anni Quaranta. Però, a differenza di altri titoli chiave del periodo, dalla narrazione volutamente ondivaga, qui gli snodi narrativi messi nero su bianco da Jo Eisinger e Marion Parsonnet sembrano sempre approssimativi, non sempre giustificati dall’implosione ormonale dei tre protagonisti. In tal senso, stride il deus ex machina Maurice Obregon (Joseph Calleia), il detective dall’afflato romantico che segue come un’ombra Mundson e Farrell, che rimette a posto in un batter di ciglia i pezzi di un puzzle che sembrava cupissimo.

Non c’è infatti in Gilda la consueta parabola autodistruttiva e punitiva per la femme fatale di turno: una scelta anche condivisibile, ma indubbiamente in direzione opposta rispetto ai finali negativi o tragici delle coeve mangiatrici di uomini. Se Cora\Lana Turner muore in un incidente ne Il postino suona sempre due volte (1946), Phyllis\Barbara Stanwyck viene uccisa dal suo amante e complice ne La fiamma del peccato (1946) e Kitty\Ava Gardner viene arrestata ne I gangsters (1946), il destino riservato a Gilda\Rita Hayworth è decisamente diverso. Da un lato, volendo cedere alla logica della colpa e della sua inevitabile espiazione, nel corso della pellicola il nostro giudizio spettatoriale sulla sfortunata Gilda non può che mutare, a differenza di quello del cinico Mundson. L’unica colpa di questa femme fatale è di essere un oggetto del desiderio e cercare, anche disperatamente, di essere amata. Insomma, l’eventuale punizione avrebbe trascinato Gilda più dalle parti del melodramma (e in parte lo è) che del noir, ma soprattutto avrebbe azzerato quello che è l’aspetto forse più importante della pellicola: il suo impatto culturale e sociale.

Se Gilda ha catapultato definitivamente la Hayworth nell’olimpo hollywoodiano, incatenandola poi a ruoli drammatici, il suo personaggio ha sdoganato una sensualità esibita, ha indirizzato la moda del tempo, ha plasmato i sogni erotici di una generazione di spettatori. Put the Blame on Mame, Amado Mio, il celeberrimo spogliarello, i guanti, ma soprattutto la sua folgorante entrata in scena («Gilda, are you decent?», «Me?») hanno travalicato lo schermo, sono diventati mito, icona di un decennio complesso e colmo di rimossi – tra questi, ad esempio, tutta la questione dell’omosessualità sottaciuta, uno dei tanti elementi che scorrono tra le pieghe dello script. Sul fronte maschile, se il personaggio affidato a George Macready mostra un po’ le stesse crepe della traballante questione del tungsteno, lo scostante Johnny Farrell di Glenn Ford si rivela all’altezza della sua amata\odiata Gilda – per certi versi, ci piace l’idea di accostarlo a un altro poco accorto giocatore d’azzardo, Stan Carlisle\Tyrone Power de La fiera delle illusioni (1947). Ma a sparigliare davvero le carte di un noir che maneggia meno brillantemente di altri film l’ambientazione esotica, l’immancabile voce narrante e altri cliché, è sempre lei, la stella che Hollywood ha costruito e modellato. «There never was a woman like Gilda!». Mai e forse mai più.

Info
La scheda di Gilda sul sito del Festival di Cannes.

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