Twisters

Twisters

di

Ventotto anni dopo il blockbuster cult di Jan De Bont, i cacciatori di tornado tornano sullo schermo con Twisters, reboot tecnologicamente aggiornato e con nuovi personaggi che a partire dal plurale del titolo aumenta e rilancia il pericolo, lo spettacolo e l’adrenalina, fra cicloni sempre più devastanti e un sostanziale ribaltamento nelle dinamiche umane fra chi sfida apertamente la Natura. In cabina di regia questa volta siede Lee Isaac Chung, ottimo a non far rimpiangere il suo predecessore. Il resto lo ha fatto spettacolo dell’Etna in eruzione sullo sfondo del Teatro Antico, dove il film è stato presentato in occasione del 70mo Taormina Film Festival giusto un paio di giorni prima dell’uscita nelle sale.

La polvere non dura perché il twister la cattura

Daisy Edgar-Jones veste i panni di Kate Cooper, ex cacciatrice di uragani segnata dall’incontro devastante con un tornado durante i suoi anni al college. Kate, che ora studia i percorsi degli uragani al riparo nel suo ufficio di New York City, viene spinta a tornare in campo dal suo amico Javi per testare un innovativo sistema di tracciamento. Il suo percorso incrocia quello di Tyler Owens, affascinante e spericolata superstar dei social media che si diverte a postare le sue avventure a caccia di tempeste con il suo gruppo: più sono pericolose, meglio è! [sinossi]

«La paure non vanno affrontate, vanno cavalcate». Che siano i tori del rodeo o le trombe d’aria che risucchiano le città, che siano anni e anni di sensi di colpa o un’aperta sfida dell’uomo che, con la scienza e con l’intuito, tenta di dominare la potenza distruttrice della Natura. O magari che sia un film assurto nel frattempo a culto, come lo è dal 1996 il blockbuster Twister di Jan De Bont, che il regista statunitense di origini coreane Lee Isaac Chung, già pluricandidato all’oscar per il precedente Minari, cavalca ventotto anni dopo nel reboot Twisters per ripercorrerne lo schema nel presente, aggiornando le tecnologie e qualche fondamentale rapporto di forza fra le due squadre opposte di cacciatori di uragani, e avvalendosi di personaggi del tutto nuovi, inventati dallo sceneggiatore Mark L. Smith eppure sempre ispirati agli archetipi ideati al tempo da Michael Crichton e Anne-Marie Martin, e di uno sciame di tornado sempre più grandi, sempre più pericolosi, sempre più spettacolari. Del resto è proprio rilanciare e giocare al rialzo, ben più che evocare o ripetere, il punto-chiave di Twisters. Un po’ come se cercasse nel film d’azione scientifico-catastrofico un sostanziale corrispettivo delle regole dello slasher e dei suoi seguiti (e terze parti, e remake, e requel) via via enunciate nella teoricissima saga di Scream, con la stessa idea di escalation senza fine, con il medesimo programmatico spingersi sempre più oltre. Non solo nella violenza dei fenomeni naturali, inevitabilmente “aiutati” nell’effetto visivo dai giganteschi passi avanti compiuti dalla computer grafica rispetto a quella che pure si era già comportata più che ottimamente ai tempi del film originale, ma soprattutto nell’approccio agli uragani degli avventurosi meteorologi protagonisti, a cui non basta più raccoglierne i dati (con le palline volanti della “vecchia” Dorothy affiancate da modernissimi scanner 3D dell’esercito) per studiare e tentare di prevedere i fenomeni in modo da prevenirne il più possibile i danni, ma pronti a immaginare e testare un modo per far dissolvere i tornado, per controllarli, per domarli come se fossero un leone da ingabbiare e rendere inoffensivo. Un tentativo da qualche parte fra la scienza e l’ὕβρις – non per nulla, come si dirà apertamente nel film, sono i tornado stessi a essere sospesi «fra la scienza e la religione», tutt’ora misteriosi nel loro formarsi e imprevedibili nel loro percorso e nella loro potenza – di chi osa sostituirsi a (un) Dio per sfidare apertamente l’universo, il cui primo e tragico fallimento sarà il cuore del folgorante incipit (e il fantasma che mai smetterà di perseguitare i protagonisti), mentre la riuscita finale sarà l’apice assoluto della tensione e dell’eroismo. Ma soprattutto è bello pensare, in occasione dell’anteprima al 70mo Taormina Film Festival nella magnifica cornice del Teatro Antico in (brevissima) attesa dell’uscita nelle sale, che questa tracotanza nella lotta fra uomo e Natura sia fra le cause del meraviglioso risveglio stromboliano dell’Etna, che sullo sfondo, dietro allo schermo gigante, non ha smesso per un solo istante di lanciare le sue ipnotiche fontane di fuoco alte centinaia e centinaia di metri.

Questa volta è la Kate Cooper di Daisy Edgar-Jones, la protagonista. Sin da giovanissima studentessa cacciatrice di tornado con il sogno di addomesticarli, ed esattamente come la Jo che fu di Helen Hunt nel Twister originale semplicemente magica nel prevederne la formazione e nello scommettere, in base alla direzione del vento e all’umidità dell’aria, su quale perturbazione inseguire. Così come è piuttosto facile trovare più d’un corrispettivo fra il Bill Harding che fu di Bill Paxton e l’ombroso Javi qui interpretato da Anthony Ramos, e soprattutto fra il presuntuoso Jonas Miller, al tempo semplice “cattivo” interpretato da Cary Elwes e risucchiato via da un tornado, e il meteorologo-cowboy belloccio altrettanto arrogante e spericolato Tyler Owens, che si rivelerà però in realtà ben più complesso e affascinante fino a un completo capovolgimento e riscatto, cui presta volto e corpo (se necessario anche su una maglietta, che a sua volta proprio come le dirette social su YouTube si rivelerà ben più stratificata delle apparenze, non per guadagnare ma per cercare fondi con cui aiutare le vittime delle devastazioni) l’attore (non solo) linklateriano Glen Powell. Come pure dal film di Jan De Bont (pur traslandolo verso il roboante prefinale, mentre la funzione narrativa del drive-in al centro del film è sostituita da un ancor più popolare rodeo), Twisters non può che ripescare il cinema distrutto dalla potenza improvvisa della Natura, questa volta al chiuso e intento a proiettare Frankenstein anziché Shining ma non per questo più resistente alla forza di un F5, o meno pericoloso per chi non può fare altro che assistere impotente all’avvicinarsi del mostro cercando disperatamente di ancorarsi a qualche poltrona per non volare via. Un (meta)cinema che, inevitabilmente, riporta alla mente le affascinanti leggende nate e cresciute intorno all’originale Twister, a partire da quella proiezione all’aperto canadese annullata il 22 maggio 1996 per un temporale, ma diventata allucinazione collettiva di un intero paese per la quale, come raccontato nel 2016 dal documentario Twisted di Jay Cheel e come successivamente ripreso dallo straordinario cortometraggio sperimentale Les images qui vont suivre n’ont jamais existé con cui il francese Noé Grenier ha trionfato nel 2022 a Pesaro, decine di testimoni sono convinti di aver assistito a quello spettacolo cinematografico che non ha mai avuto luogo, fino allo scatenarsi della tempesta e allo schermo che, proprio come nel film, improvvisamente viene strappato e trascinato via nel vortice. Del resto, che cos’è il cinema se non un grande sogno da fare tutti insieme, una grande illusione in cui mescolare liberamente il possibile e l’impossibile, un uragano di immagini da tentare di domare? Tanto più in un perfetto blockbuster avvincente e adrenalinico da qualche parte fra l’azione, la (fanta)scienza, il dramma e qualche tinta melò, con cui Lee Isaac Chung riesce nell’impresa di non far rimpiangere la regia nerboruta di De Bont, e anzi di alzare ulteriormente la posta in palio. Per un film in fin dei conti nettamente superiore alle aspettative, in cui basta un leggerissimo cambio di vento per spostare il confine fra il successo e la tragedia, e in cui l’inseguire e studiare i tornado si pone quasi inevitabilmente come un volo fra le correnti ascensionali della vita e della morte, fra la passione, il coraggio, il tentativo di sfruttare le proprie conoscenze per salvare vite umane e, dall’altra parte, il dilemma etico di quando la caccia agli uragani diventa mero business per i peggiori speculatori edilizi. Il resto sono modellini giovanili, esperimenti, fallimenti, successi, fughe, automobili che decollano verso l’oblio, pick-up da ancorare al terreno con due trivelle meccaniche, rimorchi e abitacoli ribaltati, soffioni liberati nel vento, fuochi d’artificio lanciati direttamente nell’occhio del ciclone. Altri razzi per aumentarne la pioggia, e poi un barile di sostanze miscelate con cui assorbirne l’umidità e vederlo finalmente dissolversi. Ma soprattutto corse disperate, verso e via dal tornado, in una competizione fra opposti schieramenti che progressivamente diventerà attrazione, salvezza, ardimento, rifugio, completo ribaltamento. Miracolo, forse, della scienza e dell’amore. Di sicuro cinema, che anche quando inaspettato esplode da ogni singola inquadratura.

Info
Twisters, il trailer.

  • twisters-2024-lee-isaac-chung-03.jpg
  • twisters-2024-lee-isaac-chung-02.jpg
  • twisters-2024-lee-isaac-chung-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Taormina 2024

    Dal 12 al 19 luglio Taormina 2024 spegne settanta candeline sul festival peloritano con il ritorno in Italia di Marco Müller, che torna alle radici della kermesse cercando il punto di contatto tra intrattenimento e ricerca, tra mainstream e indipendenza.
  • Festival

    Taormina 2024 – Presentazione

    Dal 12 al 19 luglio Taormina 2024 spegne settanta candeline sul festival peloritano con il ritorno in Italia di Marco Müller, che torna alle radici della kermesse cercando il punto di contatto tra intrattenimento e ricerca, tra mainstream e indipendenza.
  • Pesaro 2022

    Les images qui vont suivre n'ont jamais existé recensioneLes images qui vont suivre n’ont jamais existé

    di Film vincitore della 58a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Les images qui vont suivre n'ont jamais existé è un cortometraggio del francese Noé Grenier, un'opera che in sette minuti ragiona sul cinema, sulla sospensione dell'incredulità che sconfina negli stati onirici fino all'allucinazione collettiva.
  • AltreVisioni

    Minari recensioneMinari

    di Con un approccio intimista e mosso da profondi intenti umanisti, Minari è il film con cui Lee Isaac Chung riflette sull’immigrazione, l’integrazione, le perversioni del capitalismo, le idiosincrasie degli USA e propone l’amore come antidoto per ogni male.
  • AltreVisioni

    Abigail Harm

    di Abigail Harm di Lee Isaac Chung è una storia oscura e dolcissima allo stesso tempo, con una protagonista difficile da dimenticare. Al Torino Film Festival.