Intervista a Luciana Fina

Intervista a Luciana Fina

Luciana Fina è una cineasta e artista visiva italiana che lavora a Lisbona dal 1991. Curatrice di programmi ed edizioni per la Cinemateca Portuguesa, ricercatrice presso le Belle Arti dell’Università di Lisbona, ha realizzato il suo primo documentario nel 1997, entrando a far parte della generazione di cineaste e cineasti che hanno dato nuova vita al cinema del reale portoghese. I suoi film, le installazioni filmiche e site-specific, sono rappresentati nelle collezioni del Museu Calouste Gulbenkian, del Nouveaux Medias del Centre Georges Pompidou e del CACE Colecção de Arte Contemporânea do Estado. Il 25 Aprile 2024 ha inaugurato Sempre, a palavra, o sonho e a poesia na rua, una installazione concepita per la Cinemateca Portuguesa in occasione delle celebrazioni dei cinquanta anni della Revolução dos Cravos. In forma di film d’archivio Sempre è stato presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 81, nella sezione Notti Veneziane. Abbiamo incontrato Luciana Fina in questa occasione.

Sempre è una commemorazione dei 50 anni della Rivoluzione dei Garofani. Trovo che i portoghesi abbiano ancora molto viva questa fine della dittatura, la loro liberazione, che è avvenuta 30 anni dopo quella italiana. Da italiana che vive, da lungo tempo, in Portogallo, senti questo sfasamento? Ed è per questo che hai inserito del materiale italiano come lo spezzone di All’armi, siam fascisti! o il brano audio di Nanni Moretti da Bianca?

Luciana Fina: Questo film è nato da un invito, sono i 50 anni della rivoluzione. Chiaramente la Cinemateca Portuguesa voleva partecipare a questo momento con il patrimonio cinematografico. Loro mi hanno invitato a realizzare un’installazione all’interno dell’edificio della cineteca che potesse, attraverso gli archivi, restituire, con un mio punto di vista, la ricchezza di questo momento, anche dal punto di vista cinematografico. Farlo quindi attraverso l’archivio e il cinema. Si tratta quindi di un invito, però un invito mirato perché chiaramente hanno invitato una documentarista molto attiva nel cinema documentario, che si rapporta col presente e con la storia del paese, sapendo che una distanza diversa potesse anche dare luogo a una narrativa possibile di questi anni, con un punto di vista sia emotivo – perché il mio film è fortemente emotivo – e montato sul filo dell’emozione del processo rivoluzionario. È stata un’occasione che viene incontro, più che al mio desiderio di celebrare l’evento rivoluzione, con il desiderio di fare il punto al presente su quel che questa rivoluzione può darci oggi come stimolo per ripensare la costruzione del futuro. Ho chiesto immediatamente alla cineteca di poter lavorare anche sugli archivi televisivi perché in quell’epoca i migliori registi, proprio per un’intenzione di interferenza nella storia, si rendevano conto che la televisione era un mezzo per arrivare a una popolazione più vasta. E ho voluto anche attingere, per due momenti del film, agli archivi del cinema amatoriale perché sono gli sguardi di persone che hanno partecipato e hanno voluto filmare con le loro camere.

Tra gli inserti cinematografici, ne inserisci alcuni di I verdi anni di Paulo Rocha, dove si vedono le gru dei cantieri nelle zone periferiche di Lisbona. Mostrarli serve a ragionare su come si è sviluppata la capitale, che tra l’altro ora soffre molto la gentrificazione?

Luciana Fina: Che fa parte della speculazione dei grossi capitali internazionali. Il fatto di ricorrere agli anni ’60 significa parlare delle avanguardie. Quella passeggiata nel film di Paulo Rocha, ha uno sfondo sull’Avenidas Novas, quella parte nuova della città che era stata costruita all’epoca. Nel montaggio è associata ad altre immagini di periferie. La storia di I verdi anni è la storia di un immigrante interno, qualcuno che viene dalle campagne e che arriva in città, la storia di una prima Lisbona che riunisce una popolazione che viene da altri luoghi dalla provincia e che abita a Lisbona, in modo anche drammatico. È associata al dramma della nuova costruzione di una città che è tutta speculativa per l’abitazione. In Portogallo c’è l’esempio grandissimo dei SAAL, gli ambulatori locali di costruzione con i quali il PREC, il processo rivoluzionario nella fase di transizione, pensava alla costruzione della casa per portare una soluzione alla mancanza dell’abitazione. Un problema che si ripropone oggi e che non è affrontato con la stessa ricchezza di pensiero dell’epoca.

Su I verdi anni ora è uscito anche il film Onde Fica Esta Rua? ou Sem Antes Nem Depois di João Pedro Rodrigues e João Rui Guerra da Mata, che pure rilegge la città sulla base di quelle scene del film di Rocha. Conosci questo lavoro?

Luciana Fina: Sì, è un film bellissimo, perché guarda ai luoghi de I verdi anni in assenza di personaggi. Il mio è un modo di citare e di integrare anche quella immagine, quello sfondo della città in un discorso.

Oltre agli spezzoni di cinegiornali c’è tanto cinema, c’è il film che si basa sul reenactment. Vuoi rendere quell’epoca anche con l’elaborazione artistica che ne è stata fatta?

Luciana Fina: L’idea è quella del murales che si vede. Lì 48 artisti dipingono il momento della rivoluzione. Io volevo fare un po’ la stessa cosa con il film, esattamente volevo fare questo affresco. Quindi è un po’ meta-discorsivo questo citare le arti con la loro capacità di costruire lì, in quel murales, in maniera collettiva. Anche per me si tratta di riprodurre quella maniera collettiva. Anche se chiaramente sono io che cucio nel montaggio il discorso, ma in maniera collettiva perché convoco tutti i cineasti che all’epoca hanno scritto quella storia, hanno partecipato, hanno interferito nella storia in questo affresco collettivo che il cinema può restituirci. Certo è grande l’importanza degli artisti. Infatti io metto molto a fuoco la canzone, la musica. È stata una delle mie priorità. Il ruolo dell’intellettuale e dell’artista fa parte delle mie inquietudini principali. Io mi interrogo quasi ogni giorno su quel che sto facendo nel cinema e nelle arti. E quell’interrogazione, quelle inquietudini mi corrispondono molto. Volevo veramente che anche nel film fosse presente quello che è stato il ruolo dei cineasti il ruolo degli artisti, il ruolo dei musicisti.

Invece qual è il ruolo del folklore? Ci sono per esempio delle canzoni dell’Alentejo.

Luciana Fina: Pasolini insegna e ha insegnato anche a me, come ha insegnato anche a me tutta la generazione di Cecilia Mangini. Mi hanno insegnato loro il guardare, il poter salvaguardare con un’opera cinematografica quel che sono le espressioni degli invisibili, delle zone più minacciate da un’omologazione culturale, come diceva Pasolini. Nel film io cito Trás-os-Montes, il film di António Reis e Margarida Cordeiro, perché è un cinema che riscopriva in maniera poetica e rivelava un paese condannato all’invisibilità perché periferico. C’era poi il grosso problema della riforma agraria che non si riuscì a risolvere perché poi è ritornato un po’ il latifondo. L’Alentejo è la regione di Grândola, dove venne fondata una cooperativa operaia repressa dal regime di Salazar, alla quale il cantautore José Afonso dedicò una canzone che il 25 aprile 1974 fu trasmessa alla radio come segnale d’inizio della Rivoluzione dei Garofani, come si vede alla fine del film. L’Alentejo è la regione di un’espressione culturale che simbolicamente porta con sé tutto questo, dalla riforma agraria alla ricchezza regionale e locale della cultura agraria, con tutta la ricchezza che l’Alentejo ha anche nella musica, nel canto di cui mi sono sempre interessata, anche personalmente.

Altro grande tema che tratti è quello del colonialismo. Ci sono scene straordinarie come quella della coppia che, a un interrogatorio, reclama l’indipendenza del proprio paese, il Mozambico. Da dove è tratta?

Luciana Fina: Si tratta di Mueda, Memória e Massacre di Ruy Guerra, un film meraviglioso che ho voluto citare nella parte coloniale. Non è stato facile scegliere. Sono molto felice delle scelte che ho fatto. Quel film rappresenta la prima forma di autorappresentazione della propria storia. Si trattava finalmente, come diceva Ousmane Sembène, di poter portare uno specchio davanti al proprio popolo. È un film molto complesso perché è un’autorappresentazione teatrale che diventa anche un film. Un film che è una rappresentazione teatrale di un massacro. Quella scena è contrapposta a un film documentario che guarda nelle strade di Lisbona come è affrontato il colonialismo tra la gente. Una conversazione che, riportata al giorno d’oggi, potrebbe essere una conversazione sui migranti, in cui la questione coloniale sorge con uno sguardo di centralità dell’uomo bianco, nell’espressione di uno dei due che intervengono nel dialogo, in cui riporta l’Europa quasi come una vittima della violenza dei popoli che cercavano la propria liberazione. Il montaggio è importante per creare questo cortocircuito. Da un lato l’autorapresentazione e dall’altro un cinema documentario che scopre la brutalità di un discorso ancora presente oggi. Per me è fondamentale la lezione di Ėsfir’ Il’inična Šub, ancora più di Ėjzenštejn, che è la prima pensatrice del montaggio di un film d’archivio. La prima a concepire come attraverso materiali diversi – la complessità che il cinema trasporta con sé – sia possibile costruire una storia, rispettando gli enunciati, ma costruendo una nuova storia, con l’accostamento di immagini che crea una nuova figura. E poi c’è l’infiltrarsi del montaggio del suono.

Infatti nel film ci sono parti sonore anacronistiche rispetto alle immagini. Alcune si capisce che vengono da manifestazioni contro il cambiamento climatico, quindi un qualcosa di molto attuale. Perché le hai inserite?

Luciana Fina: Infiltro suoni del movimento degli studenti contro il cambiamento climatico quando parlo dei primi movimenti degli studenti, quelli nelle università del ’69 che forse hanno rappresentato il primo gesto di risposta e il tentativo di mettere fine all’asfissia del fascismo. Lì c’è forse il gesto più speranzoso da parte mia. Se ci sono degli studenti che si stanno rendendo conto del disastro, c’è qualcosa forse che può cominciare. I discorsi sentiti alle manifestazioni della Greve Climática Estudantil, mi fanno però capire che non è così chiaro come il problema climatico sia legato a un problema complesso di strutturazione della società in senso di accettazione del neoliberalismo. All’epoca era un discorso sistemico e complesso. Nel film, proprio in nome di un approccio complesso, infiltro anche momenti di manifestazioni per il problema dell’abitazione, momenti di manifestazioni della lotta femminista. Passo da quelli che sono i problemi dell’emancipazione del problema coloniale, dell’emancipazione delle donne, dell’emancipazione dell’educazione, dell’emancipazione della coscienza della partecipazione democratica, dell’emancipazione in tutti questi problemi. Mi sembra che oggi non solo l’individualismo dell’esistenza sia un problema ma sia anche un problema il modo in cui ciascuna problematica si è affrontata perché diventa molto specifica e non sistemica come approccio. Tornando alle inserzioni sonore, cerco i suoni contemporanei più vicini. Ho registrato le manifestazioni per l’abitazione dell’autunno dell’anno scorso e della primavera di quest’anno. Gli ultimi sono stati registrati l’8 marzo di quest’anno, da infiltrare delicatamente per poter creare questo circuito per interpellare lo spettatore affinché riconosca che stiamo parlando del presente e di questa epoca in cui è così difficile invece pensare al futuro.

Tornando a quel dibattito per strada dove si discute del colonialismo, quel signore che ricordavi, definisce i “negri” come terroristi. Era importante anche riportare il punto di vista colonizzatore?

Luciana Fina: Il film inizia proprio con un brano di All’armi, siam fascisti!. Quel film è stato fatto da Cecilia Mangini per parlare di come il fascismo non sia mai morto e risieda ancora in forma di discorso di strada. In un’epoca in cui il populismo impera, quel film e quella voce rappresentano la testimonianza di voci che, per strada, nella vita quotidiana fanno, sopravvivere l’espressione di un fascismo o di una posizione colonialista ancora molto presenti.

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