Whispers in the Dabbas
di Garin Nugroho
Quattro episodi di malagiustizia in Indonesia sono raccontati in Whispers in the Dabbas da Garin Nugroho. Il grande regista indonesiano realizza un’opera di denuncia di sentenze draconiane nei confronti di cittadini, per lo più povera gente, che non sono allineati con il potere politico ed economico, aventi come comun denominatore lo sfruttamento delle risorse naturali. In ciò Nugroho non rinuncia al suo stile eclettico, mettendo in scena il meccanismo stesso di messa in scena fotografica. Nella sezione Harbour dell’International Film Festival Rotterdam 2025.
Ci sarà pure un giudice a Giacarta
Puspa è un’avvocatessa che combatte per la causa di persone povere accusate di reati minori e minacciate di punizioni sproporzionate: una donna condannata per un presunto furto di noci di cocco, un agricoltore accusato di aver danneggiato il commercio di mais ibrido, un altro espropriato della sua terra, e il fratello dell’avvocatessa perseguitato per aver agito per sensibilizzare contro l’allevamento illegale di gamberetti. Dopo che padre era stato incarcerato durante il regime del nuovo ordine, Puspa si rende conto, con dolorosa impotenza, del continuo abuso della legge nonostante le riforme politiche. [sinossi]
Ci sarà pure un giudice a Giacarta oltre che a Berlino? Difficile ma non impossibile a dirsi, visti i casi di malagiustizia che sono raccontati da Garin Nugroho nella sua ultima opera Whispers in the Dabbas, presentata nella sezione Harbour del 54° International Film Festival Rotterdam. Si tratta di casi reali, documentati che comunque sono finiti con assoluzioni in cassazione. Il film denuncia il potere draconiano che schiaccia la povera gente, umiliandola, i contadini o gli indigeni indifesi, che vengono espropriati delle terre che coltivano da generazioni, o che vengono puniti per non averle cedute. Alla base un governo corrotto che fa gli interessi delle multinazionali golose delle riserve naturali e delle materie prime del paese. C’è sicuramente un’avvocatessa attivista, insieme al fratello fotografo, e dietro di loro un regista, che si battono per i diritti umani dei più deboli. Nugroho crea la figura finzionale di Puspa a legare le vicende di cronaca che mette in scena. Importante che questa figura sia femminile, forse è un’espressione della stessa figlia di Nugroho, la regista Kamila Andini che porta avanti una filmografia dedicata ai diritti umani. C’è una critica molto forte al sistema politico indonesiano che di fatto viene accomunato alla precedente dittatura di Suharto. Puspa e il fratello evocano la figura del padre che fu imprigionato nel precedente regime, detto dell’ordine nuovo. Al fratello sembra impossibile finire in galera ora che si è entrati nell’epoca delle riforme. Ma saranno proprio le sue ultime parole famose. Proprio ricordando la madre che portava il cibo alla madre in carcere, Puspa è sempre munita di una lunchbox cinese rossa, nella quale porta il cibo, da lei stessa amorevolmente preparato, alle persone che difende. Segno della sua missione, che porta avanti anche contro il capo del suo studio legale che giudica poco redditizia quell’attività difensiva.
Garin Nugroho mantiene alcune delle sue prerogative di cinema opera anche in un film che vorrebbe essere il più possibile semplice, di denuncia, aderente alla realtà. Ci sono canzoni, spesso diegetiche, sentite alla radio, momenti di danza, balere e feste in cui è coinvolta la stessa Puspa. Giusto un abbozzo da musical, un principio di Opera Jawa. La struttura del film, con i suoi blocchi ripetuti, sembra quella di un’opera teatrale. E poi ci sono quegli intermezzi artistici, quasi arti performative, del mendicante e dell’imbonitrice nell’autobus, che pure lanciano frecciate al potere. E le varie scene con gli uccelli, dalla paperella giocattolo azionata con una molla, azionata da Puspa che combatte contro l’omologazione che vuole il potere. C’è poi un uccellino in gabbia, condizione di cattività dei cittadine, e, solo infine, degli uccellini liberi. È fondamentale tutto il discorso che Nugroho fa mostrando il dispositivo filmico stesso. Con una curiosa analogia, per coincidenza, con il film di Radu Jude Do Not Expect Too Much from the End of the World – dove la protagonista filma i casi di cui si occupa per il risarcimento danni – Puspa fotografa i suoi clienti, facendosi aiutare dal fratello fotografo. C’è la messa in posa, l’obiettivo e il set fotografico, equivalente interno di quello cinematografico essendo Whispers in the Dabbas comunque un’opera di finzione. Il film comincia proprio con la fotografia che si fanno i due fratelli, come a presentarsi, davanti all’obiettivo che evidentemente – lo si capisce dall’azione del fratello – verrà attivato con autoscatto. Qui la macchina fotografica non si vede e parrebbe coincidere con la camera del film. Eppure, l’inquadratura oscilla leggermente, evidenziando così di non essere la stessa della macchina fotografica che deve essere posizionata su un piedistallo. Quasi impercettibilmente Garin Nugroho si differenzia dall’inquadratura oggettiva, assume un punto di vista più lontano rivendicando la sua natura di cinema opera d’arte, anche quando denuncia le violazioni dei diritti umani in Indonesia. In tutto il film non ci sarà un’inquadratura perfettamente stabile. Nelle due volte successive in cui si vede il set fotografico, la mdp invece è posizionata dietro la macchina fotografica che entra così nell’inquadratura. Ormai il gioco è dichiarato.
Il regista si pone al di sopra anche di quelle che sono le messe in scene organizzate del potere per accusare ingiustamente degli innocenti. Sono quelle in cui i poveri contadini vengono messi alla berlina nelle simulazioni probatorie dei loro reati, come quella in cui la donna, accusata di furti di noci di cocco, viene costretta ad arrampicarsi su uno di quegli alberi per dimostrare di essere in grado di farlo. Sono gogne umilianti gestite da poliziotti aguzzini. La lotta contro il potere si riduce quindi a un conflitto di messe in scena, da cui lo sguardo superiore non può che essere quello del regista. Solo alla fine, sui titoli di coda, vedremo dei filmati di repertorio, uscendo quindi dalla finzione, degli ultimi sviluppi dei casi del film. Nel primo di questi abbondano le telecamere in tribunale a riprendere la sentenza, ancora una volta si sottolinea il potere del riprendere: non esisto se non sono filmato.
Info
Whispers in the Dabbas sul sito di Rotterdam.
- Genere: drammatico, giudiziario
- Titolo originale: Nyanyi sunyi dalam rantang
- Paese/Anno: Indonesia | 2025
- Regia: Garin Nugroho
- Sceneggiatura: Garin Nugroho
- Fotografia: Mandella Pracihara
- Montaggio: Andhy Pulung
- Interpreti: Della Dartyan
- Colonna sonora: Charlie Meliala
- Produzione: Padi Padi Creative
- Durata: 76'