Dove cadono le ombre

Dove cadono le ombre

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Sospeso tra film di denuncia e thriller psicanalitico, tra toni realistici e metafisici, Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini è un film importante ma incompiuto. Alle Giornate degli Autori di Venezia 2017.

Questi fantasmi

Anna e Hans, rispettivamente infermiera e assistente in un istituto per anziani, in realtà l’ex orfanotrofio in cui sono cresciuti, vivono come intrappolati nel tempo e nello spazio. Dal passato riappare l’anziana Gertrude e il nastro dell’orrore sembra riavvolgersi. L’istituto torna a essere ciò che era; ricovero di bambini di etnia Jenisch sottratti alle famiglie per un progetto di eugenetica capitanato da Gertrud. Anna, schiava di quel luogo e di un’infanzia dolorosa che non termina mai, riprende le ricerche della sua amica d’infanzia Franziska. Ispirato a una storia vera. [sinossi]

Utilizzata dal cinema mainstream per incuriosire il grande pubblico sottolineando magari la bizzarria di alcune vicende reali, la dicitura “tratto da una storia vera” riacquista il suo significato primigenio, insieme a un portato informativo a sfondo morale e civile, con Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini. Presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 2017, il primo lungometraggio di finzione della regista di Dal profondo riporta alla luce infatti una pagina di storia vergognosa e dimenticata. Si tratta dell’attività eugenetica condotta dall’associazione umanitaria svizzera Pro Juventute tra il 1926 al 1986, una sorta di pulizia etnica che prevedeva il prelievo dei bambini jenisch (etnia nomade europea di origine germanica o celtica) dalle famiglie d’origine, la loro castrazione e rieducazione, nonché l’adozione da parte di famiglie di pura razza elvetica. Una sorte che era toccata anche a Mariella Mehr, scrittrice sopravvissuta a questo genocidio silenzioso, alle cui vicende Dove cadono le ombre si ispira e i cui libri saranno a breve ripubblicati da Fandango, che non a caso produce il film.

Ma a Valentina Pedicini queste dinamiche industriali stanno decisamente strette, il suo film non vuole certo essere un volano pubblicitario per i volumi di prossima pubblicazione, né intende narrare la vicenda della Pro Juventute limitandosi ad un pedissequo aspetto socio-civile. Proprio come avveniva già in Dal profondo (documentario sui minatori del Sulcis), la regista parte dalla realtà per offrircene una rilettura personale, in cui si fa largo il suo spiccato gusto estetico, che però non sempre si sposa con l’incandescente materia prima da maneggiare.

Innestando cinema di denuncia, thriller psicanalitico, horror metafisico, la regista lascia che la realtà quotidiana e intima della sua protagonista ci faccia da guida nei meandri della sua mente e di un passato che è allo stesso tempo personale e collettivo. Anna (Federica Rosellini), questo è il nome del personaggio, fa l’infermiera in una casa di riposo per anziani in Svizzera. Operosa e austera, ostinatamente corrucciata, in perenne apnea, Anna si concede un unico svago: delle partitelle a poker notturne con gli ospiti dell’ospizio. Suo amico e sodale è Hans (Josafat Vagni), un ragazzo affetto da ritardo mentale, che per compiacerla scava numerose buche in giardino, per poi consegnarle una serie di ossicini, talvolta di scoiattolo, talvolta no. L’arrivo dell’anziana Gertrude (Elena Cotta, Coppa Volpi a Venezia per Via Castellana Bandiera) dirime ogni ambiguità: la donna, ora anziana, è stata la carceriera di Anna e Hans nonché dei loro sfortunati compagni di sventura, tutti bambini jenisch sottoposti alle sue pratiche eugenetiche. Il presente di Anna inizia a innestarsi con il suo mesto passato, da cui affiorano terribili ricordi e sensi di colpa. Prescelta da Gertrude, Anna era stata di fatto il suo braccio destro negli interventi chirurgici cui i suoi compagni di orfanotrofio venivano sottoposti. Inoltre, la ragazza sta cercando da anni i resti della sua migliore amica di allora, misteriosamente scomparsa.

Dove cadono le ombre è un film poco rilassato, come la sua protagonista. Poco rilassato perché cerca in maniera ostinata una sua strada, ma è frenato da mille remore e da quell’opprimente concetto dell’autorialità che assume talvolta, ed è anche questo il caso, dimensioni castranti per il nostro cinema, cosa che si rende ancora più evidente nel caso di giovani registi.
Nonostante faccia di tutto per non sembrarlo (o forse proprio in virtù di questo “sforzo” sin troppo evidente) Dove cadono le ombre appare dunque imbrigliato dal suo dover narrare una pagina di storia poco nota, dalla vicenda della Mehr e dai suoi libri che la Fandango si accinge a pubblicare, da una missione informativa che mira a scuotere le coscienze di un pubblico che sia il più vasto possibile. Valentina Pedicini dialoga con tutto ciò, si mette in discussione, cerca un suo spazio, una sua dialettica con la Storia, i suoi personaggi, gli ambienti in cui si muovono, si ritaglia delle epifanie stilistiche, che non sempre colgono del segno, anzi, rischiano di sospingerla ancora più lontano dal suo obiettivo, che è evidentemente quello di sovraimprimere alle vicende reali una sua interpretazione, il suo sguardo. Esemplare in tal senso è quell’inquadratura delle mani nella bacinella d’acqua, che dura quel tanto in più sufficiente a farne una bella immagine, ma anche a rivelarne i fini meramente estetici.

Interessante invece appare la scelta degli interpreti, quasi tutti di ascendenza teatrale, la cui recitazione a tratti straniante, rischia però spesso di sottrarre troppa autenticità alle vicende.
Dove cadono le ombre è un film acerbo, in cui riecheggiano altri film, da La morte e la fanciulla di Polanski a Lourdes di Jessica Hausner, ma soprattutto Il portiere di notte di Liliana Cavani, rievocato da quei duelli verbali tra Anna e Gertrude, che rappresentano forse gli unici momenti in cui il film sembra decollare, attraverso un dialettica non banale e problematica, che non rinuncia a esporre le ragioni del “villain” di turno, ovvero la terribile Gertrude.

Per il resto però il film della Pedicini continua a muoversi irrequieto tra il simbolico e il realistico, tra l’horror gotico (davvero poco convincente l’apparizione dei bambini “fantasma” nel corridoio dell’istituto) e i risvolti psicanalitici, mentre la sua preoccupazione di trasmettere correttamente l’informazione storica spinge verso a toni più sobri, ieratici, talvolta didascalici talaltra, nei momenti più riusciti, metafisici. Ha una doppia anima, o forse molteplici, Dove cadono le ombre, flirta col cinema di genere senza mai aderirvi del tutto (proprio come faceva anche l’interessante ma incompiuto I figli della notte, anche quello tutto ambientato in un collegio) più attento a comunicare cosa non vuole essere che a pensarsi come un unicum ben organizzato.

Info
La pagina dedicata a Dove cadono le ombre sul sito delle Giornate degli autori.
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