Buoni a nulla

Buoni a nulla

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Con Buoni a nulla Gianni Di Gregorio porta sugli schermi del Festival di Roma una satira grottesca e graffiante, tenera e un po’ patetica dell’universo perverso del pubblico impiego.

Prenditi cura di me

Quante ingiustizie deve ancora subire il povero Gianni? Dai colleghi d’ufficio all’anziana vicina di casa, fino alle pretese impossibili della ex moglie, le angherie quotidiane per lui sono infinite. Marco invece è un uomo buono, gentile, indifeso. Innamorato di Cinzia, la giovane collega che lo schiavizza e lo illude. Bisognerebbe arrabbiarsi e imparare a farsi rispettare, ma come si fa? Da soli è difficile ma forse unendo le forze… [sinossi]

Ingrediente un tempo basilare della mai troppo rimpianta commedia all’italiana, dove serviva a distorcere, ma solo per meglio restituirla, l’immagine di un’italietta sempre più brutta sporca e cattiva, il grottesco, a lungo temuto dai produttori nostrani come il più pestilenziale dei virus, torna a fare capolino nel cinema nostrano. Ed è proprio il Festival Internazionale del Film di Roma, adempiendo alla sua dimensione di “festival-festa popolare” a darci il polso di questa situazione, prima con la proiezione in apertura di Soap Opera, gioco meta-narrativo un po’ straniante e vistosamente kitsch, e ora con Buoni a nulla, terza regia dopo Pranzo di Ferragosto e Gianni e le donne per l’alfiere della commedia garbata a sfondo sociale Gianni De Gregorio. Ultimamente, bisogna dirlo, commedia garbata sembrava essere diventato il sinonimo di una vacua analisi della famiglia disfunzionale contemporanea, ma il persistente sentore di contraffazione a tavolino che accompagna molti di questi prodotti è agilmente evitato da Di Gregorio con un espediente molto semplice e perfettamente funzionale: la messinscena (e in gioco) di se stesso. E, se questo stratagemma può preludere a qualche tentazione morettiana, pazienza perché con la sua maschera semi-tragica, immota e un po’ sorniona, la recitazione trattenuta fatta di reazioni-azioni, un po’ alla Monsieur Hulot, Di Gregorio può agilmente attraversare i meccanismi stritolanti del mondo del lavoro odierno, con un pizzico di cattiveria e senza perdere la tenerezza.

Questa volta infatti, Gianni si ritrova nei panni di un impiegato pubblico, un “fannullone” come vorrebbe la vulgata post-fantozziana odierna o un “buono a nulla”, come recita il titolo del film. Prossimo alla pensione (è questione di mesi), Gianni viene convocato dal direttore solo per scoprire che dovrà scontare altri tre anni di lavoro, ma in una sede periferica, con nuovi colleghi e nuove mansioni. Qui, stringerà amicizia con Marco (Marco Mazzocca), un impiegato modello vessato da colleghi (specie dalla procace Cinzia, incarnata da Valentina Lodovini), perché sempre cortese e disponibile. I due faranno squadra per fronteggiare una realtà lavorativa, sociale e personale cinica e spietata. Insomma, devono passare dalla cristologica flagellazione (e auto-flagellazione) alla più vincente etica protestante.
Con acume e sapido spirito di osservazione, Di Gregorio ci immerge in una realtà sopportabile ma ingiusta, dove l’anziana vicina è sempre pronta a sbraitare, l’ex moglie a chiedere soldi e sacrifici, la figlia ad appropriarsi dell’appartamento paterno, qualcuno a parcheggiare nel vicolo bloccando completamente il passaggio. Per non parlare poi degli automobilisti e della loro improvvisa (e temporanea) cecità di fronte alle strisce pedonali. Tutto nella norma insomma, ma niente come dovrebbe.
Gianni si prende dunque in carico il ruolo di fustigatore dei mali costumi dei romani, che non è difficile vedere estesi anche a livello nazionale. L’ufficio periferico (siamo nel quartiere Torrino di Roma) è poi il microcosmo perfetto di un paese dove sussistono poche sfumature tra i ruoli di vittime e carnefici, servi e padroni, masochisti e sadici. L’unica alternativa sembra essere quella di attraversare le asperità con stile e nonchalance ma non senza prendersi ogni tanto qualche rivincita, ne va della propria salute.

La poetica autoreferenziale di Gianni Di Gregorio fa decisamente un passo in avanti con Buoni a nulla, ed evolve, per allargarsi a un ritratto non solo generazionale (non è più solo il debutto nella terza età di Gianni e le donne), ma di un’intera società, non esclusivamente romana, ma nazionale. Non solo, Di Gregorio riesce a gestire e dirigere mirabilmente un cast “all star”, cosa che solitamente è croce e delizia della commedia contemporanea, dalle cui locandine occhieggia sornione, sovente assiso su un divano, promettendo faville, ma senza quasi mai adempiere degnamente a tale compito.
Qui invece ogni ruolo, anche il più breve o sporadico, ha una sua funzione e precipua personalità, a partire dall’immancabile Lodovini nei panni della collega di cui è innamorato da anni Marco, capace di rivelare la sua vera natura in una scena domestica con la madre, realistica e a tratti toccante. Fanno inoltre parte del nutrito cast anche Marco Messeri nelle vesti del medico-dentista ora marito dell’ex moglie di Gianni, Camilla Filippi in quelle della figlia e gli irresistibili Anna Bonaiuto e Gianfelice Imparato che incarnano, rispettivamente, il nuovo capo ufficio e il suo servile braccio destro.

È vero, Gianni Di Gregorio ripete un po’ sé stesso, e magari non riesce a essere cattivo fino in fondo (non gli appartengono d’altronde le velenose staffilate di un Monicelli o di un Dino Risi), né moralista, è anzi un po’ compiacente verso i suoi personaggi, tollera affettuosamente i loro difetti, le loro piccolezze, li rimprovera, ma farebbe qualunque cosa per salvarli. Perché in fondo il tema principale di Buoni a nulla è proprio il prendersi cura con affetto e comprensione degli altri: della vicina, della capo ufficio e del suo cane, dei colleghi, degli amici. Forse non sarà un monito severo, ma Di Gregorio ci ha segnalato un punto di partenza da non trascurare per ricostruire la nostra identità, personale o nazionale che sia.

Info
Il trailer ufficiale di Buoni a nulla.
Buoni a nulla sul canale a pagamento di Youtube.
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