The Lesson – Scuola di vita

The Lesson – Scuola di vita

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I bulgari Kristina Grozheva e Petar Valchanov hanno preso spunto per The Lesson da un singolare caso di cronaca, ma il disagio etico e sociale, pur presente nelle premesse, sembra annacquarsi strada facendo.

Un colpo da maestra

In una piccola città della Bulgaria una giovane insegnante, Nadežda, sta rimproverando un ragazzo per aver rubato in classe. Ma quando sarà lei a indebitarsi con degli usurai, riuscirà a tener fede ai suoi valori? Con un occhio al cinema dei Dardenne, questo film d’esordio offre uno sguardo spassionato sul confronto tra onestà e una realtà economica brutale… [sinossi]

Un po’ come nel caso del greco At Home (Sto spiti) di Athanasios Karanikolas, anche per quanto riguarda il film diretto a quattro mani da Kristina Grozheva e Petar Valchanov non abbiamo trovato corrispondenza tra la bontà dell’intuizione iniziale e una resa filmica, che nel caso del lungometraggio bulgaro ci è parsa grossolana, superficiale, più attenta a guidare le emozioni degli spettatori che a farli realmente ragionare sulle situazioni determinate dal racconto. Eppure le intenzioni di fondo sarebbero state tutt’altro che disprezzabili. Davvero utile, in tal senso, riportare le dichiarazioni dei due cineasti, riguardo all’episodio reale che pare abbia ispirato il soggetto del film:

“Qualche anno fa la televisione mostrò un servizio su una donna che aveva fatto una rapina nella banca di una città di provincia bulgara. Tutti pensavano che fosse una poco di buono, una criminale… Nessuno sospettava che fosse una brava insegnante con due lauree… Questo episodio preso dalla realtà ci ha molto impressionato e ci ha fatto chiedere: cosa spinge una persona per bene a diventare un criminale?”

Se tali sono le premesse, perché allora questo The Lesson (Urok, in bulgaro) è risultato a nostro avviso una delle proposte più deboli e discutibili, in quel Concorso Lungometraggi del 26° Trieste Film Festival che ha saputo regalare, per il resto, visioni molto più confortanti?
Volendo rapportarci dialetticamente a quanto dichiarato dagli autori, cominciamo col dire che a convincerci poco è proprio il taglio dato, in fase di scrittura, alla rielaborazione dello spunto iniziale. Il film sembra funzionare per compartimenti stagni. La parte scolastica, per esempio, è di una debolezza assoluta. L’insegnante impersonata con una certa legnosità da Margita Gosheva, schiacciata com’è da problemi di natura economica, tenta al contempo di impartire una lezione di vita alla sua classe, dove c’è chi ruba nell’indifferenza generale. Proprio questo è il punto: la protagonista resta il fulcro di una situazione, in cui gli alunni figurano come attanti svuotati di una qualsiasi personalità. Gli autori puntavano evidentemente ad altro. Ma, col ricordo tutto sommato recente di opere come La classe (Entre les murs, 2008) di Laurent Cantet o Class Enemy (2013) di Rok Bicek, una scelta del genere può anche risultare stridente.

Sta di fatto che la sceneggiatura propone un punto di vista diverso, lo potremmo anche sintetizzare nella volontà di pedinare l’insegnante protagonista nell’attività scolastica come anche nelle sue disavventure finanziare, negli altri lavoretti intrapresi per arrotondare, nel rebus costituito poi da una famiglia con parecchi squilibri. Fino al fatidico incontro con gli strozzini di turno. Se a tratti il modello sembra essere un “cinéma vérité” alla maniera dei fratelli Dardenne, l’applicazione di simili schemi concede troppo all’ulteriore drammatizzazione di un quadro già piuttosto problematico, poco all’esplorazione più coerente dei meccanismi che hanno creato tale problema. Intendiamoci, la ricerca disperata di quel denaro che per Nadežda, la protagonista, vuol dire esattamente questo, risolvere i problemi con la banca e salvare la propria casa, possiede di suo una suspance che tiene sulle corde lo spettatore fino alla fine. Ma questo bonus emozionale viene giocato in malo modo. Contrariamente ai personaggi di certo cinema francese politicamente impegnato (mettiamoci pure l’eccelso Guédiguian, a questo punto), la nostra Nadežda non appare del tutto con le spalle al muro. Il suo rifiutare un aiuto economico da figure che la potrebbero sostenere, ma che lei critica sul piano della condotta personale, morale (essenzialmente il padre, messosi con una donna molto più giovane), falsa e non di poco il discorso, lasciando che certi dialoghi famigliari scadano al livello di un’insulsa sit-com. Davvero un peccato. Perché procedendo in questo modo il film mantiene viva una certa curiosità per l’esito finale della vicenda, ma riduce notevolmente il livello dell’empatia, nei confronti di una protagonista le cui decisioni da un certo punto in poi possono apparire eccessivamente brusche, nonché evitabili e in fin dei conti poco motivate.

Info
La scheda di The Lesson sul sito del Trieste Film Festival.

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