Questione di karma

Questione di karma

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Solito copione ormai pericolosamente stantio: un duo di attori (stavolta anche male assortiti), uno spunto fiacco tirato per le lunghe, scarso interesse verso la risata e i tempi comici. Con Questione di karma di Edoardo Falcone trova conferma la crisi di idee della nostra commedia.

All Things Must Pass

Giacomo è rimasto segnato dal suicidio del padre, un ricco industriale, avvenuto quando era appena bambino. Per reagire a ciò si è rifugiato nel suo mondo, disinteressandosi dei destini dell’azienda di famiglia, e si è convinto che il padre debba essersi per forza reincarnato in un altro uomo. Riesce a individuarlo in Mario Pitagora, un meschino arraffone indebitato con mezza Roma… [sinossi]

Il già angusto microcosmo scenico della nostra commedia sembra farsi di film in film, di autore in autore, di attore in attore, di produttore in produttore, sempre più piccolo e asfittico: la formula che ha raggiunto il suo inaspettato apogeo con Benvenuti al Sud si è rapidamente incancrenita e ora vive una fase – estenuante – di ripiegamento, di ripetizione ossessiva di temi, di regie similari, di interpreti che si ripropongono, di storie non storie che si assomigliano (Nord/Sud, Sud/Nord, maschi contro femmine, femmine contro maschi, ingenui contro furbi, ricchi contro poveri, dove i conflitti sono ovviamente sempre di facciata e mai reali e problematizzati). Sono in pochissimi che, pur restando nel campo della commedia, cercano di sganciarsi da questa ossessiva difesa del proprio orticello spettatoriale provando a fare qualcosa di diverso: in questi giorni in sala le eccezioni sono rappresentate dai pur imperfetti Omicidio all’italiana e Smetto quando voglio – Masterclass.

Il resto è un terreno ormai desolante e stavolta non si può dar torto a Mereghetti per aver individuato in Questione di karma un sorta di punto di non ritorno: la seconda regia di Edoardo Falcone, dopo il non disprezzabile Se Dio vuole, ripete gli ingredienti del suo primo film smorzandoli ulteriormente, e ci propina allo stesso tempo la ricetta consolidata e rafferma di questi tempi: un duo di attori che prevalgono sul senso della storia e che non diventano mai personaggi, gag totalmente assenti (in particolare quelle fisiche, ma perché non si fanno più?), uno spunto narrativo esilissimo che non si regge sulle variazioni sul tema (perché non vengono neppure concepite come possibili) e che dunque si stiracchia fino alla fine, una regia pseudo-pubblicitaria apparentemente elegante ma in realtà desolatamente vacua in cui la finzione del set prevale sempre rispetto alla verosimiglianza del luogo in cui ci si trova. E, ad esempio, quando si gira in esterni basterebbe avere un po’ più di rispetto verso una supposta coerenza visiva ed evitare quantomeno di smarmellare il quadro con delle luci artificiali. Ma, in fin dei conti, il limite registico sarebbe anche il meno grave dei problemi, perché non è che si chiede a una commedia di essere girata bene, gli si chiede di far ridere. Eppure, anche questo obiettivo non sembra interessare troppo a Falcone.

In tutto questo in Questione di karma è sbagliata anche la coppia di protagonisti: da un lato Elio Germano nei panni del romano truffaldino, alla sua prima prova in una commedia mainstream, dall’altro Fabio De Luigi all’ennesima esperienza in prodotti simili. E se il primo riesce a portare a casa la pagnotta grazie alle sue doti d’attore e alla scelta di riproporre – in versione edulcorata – una recitazione simil-Suburra, il secondo non regge il confronto, dimostrando ancora una volta di non potersi liberare del suo retaggio televisivo. L’estenuante voice over iniziale, in cui ci viene raccontato il suicidio del padre di De Luigi, è il primo lampante esempio d’inadeguatezza dell’attore che ci faceva ridere ai tempi di Mai dire gol. Una inadeguatezza che viene poi riproposta nel corso di tutto il film, per un interprete cui sarebbe preferibile affidare ruoli eccessivi e macchiettistici e non i mezzi toni e le incertezze melanconiche che dovrebbero connotare il personaggio che interpreta in Questione di karma.
Germano e De Luigi sembrano dunque recitare in due film diversi, i loro tempi non si amalgamano mai e, soprattutto, dopo pochi minuti che si sono incontrati, Falcone ci avverte che la loro conoscenza non si approfondirà, visto che decide di coprire i loro dialoghi e le loro scenette per le strade di Roma con una musichetta accomodante.

Ma, oltre che su di un piano strutturale, il film di Edoardo Falcone lascia perplessi anche su tanti piccoli – e solo apparentemente insignificanti – dettagli: lo studio dell’antiquario in cui viene portato Elio Germano (che ha un debito con lui) non è connotato in alcun modo e potrebbe essere benissimo una delle stanze della maestosa villa in cui abita De Luigi (eppure siamo al cospetto di una produzione tutt’altro che povera); la finestra da cui si è buttato il padre di De Luigi sembra essere sita al primo piano (come fa ad essere morto?); De Luigi non parla con accento romano e nessuno gli fa notare questa stranezza (sarebbe bastata una linea di dialogo per giustificare la cosa); la moglie di Elio Germano odia il marito sin dall’inizio ma non lo caccia di casa e non si capisce perché (non basta dire che un avvocato costerebbe troppo, cosa ci vorrebbe a buttarlo fuori dalla porta?); il padre di De Luigi fabbricava matite e queste non diventano mai elemento scenico e/o tematico se non per due inquadrature dall’alto (e non sarebbe stato meglio renderle in qualche modo significative all’interno del film?); la risoluzione del ‘caso’ o meglio del malinteso in cui è incorso De Luigi è assolutamente risibile ma viene maldestramente enfatizzata dalla regia come se si trattasse della scoperta dell’America. Infine, visto che comunque siamo in ambito di reincarnazioni e di new age, Falcone piazza sui titoli di coda All Things Must Pass di George Harrison: un gesto tracotante e ambizioso che non risponde per nulla al tono del film e che fa il paio con le citazioni svilenti di Ozu e Kurosawa.
Si salva giusto un grande vecchio. Non la Sandrelli o Eros Pagni, che fanno il minimo indispensabile, quanto Philippe Leroy. L’ottantasettenne attore francese, in scena purtroppo per pochissime pose, ci ricorda – bontà sua – che un attore può rendere convincente qualsiasi battuta.

Forse Questione di karma paga colpe non esclusivamente sue, capitando in un momento della stagione in cui il livello di sopportazione verso questo tipo di prodotti è ormai bassissimo. È pur vero però che il nostro cinema non può continuare così, a vivacchiare su idee trite e ritrite, in difesa di non si sa quale fortino, visto che gli incassi – con pochissime eccezioni – anche per questo tipo di lavori si assottigliano sempre di più. Ma tutto passa, e passerà anche questo.

Info
Il trailer di Questione di karma su Youtube.
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