Ricky – Una storia d’amore e libertà

Ricky – Una storia d’amore e libertà

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Inizia come un film dei Dardenne, poi sembra potersi trasformare in melodramma domestico, quindi in horror quotidiano e infine in libera favola fantastica: è Ricky – Una storia d’amore e libertà di François Ozon che, come al solito, riesce a spiazzare lo spettatore.

Una favola di bambino

Katie vive con la figlia. Un giorno conosce Paco. Tra i due nasce un’immediata attrazione e l’uomo va a vivere a casa della donna. Dalla loro relazione nasce un bambino, Ricky. Tutto sembra procedere normalmente. La donna però un giorno si accorge che il neonato ha dei lividi sulla schiena. Sospetta subito che Ricky sia stato maltrattato dal compagno. In realtà si tratta di un bambino fuori dal comune al quale stanno spuntando le ali… [sinossi]

Una cosa bisogna ammetterla: François Ozon non fa mai un film uguale all’altro. Il cineasta francese si può amare o detestare o entrambe le cose. Però è chiaro che il suo percorso filmografico, anche nevrotico, è sicuramente inafferrabile. Dopo il melodramma fassbinderiano di Angel, Ozon torna apparentemente a quella dimensione familiare più chiusa e a quell’atmosfera da “piccolo film” che aveva caratterizzato Sit-com. Come spesso avviene nella sua opera però, c’è sembre un elemento destabilizzante che fa cambiare improvvisamente velocità al film.
Liberamente ispirato al racconto Moth di Rose Tremain, Ricky – Una storia d’amore e libertà potrebbe apparire come uno dei progetti più estremamente visionari del regista.
Inizialmente sembra di assistere infatti a una sorta di documentario familiare, con le immagini della madre che accompagna la figlia a scuola che, per certi aspetti, può richiamare nella mente quei frammenti di realtà presi dal vivo che portano ad accostare questa pellicola all’opera dei Dardenne. Poi dal momento della mutazione del neonato, Ricky muta radicalmente in qualcos’altro.

Con quei segni sulla schiena del bambino si pensa inizialmente che l’opera possa accostarsi alle forme di un (melo)dramma domestico, poi di una specie di horror quotidiano, infine in una libera favola fantastica. Certo, si tratta di una scommessa estrema, tra le più radicali di quelle del cinema di Ozon. La linea di separazione tra attrazione e repulsione nei confronti di questo tipo di cinema è labilissima e non ci vuole nulla per passare da una parte all’altra. Però Ricky è l’esempio di un film diretto da un regista al quale non manca il coraggio di rischiare.
Il momento del volo meccanico del bambino nel supermercato è insieme tragico, comico, grottesco e disegna infinite traiettorie impazzite, simili a quelle descritte dal grande Robert Altman in Anche gli uccelli uccidono. Nel regista statunitense il volo era la metafora per evadere dalle miserie dell’America tradizionalista. In Ozon diventa invece il bisogno di mostrare, come spesso accade nel suo cinema, il lato straniante della realtà. Come è accaduto anche in passato, questo non è sempre ben messo a fuoco. Però è proprio la sua indefinitezza, la sua fuggevolezza, a rendere meglio la sua natura irrazionale.

Info
Il trailer di Ricky su Youtube.
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