The Grandmaster

The Grandmaster

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In un crescendo emotivo sorprendente, The Grandmaster racconta le parabole esistenziali dei maestri del kung-fu, le vite sacrificate, i destini segnati dalla ricerca della perfezione, dell’onore, del dovere. Presentato alla sessantatreesima edizione della Berlinale.

D’amore, di vendette e di equilibrio (formale)

La storia di due maestri di kung fu: lui viene dalla Cina del sud, lei dal nord. Lui si chiama Ip Man, lei Gong Er. I loro sentieri si incrociano a Foshan, la città in cui vive l’uomo, alla vigilia dell’invasione giapponese del 1936. La Cina è in tumulto e il sud vacilla sull’orlo di una divisione dal nord. Il padre di Gong Er è un rispettato maestro di arti marziali, e viaggia fino a Foshan, dove sceglie il leggendario bordello “Il padiglione d’oro”, in cui convergono tutti i migliori artisti marziali del paese, come luogo adibito alla cerimonia per il suo pensionamento. Questa storia di tradimenti, sfide, onore e amore si agita sul caotico sfondo della guerra e dell’occupazione… [sinossi]
Lo troverò quel maledetto
e con un colpo mio mortale
vedrai gliela farò pagare…
dalla sigla di Judo Boy
L’attesa è finita. Il nuovo, abbacinante e struggente lungometraggio di Wong Kar-wai inaugura come meglio non si potrebbe la sessantatreesima edizione della Berlinale. The Grandmaster, oggetto del desiderio del mondo cinefilo, plasma le acrobatiche geometrie wuxia con il gusto melò del cineasta hongkonghese, con la sua inconfondibile e millimetrica mise-en-scène [1]. Il risultato finale, in un crescendo emotivo quasi sorprendente, è una pellicola che sembra sorvolare la storia cinese per raccontare delle parabole esistenziali dei maestri del kung-fu, di vite sacrificate, di destini segnati dalla ricerca della perfezione, dell’onore, del dovere.

La giovinezza, gli anni a Foshan e Hong Kong, la seconda guerra sino-giapponese e la guerra civile cinese, come i destini dei figli e della moglie di Ip Man, restano sullo sfondo, fagocitati dalle esasperate ellissi di Wong, da una narrazione che vuole focalizzarsi sull’essenza delle arti marziali e sulla fiamma che brucia inesorabilmente i maestri, al tempo stesso eroi, artisti e vittime. The Grandmaster, per scelta e forse anche un po’ per necessità, si insinua tra i tanti vuoti di Ip Man di Wilson Yip, film creato ad arte per sbancare il box office e per esaltare le doti del funambolico Donnie Yen.

Dopo una prima parte introduttiva, più classica e prevedibile nello svolgimento, il film si abbandona alle suggestioni melodrammatiche, inanellando una serie di scene magistrali, visivamente spettacolari ed emotivamente sovraccariche: ancora una volta, il cinema di Wong Kar-wai riesce a utilizzare la pellicola come una tela, disegnando sequenze che sembrano tableaux vivants sospesi in una dimensione altra, parallela alla nostra. Si vedano, ad esempio, i movimenti di macchina, accompagnati da un brano lirico, che sembrano quasi accarezzare Gong Er (Zhang Ziyi) e Ip Man (Tony Leung Chiu Wai) – il loro incontro è uno spartiacque narrativo ed estetico, enfatizzato dalla successiva coreografia del combattimento, in cui rivalità e attrazione si fondono e confondono, anticipando il tema del sacrificio e del rimpianto.
Il legame impossibile tra Gong Er e Ip Man è una delle chiavi di lettura del film. I loro volti si sfiorano, come per un attimo si intrecciano i destini di Gong Er e “The Razor” Yixiantian (Chang Chen) sul vagone di un treno, ma la loro vita è segnata, sacrificata alla pratica del kung-fu, allo spasmodico raggiungimento di una perfezione inafferrabile. Mentre sullo sfondo scorre la Storia, le vite dei maestri si consumano: nelle ellissi muoiono figli e mogli, amici e parenti, ricordati da una didascalia o dalla voce narrante, mentre l’oppio inghiotte l’ultima erede delle “sessantaquattro mani”, in una sequenza leoniana. Splendida, tra l’altro. Come sarebbe la vita senza rimpianti?

Wong Kar-wai porta sullo schermo la plasticità del wuxia, declinando il genere (come già aveva fatto con glaciali geometrie Zhang Yimou) alla sua maniera, evitando ancora una volta di impantanarsi nelle sabbie mobili dell’ipermelodramma: Ip Man, icona del kung fu e grande maestro del wing Chun [2], non è un simulacro, una pedina da muovere a proprio piacimento in quadretti patinati, ma un personaggio vivo e pulsante. Come viva e pulsante, straziante nella sua rigorosa e consapevole parabola di autodistruzione, è Gong Er, eroina tragica che ha trovato in Zhang Ziyi l’interprete ideale.

Note
1. Nel 1994, ça va sans dire, Wong Kar-wai si era già confrontato con il wuxia, scrivendo e dirigendo Ashes of Time. L’ultimo lungometraggio risale invece al 2007, Un bacio romantico – My Blueberry Nights, trasferta in terra occidentale con qualche inevitabile chiaroscuro.
2. Uno degli stili del kung-fu, ideato secondo la tradizione dalla monaca buddhista Ng Mui nel XVII secolo.
Info
Il trailer italiano di The Grandmaster.
The Grandmaster sul canale Film su YouTube.
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