La signora dello zoo di Varsavia

La signora dello zoo di Varsavia

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L’orrore nazista che non si ferma davanti a nulla, nemmeno davanti a degli indifesi animali: La signora dello zoo di Varsavia adotta toni fiabeschi e spesso grossolani, senza però perdere la dignità un po’ d’antan del racconto edificante.

L’animale che mi porto dentro mi fa vivere felice

Polonia 1939. L’invasione nazista porta devastazione in tutto il paese e la città di Varsavia viene ripetutamente bombardata. Antonina e suo marito Jan, custodi dello zoo della città, si ritrovano da soli a salvare i pochi animali sopravvissuti. Quando la violenza nazista arriva all’apice e inizia la persecuzione degli ebrei, i due coniugi decidono che non possono restare a guardare e cominciano in segreto a collaborare con la Resistenza, intuendo che le gabbie e le gallerie sotterranee dello zoo, possono ora servire a proteggere in segreto delle vite umane. [sinossi]

Bisogna passare attraverso diversi strati di sospensione dell’incredulità spettatoriale per riuscire ad approcciare nella giusta misura La signora dello zoo di Varsavia, film diretto da Niki Caro (già autrice di North Country). Il primo – e più irto – ha a che vedere con il fatto che una storia ambientata nel ’39 nella Polonia invasa dai nazisti sia interpretata perlopiù da attori non polacchi (a partire dalla protagonista, l’americana Jessica Chastain) e che dunque si parli in inglese invece che in quella che dovrebbe essere la lingua madre dei personaggi (e si tratta, purtroppo, di una radicata consuetudine anglosassone, si pensi solo al recente L’uomo di neve).
Il secondo strato – quello più rischioso sul piano dei toni – investe direttamente il ruolo di Jessica Chastain, che deve risultare credibile nei panni di una signora ingenua e zotica tanto da privilegiare la compagnia degli animali a quella degli esseri umani; e se la cosa in sé non è difficile da mettere in scena (sempre meglio essere un maiale che un fascista, ci diceva Miyazaki in Porco Rosso), un tale assunto porta però la zavorra di scenette a enorme rischio kitsch, come quelle in cui la Chastain aiuta a partorire un elefante, o come quando si coccola nel procace petto dei cuccioli di leone.
Il terzo strato di sospensione dell’incredulità spettatoriale – quello meno evidente, ma in fin dei conti più difficile da digerire – deve poi essere superato di fronte all’impostazione forzatamente edulcorata con cui Niki Caro affronta il tema della persecuzione degli ebrei; ma anche questo è oramai uno stereotipo delle messe in scena di questi ultimi decenni, a partire probabilmente dallo Schindler’s List spielberghiano, passando per il nostrano La vita è bella: l’idea, insomma, che lo sterminio degli ebrei possa essere raccontato solo attraverso i codici della favola dei tempi andati, come un raccontino educativo e moraleggiante, sganciato dai riflessi che ha, pericolosamente, ancora nel presente.

Fatta dunque la tara di tutto questo, La signora dello zoo di Varsavia può essere anche un film gradevole, un film d’intrattenimento molto tradizionale, in cui i cattivi (cui dà corpo, nel caso specifico, soprattutto Daniel Brühl) attentano con rapacità alle vite e alle virtù delle vittime, uomini o animali che siano, e in cui lo zoo dismesso diventa rifugio per gli uomini, le donne e i bambini in fuga dalla follia nazista. In questo Niki Caro mostra di avere la mano lieve e delicata, tratteggiando un bel rapporto tra la Chastain e le persone cui dà riparo, a partire dalla ragazzina violentata che, per la violenza subita ha perso la parola e si esprime attraverso il disegno (disegni e graffiti dall’enorme valore simbolico di esistenza e di resistenza intorno ai quali si concentrerà una delle svolte finali del film). La cultura e la forma di espressione artistica, dunque, rappresentano così – sul piano narrativo e anche su quello dell’evocazione – l’ancora di salvezza per dimostrare a se stessi che si è ancora vivi e che si può – e si deve – sopravvivere all’orrore, senza per questo dimenticarlo. E, in tal senso, rientra nel discorso anche la musica che la Chastain suona al pianoforte usata come codice di allerta per le persone che sta aiutando.

Poi, è ovvio che – dato il contesto programmaticamente fiabesco – La signora dello zoo di Varsavia evita di andare a fondo in non pochi tracciati che semina: da un lato il tentativo di sperimentazione genetica che solletica l’ego del personaggio interpretato da Brühl, dall’altro il rapporto predatorio che sempre Brühl vorrebbe imporre alla Chastain, dall’altro ancora tutta la parte finale risolta con soluzioni troppo grossolane. Ma, nonostante questo, qualcosa resta, e il dolore per la perdita di un mondo innocente e ingenuo lo si riesce a percepire con forza. Che poi non esistano mondi fioriti e splendenti, dove tutti si vogliono bene, è un altro paio di maniche, e non è questo che va cercato nel film, modesto ma dignitoso, della neozelandese Niki Caro.

Info
Il trailer di La signora dello zoo di Varsavia su Youtube.
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