La mortadella

La mortadella

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Trasferta a stelle e strisce per Mario Monicelli, che in La mortadella tenta l’analisi della fine del Sogno Americano tramite lo sguardo cinico e perplesso di un europeo. Meno coerente e solido del solito, ma con punte di grande amarezza. Per la prima volta in dvd grazie a CG Entertainment.

Sbarcata a New York per ricongiungersi col fidanzato e futuro sposo, Maddalena Ciarrapico è bloccata alla dogana perché porta con sé una mortadella, regalo di nozze dei suoi colleghi di una fabbrica di insaccati. Determinata a non rinunciare al suo regalo, la donna passa qualche giorno in aeroporto, mentre il caso mediatico intorno al salume proibito monta a dismisura. Una volta entrata negli Stati Uniti, la donna scopre a poco a poco un paese che ha davvero poco della sua immagine brillante divulgata all’esterno… [sinossi]

Nel percorso artistico di Mario Monicelli La mortadella (1971) non ha una buona fama. Considerato un’opera minore dal respiro decisamente esile, spesso è stato anche visto come un puro veicolo divistico per Sophia Loren, mirato all’incrocio tra le sue due carriere, quella italiana e quella oltreoceano. In realtà lo stesso Monicelli aveva già tentato di esportare la commedia all’italiana in ambiente internazionale, realizzando nel 1968 La ragazza con la pistola, dove la “siciliana” Monica Vitti si confrontava con una trasferta in terra britannica. Nasce un po’ sulla stessa idea anche La mortadella, nel tentativo di evocare un confronto tra una spavalda donna italiana e il contesto stavolta newyorkese – e del resto, a fine anni Settanta Monicelli inviterà Goldie Hawn a fare il tragitto inverso in Viaggio con Anita, 1979.
Negli anni della guerra in Vietnam ritorna più volte nel cinema italiano il tema della disillusione a stelle e strisce. Vede la luce nello stesso 1971 Permette? Rocco Papaleo di Ettore Scola, così come nel 1974 sarà il turno di Nanni Loy con Sistemo l’America e torno. A tenere insieme tutte queste opere di autori diversi emerge una generale amarezza, lo scontro con una terra dell’abbondanza che alla resa dei conti è solo fonte di enorme delusione. Paese di libertà e di opportunità per tutti. Ma quando mai. Tra rigidità illiberali e varie miserie, umane e materiali, gli Stati Uniti narrati ne La mortadella sono un catalogo di disperazione e iterati inestetismi.

Il film prende le mosse da uno spunto paradossale piuttosto divertente. Sbarcata a New York per ricongiungersi col fidanzato emigrato, Maddalena Ciarrapico si presenta ai controlli doganali con una mortadella, regalo di nozze dei suoi colleghi di una fabbrica di insaccati. Ma la dogana le impedisce di introdurre negli Stati Uniti questo strano salume, che non risulta nemmeno sul dizionario bilingue. Maddalena s’impunta, ne fa una questione di principio e libertà. Ricavando subito una grande delusione dal fidanzato Michele, ex-comunista tramutatosi in americano tutto d’un pezzo e prono alle regole, anche alle più assurde, la donna passa qualche giorno bloccata all’aeroporto in un limbo simile a quello di Tom Hanks in The Terminal (2004, Steven Spielberg). Intorno a lei, oltre a Michele, ruotano altri due uomini, il doganiere Dominic e il giornalista Jock in cerca di scoop. Riuscita finalmente a entrare negli Stati Uniti, Maddalena costeggia la New York della controcultura, narrata da Monicelli con il consueto sguardo cinico e perplesso. Scagliando i toni acidi della sua commedia verso tutto ciò che è eccentrico, l’autore viareggino rischia qui di passarci un po’ da parruccone conservatore, accumulando un Bignami di luoghi comuni sulla cultura americana.
Così, alla rettitudine d’altri tempi di Maddalena riguardo a matrimonio, famiglia e sesso, si oppone una prassi familiare americana dove ritorna con didascalica insistenza l’accento sul divorzio, sui nuclei esplosi, sui figli posteggiati da una casa all’altra. Acquisisce ulteriore enfasi anche il tema del consumo di droga, di alcool, di psicofarmaci, e l’ossessione tutta a stelle e strisce per i mass-media e per il loro uso esagerato: un cumulo di “modernità” americana vista tramite gli occhi perplessi di un attempato europeo, che sotto sotto è animato da un certo spirito nazionale – l’Italia, o l’Europa se vogliamo, coi suoi sani valori di un tempo, è in sostanza migliore. E poi la microcriminalità, lo sfruttamento sul lavoro, la depressione e l’isteria dei ritmi di vita. Per lunghi tratti La mortadella si delinea come una lista puramente didascalica di storture morali, osservate con il consueto spirito sferzante monicelliano. A sorreggere l’intero film emerge l’idea che il paradiso statunitense sia in realtà (o sia diventato) un inferno a cielo aperto. Le scelte per le location operate da Monicelli rifiutano gli scorci più noti e turistici, come a voler indagare nella misera realtà ai piedi dei grattacieli. Campione di tale modello di vita si profila, specie nella seconda parte, il giornalista Jock, nel quale si assommano nevrosi, precarietà di vita, abuso di psicofarmaci, solitudine metropolitana, mancanza di sonno, ossessione per la competitività, lotta quotidiana con la miseria e le bollette da pagare. Un loser in piena regola incarnato con accenti assai divertenti da William Devane. Sul suo personaggio è condotta un’operazione che forse è tra le cose più interessanti dell’intero film: le modalità del comico applicate al trattamento della sua figura attengono in tutto allo spirito mordace e crudele del Monicelli più maturo, che stavolta si rivolge a un profilo umano alieno all’orizzonte nazionale. In qualche modo, in Jock s’incrociano immagini del tutto pertinenti alla retorica cinematografica americana (il giornalista scaltro ed esagitato) che vengono a incontrarsi con la scalcinata arte di arrangiarsi e il grottesco sulfureo monicelliano.

Qua e là Monicelli abbandona la commedia per aderire a forme più pure di comico. Basti pensare alla folla sconfinata di curiosi, giornalisti e politici (tra di loro, pure un giovane Danny De Vito) che si accalca all’aeroporto intorno alla questione della mortadella, sfruttando l’occasione per ottenere visibilità. O a quella sequenza a episodi in cui la mortadella scatena panico di massa, con piena enfasi sulle manie per la sicurezza in tutto pertinenti alla cultura americana. Se La mortadella cede a qualche vero scivolone, ciò avviene soprattutto nei flashback in cui una canterina Sophia Loren dà conto della sua love story in Italia con l’amato Michele. In quei brani Monicelli sembra ripercorrere un ulteriore filone piuttosto vivace nella commedia italiana di quegli anni: la messa alla berlina del linguaggio popolare filtrato tramite modelli da fotoromanzo, ignoti alla cultura proletaria e per questo assunti passivamente con effetto stridente. Da Straziami ma di baci saziami (1968, Dino Risi) a Dramma della gelosia (1970, Ettore Scola) fino al successivo Romanzo popolare (1974, Mario Monicelli), gli autori di commedia italiana tornano spesso a raccontare una sorta di esproprio culturale condotto dall’alto nei confronti del mondo proletario.
Pure La mortadella, nei suoi flashback, tenta la via del grottesco fotoromanzo degradato, collocandosi peraltro in un ambiguo territorio tra benevola ironia e sguardo dall’alto con un po’ di puzzetta sotto al naso. In questo caso, però, Monicelli ricorre per la maggior parte a una comicità più elementare, quasi tutta visiva, che spesso cade un po’ nel vuoto.
Detto francamente, ne La mortadella l’uso del flashback appare come una pura e semplice zeppa narrativa per guadagnare qualche metro di pellicola e minuto di durata, alla luce dell’esilità dell’iniziale paradosso narrativo. E in tanta ricchezza di rapide figurine bozzettistiche identificate nei personaggi secondari, d’altro canto sembra mancare un vero focus sulla protagonista Maddalena, che spesso si delinea semplicemente come una riedizione della popolana verace e sanguigna, ruolo pressoché paradigmatico nella carriera della Loren. A conti fatti la sua figura non convince, è opaca, ridotta quasi a semplice funzione narrativa per addentrarsi nel sottobosco newyorkese. Una sorta di Virgilio senza particolare personalità, sulla soglia dell’inferno americano. In sostanza, Monicelli sembra voler raccontare sotto svariate forme un unico e solo tema culturale: lo sfruttamento, sul quale si radica l’intera realtà a stelle e strisce. Da inizio a fine Maddalena è sfruttata da tutti, tracciando forse un tentativo allegorico intorno al rapporto tra America ed Europa. Promettendo all’Europa il paese dei balocchi, in realtà l’America attira nella sua trappola di speranza quel vecchio continente che sempre ha avuto un occhio benevolo verso i cugini liberatori, specie in Italia. Per cui l’Europa è sfruttata e tradita, altro tema che assumerà tratti fortemente allegorici in Maccheroni (1985, Ettore Scola).

Malgrado molte debolezze e una struttura decisamente meno solida e coerente del solito Monicelli, La mortadella non merita comunque la cattiva fama che ha. Nella sua seconda parte, che sembra pure piuttosto scollata rispetto all’iniziale grottesco intorno al salume della discordia, il film indovina molte amarezze, e sposa uno spirito sferzante con punte inaudite di acidità comica – siamo appena agli inizi degli anni Settanta, ma lungo il decennio la commedia all’italiana andrà incontro a un insostenibile inasprimento dei toni. Basti pensare al breve tratteggio dei due figli di Jock, mollati all’ex-marito dalla mamma (una giovane Susan Sarandon, che nei titoli di coda è accreditata come “Sarendon”), bambini viziati e consapevoli oltre ogni misura tanto da saper utilizzare spietatamente il ricatto emotivo minacciando di tagliarsi le vene. Come spesso accade, anche stavolta viene da chiedersi quale autore si sentirebbe libero oggi di girare una sequenza con tale cattivissima libertà e spregiudicatezza, e senza alcuna perifrasi visiva.
Certo, La mortadella aderisce a una didascalica rigidità di messaggio che condiziona più del necessario il suo racconto, affastellato com’è di notazioni sociologiche sotto forma di enumerazione moraleggiante. Ma quantomeno è da apprezzare il tentativo di raccontare l’America del Vietnam e della controcultura tramite lo sguardo di un europeo, e varrebbe la pena vedere il film anche solo per gli impensabili accostamenti di attori. Vedere Sophia Loren interagire con Susan Sarandon, sia pure per pochi minuti, e ritrovare tra i doganieri dell’aeroporto il David Doyle che di lì a qualche anno occuperà la poltrona di Bosley nel telefilm “Charlie’s Angels”. Certo, le meraviglie del cinema magari sono altre, ma pure le curiosità d’epoca hanno un loro gusto tutto particolare.

Extra
Assenti.
Info
La scheda di La mortadella sul sito di CG Entertainment.
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