Passe ton bac d’abord

Passe ton bac d’abord

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Altro capolavoro della filmografia di Maurice Pialat, cui quest’anno è dedicata una retrospettiva alla Festa del Cinema di Roma, Passe ton bac d’abord è il divertente e doloroso frammento di vita di un gruppo di maturandi di provincia, che non vorrebbero crescere.

Maturità, non t’avessi mai preso

Lens, Francia. Quasi arrivati al momento dell’esame di maturità, degli studenti cercano di non pensare al futuro passando le loro serate e i loro weekend a divertirsi, a litigare, a fare sesso, e via dicendo. [sinossi]

Nel rivedere un film come Passe ton bac d’abord, diretto da Maurice Pialat nel 1978, sembra inevitabile pensare a una forma di cinema contemporaneo che gli è molto affine, quella proposta da Kechiche in particolare con il suo film più recente, Mektoub, My Love: Canto Uno. E, dietro a una meccanica simile, soprattutto nel lavorare sulla spontaneità recitativa dei giovani attori non professionisti, pare evidente però che il plusvalore di Pialat sia caratterizzato dal modo in cui questi riesce a nascondersi dalla scena come presenza autoriale giudicante, cosa che invece a Kechiche – soprattutto negli ultimi anni – non riesce troppo bene. Laddove infatti il regista di La vita di Adele è vagamente moralizzante e prepotentemente voyeuristico, Pialat in Passe ton bac d’abord – ma anche in altri suoi film, come L’enfance nue e Loulou, ad esempio – delega giusto a qualche linea di dialogo finale la sua visione del mondo, riuscendola al contempo a farla coincidere perfettamente con quella del personaggio che parla per bocca sua. È quando uno dei ragazzi protagonisti del film, che ha ormai preso la maturità, si lascia andare a una considerazione esistenzialista con sua madre: la vita non è mettere su famiglia, fare figli, preparare le cene, ecc.; la vita è altro, anche se non sappiamo, se non possiamo sapere cosa sia esattamente. Tutto questo è per l’appunto quel che abbiamo visto fino a quel punto in Passe ton bac d’abord, fluito davanti a noi in maniera come casuale, estremamente realistico, sorprendentemente spontaneo, per una continua e inesausta fragranza del reale.

Dunque va dato merito alla Festa del Cinema di Roma di aver riportato su grande schermo un autore parzialmente dimenticato, anche se non bisogna tacere il fatto che si sarebbero potute trovare delle copie migliori e che forse si poteva fare lo sforzo di proiettare qualcosa in pellicola. Vi è anche da dire che sarebbe stato utile trovare indicato nel programma l’incontro sul cinema di Pialat, alla presenza della vedova del regista, di Serge Toubiana, di Alain Bergala e di Luciano Tovoli (che ha fotografato per lui Police), organizzato per l’occasione della proiezione di L’enfance nue, ma non annunciato in alcun modo tanto da prendere decisamente alla sprovvista il pubblico.

Ma al di là di problemi tecnico-organizzativi e al di là del confronto con Kechiche, resta la bellezza abbacinante di Passe ton bac d’abord che è incorniciato – non a caso – da una lezione del professore di filosofia, il quale invita i suoi studenti a compiere il paradossale sforzo di disimparare la filosofia per poterla davvero imparare. Questa lezione iniziale sembra assumere immediatamente il valore di una dichiarazione d’intenti da parte del regista: disimparare a fare cinema – il cinema borghese, quello con effetti, con commento musicale (anche qui, come in L’enfance nue, assente), con un ordito e un intento autoriale ben riconoscibile e controllato – disimparare a farlo per imparare a farlo davvero: per arrivare dunque a un cinema libero e leggero nell’uso dei mezzi ed evenemenziale nella costruzione narrativa, tanto da dare l’impressione che i personaggi appaiano e scompaiano dal campo non per necessità strutturali quanto per un fluido movimento esistenziale, e che dunque si segua – come in certo cinema documentario – chi ha qualcosa di più pratico da fare, o chi sta facendo qualcosa di più interessante rispetto ad altri.
Ma poi, quando qualcuno di loro è stato bocciato ed è dunque costretto a ripetere l’anno, ascoltiamo di nuovo la lezione del professore, e questi usa le stesse identiche parole dell’anno precedente. E, dunque, l’illuminante ma un po’ telefonata rivelazione autoriale dell’incipit viene qui smontata – anche perché una delle ragazze che la ascolta si lamenta perché la conosce a memoria – finendo perciò per complicare le cose: se è vero che il professore di filosofia è l’alter-ego di Pialat, è altrettanto vero che è un po’ patetico e ripetitivo, che forse non è così geniale come vorrebbe far credere ai suoi giovani – ma non più ingenui – studenti. Non a caso, il personaggio del professore si veste leggermente di ridicolo in un paio di occasioni, in particolare nel momento in cui fa delle allusioni sessuali a una sua studentessa mentre bevono in una brasserie, allusioni che la ragazza rigetta prontamente. Anche se non ci prova mai veramente, è chiaro che vorrebbe portarsela a letto. In tal modo perciò, attraverso questo personaggio, Pialat in Passe ton bac d’abord un po’ si rivela e un po’ si nasconde, un po’ dice il giusto e un po’ si comporta male, vuole fare il giovane ma ormai è vecchio e, anche se non si fa sfruttare come il tizio che paga il pranzo a tutta la compagnia di liceali senza riuscire a ottenere i favori sessuali che sperava, deve per forza farsi da parte rispetto alla vitalità della gioventù e alle regole insondabili che governa i suoi comportamenti.

Ma quel che il presunto alter-ego di Pialat non riesce a fare, riesce invece a farlo il Pialat regista, capace in Passe ton d’abord di riuscire nell’impresa di descrivere una decina – se non di più – di adolescenti tutti credibili e tutti con delle caratteristiche precise e differenti. E tutto sembra scorrere come un fiume placido e tranquillo – con qualche imprevista increspatura, come un litigio furibondo tra una madre e una figlia – fino all’arrivo della foce, dove ci si scopre improvvisamente incapaci di restare a galla a fronte delle regole severe e codificate della vita adulta. Ed è sorprendente che questo modo di fare cinema, improntato a una estrema libertà espressiva e giocato così tanto sulla meccanica dell’improvvisazione, non sia più preso a modello oggi, proprio quando – grazie a camerine digitali e telefonini – tutto sarebbe molto più facile dal punto di vista tecnico rispetto al passato. Ma, forse, di questi tempi c’è meno voglia di disimparare e troppa presunzione di sapere già troppo.

Info
La pagina Wikipedia di Passe ton bac d’abord.
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