Eliana e gli uomini

Eliana e gli uomini

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Dopo French Cancan, Jean Renoir realizza un’altra “fantasia musicale”: un film leggiadro e ironico, animato da una sensualità e una giocosità al cospetto delle quali è impossibile non capitolare, con protagonista una deliziosa Ingrid Bergman. In programma stasera alle 21 al Palazzo delle Esposizioni di Roma per la rassegna su Renoir, organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, Institut Français e La farfalla sul mirino.

Il peso della leggerezza

Nella Parigi di fine ‘800, Elena Sokorowska (Ingrid Bergman), un’affascinante giovane vedova polacca, convinta di dover far da musa agli uomini con ambizioni importanti, li aiuta nella scalata al successo e si trova al centro di una girandola di equivoci sentimentali. Un generale impegnato in un colpo di stato e un simpatico conte si sfidano per accaparrarsi le sue grazie. [sinossi]

Eliana e gli uomini è una gemma incastonata nell’ultima parte della carriera di Renoir, che va a comporre con La carrozza d’oro (1952) e French Cancan (1954) un’ideale trilogia sull’artificio e le sue infinite possibilità espressive. Il faro rimane l’instancabile ricerca del regista francese sul teatro e le sue molteplici applicazioni, ma è innegabile che il film sia costruito anche e soprattutto in funzione di uno sfavillante utilizzo del Technicolor e di un tono burlesco e scacciapensieri, brioso ma mai bidimensionale. «E se Eliana e gli uomini è il film francese per eccellenza, è perché è il film più intelligente del mondo. L’arte e al tempo stesso la teoria dell’arte. La bellezza e al tempo stesso il segreto della bellezza. Il cinema e la spiegazione del cinema», dirà in proposito Jean-Luc Godard.

Le parole del più radicale e oltranzista dei maestri del cinema transalpino tradiscono un’entusiasmo e un’adesione priva di chiaroscuri che dice molto della maniera di Eliana e gli uomini di toccare corde archetipiche della seduzione attraverso le facezie sentimentali tra la vedova in esilio di un principe polacco, che vive a Parigi nel 1880 e usa come talismano una margherita, e un pugno di uomini che le ronzano attorno: il generale François Rollan, il visconte di Chevincourt, anch’egli innamorato di lei, e l’industriale Martin-Michaud, che irrompe nella sua vita per chiederla in moglie. Un gruppo di persone che si ritroverà riunito nel castello di Bourbon-Salins, nel corso di una festa che proseguirà nella residenza Rosa la Rose. Nomen omen, visto che Eliana e gli uomini è baciato da una grazia di stampo evidentemente floreale e dispensa, sotto l’apparente piglio arguto e scacciapensieri, spunti di riflessione non banali su un’umanità che è in grado di pensarsi, e va da sé di riprodursi e rappresentarsi, esclusivamente attraverso il filtro della messa in scena e dei suoi strascichi.

Una doppiezza meta-cinematografica e meta-testuale che Renoir maneggia per indagare il mistero insondabile dell’armonia tra le parti, con un piglio illustrativo che non rinuncia a fare del bello, a livello non solo amoroso ma anche figurativo, la sola possibile chiave di volta per sfiorare le connotazioni più profonde e recondite dei suoi personaggi. Senza svelarle, ma caricandole di un mistero buffo che è interamente e amabilmente estetizzante, riposto con perizia sartoriale nelle pieghe di un abito di splendida foggia, abilmente vestito a festa. Il film non sviscera mai le proprie peculiarità né quelle dei suoi attori in campo ma si limita ad accarezzarle, in maniera bonaria e disimpegnata. Tanto che, di primo acchito, risulta difficile inserire quest’opera nel pantheon del miglior Renoir, salvo poi, da una prospettiva meno immediata e istintiva, accorgersi di quanto la vena ludica del cineasta de La regola del gioco continui a farsi sguardo sul mondo e specchio riflettente, in questo caso, di una gioia del vivere rispetto alla quale è impossibile rimanere immuni e non lasciarsi travolgere, anche grazie alle musiche di Joseph Kosma e alle canzoni cantate da Léo Mariane e Juliette Gréco.

Il merito è soprattutto dei cromatismi rutilanti ma mai esasperati, con una sovrabbondanza di décor ma anche di personaggi che si accontentano di gravitare intorno alla protagonista rimanendo dietro le quinte. Senza mai apparentemente chiedere, né al regista né allo spettatore, le luci della ribalta del proscenio o una qualche forma di beatificazione e legittimazione drammaturgica. Anche la storia, e la Storia con la s maiuscola, rimangono analogamente in secondo piano, con i festeggiamenti per la presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, avvenuta un secolo prima del tempo in cui Eliana e gli uomini è ambientato, che sembrano una voce lontana eppure presente: un monito al collettivismo che però si stempera amabilmente in un corredo infinito di abiti e presenze più o meno rivelanti. Il loro ammassarsi riempie deliziosamente il film del peso di una leggerezza che sa di gomma piuma, ma che al suo interno cela un preciso sentimento del mondo, una presa di coscienza della caducità che non intende soccombere al pessimismo ma rimpiazzarlo con un’evasione coloratissima e, a dispetto delle sembianze con cui si offre, estremamente carica di senso.

In virtù di queste premesse tutti gli elementi formali di Eliana e gli uomini, ispirato liberamente al fallito colpo di stato del generale Boulanger, danno l’idea di concorrere allo stesso obiettivo: i dialoghi come gli arredi, le suppellettili alla stregua degli arazzi e dei soffitti. Si potrebbe avere la sensazione di trovarsi al cospetto di un film barocco, ma a conti fatti questo film di Renoir, che usa il Technicolor come una tavolozza inneggiante alle infinità possibilità del cinema a colori (come già Il fiume, parentesi indiana del regista), al bombardamento sensoriale sembra prediligere lo svelamento del trucco, con fare placido e amabile. Un’affezione per il gioco di prestigio non esente da improvvisi schiocchi d’ironia e dalla propria consueta ottica pesantemente sbilanciata verso la modernità, nella quale la molteplicità non è, banalmente, ricomposta o assorbita a forza, ma evidenziata sempre e comunque nella sua irriducibile frammentarietà, tanto sfuggente quanto struggente.

Eliana e gli uomini altro non è che una piacevole, continua rincorsa senza meta, nella quale sia le schermaglie sociali che gli inseguimenti amorosi non hanno alcuna gravità. Una corsa a cuor leggero che si offre al nostro sguardo, ancora oggi, in tutta la sua ingenua nudità, senza infingimenti e senza ripensanti, lasciando scolorire anche l’erotismo nell’occhiolino e il conflitto nella semplice baruffa. Senza per questo svilire gli amori e le pulsioni, ma proiettandoli su un piano in cui ogni cosa è illuminata da un favolismo quasi chapliniano («Con Elena il cinema ritorna alle origini e Renoir alla sua giovinezza», disse Truffaut sul film citando proprio Charlot).

E a svettare, al netto di tutto, è una protagonista femminile svampita ed eccentrica che ha il potere, liberatorio e insieme rigenerativo, di assoggettare e richiamare intorno alla propria figura la bussola e le coordinate di un universo maschile di ufficiali e gentiluomini, di ansie dittatoriali e volontà di sopraffazione e di potenza. A ben vedere, Eliana e gli uomini non è solo una summa dell’iconografia francese, portata avanti con solare disincanto, ma anche il film di Renoir che più di ogni altro, spalanca gli occhi sulla “belle époque” e si lascia permeare dal suo spirito.

Info
La scheda di Eliana e gli uomini sul sito del Palazzo delle Esposizioni.
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