Artificial Paradise

Artificial Paradise

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Presentato al Bergamo Film Meeting nell’ambito della personale sull’autore sloveno Karpo Godina, nome cardine della Black Wave jugoslava, Artificial Paradise racconta dell’incontro delle parabole di vita di due grandi cineasti e diventa una summa della trilogia del regista sulle arti, con la settima arte che comprende tutte le altre.

Hocus pocus

Los Angeles, 1935. Fritz Lang riceve nella sua camera d’albergo Willy, un giovane cinefilo che desidera intervistarlo. Così, il regista rievoca un episodio avvenuto vent’anni prima: l’incontro con l’avvocato Karol Gatnik, cineasta amatoriale, durante un periodo di vacanza in Slovenia. Lang, all’epoca ufficiale di artiglieria, instaura con l’uomo e con la sua famiglia una profonda e sincera amicizia. L’interesse di Gatnik per il cinema e le esperienze maturate con la propria cinepresa diventano occasione di scoperta e sperimentazione anche per Lang. [sinossi]

Karpo Godina è stato uno dei protagonisti della Black Wave jugoslava, anche nel suo sodalizio artistico con Želimir Žilnik, con cui lavorò, nei panni tanto di montatore quanto di direttore della fotografia, al suo capolavoro Early Works. Artificial Paradise (titolo originale: Umetni raj), riproposto dal Bergamo Film Meeting 2019 per un omaggio al regista, rappresenta il compimento di una trilogia di lungometraggi che Godina realizzò agli inizi degli anni Ottanta, dopo un periodo quasi decennale di interdizione imposto dal governo. Ognuno di questi film tratta di una forma d’arte e del rapporto tra arte e società. Se The Raft of Medusa è incentrato sulle avanguardie artistiche degli anni Venti, Red Boogie sulla musica, jazz, boogie, blues e del folklore, Artificial Paradise è incentrato sul cinema. Godina racconta romanzando un episodio davvero avvenuto nel 1915: l’incontro tra un giovane Fritz Lang, all’epoca militare nella Prima guerra mondiale, e Karol Grossmann (che nel film si chiama Karol Gatnik), il pioniere del cinema nell’Impero austro-ungarico, autore di filmati amatoriali nei primi del Novecento, nella città slovena di Ljutomer.

Attraverso la figura di Fritz Lang, interpretato da un attore dalla straordinaria somiglianza, Jürgen Morche, Karpo Godina rievoca un cinema maestoso, come quello del periodo tedesco del regista, che si situava all’incrocio di tante espressioni artistiche, l’architettura, la pittura l’espressionismo. E rievoca il passaggio di testimone con un cinema delle attrazioni, quello di Grossmann che era anche teatrante e prestigiatore (come Méliès), così come una successiva staffetta, quella della Hollywood di metà anni Trenta, dove il cinema veniva innovato dai registi della diaspora tedesca. Nel film si evoca anche Capriccio spagnolo, programmato in una grande sala art decò di Los Angeles, di Josef von Sternberg con Marlene Dietrich.

Coerentemente con l’impianto metacinematografico di Artificial Paradise, il flashback di Fritz Lang parte come se lui stesso lo dirigesse, ordinando lo spegnimento delle luci. E tutto il film, summa di una trilogia su arte e cinema, concorre a identificare la settima arte come quella che contempla tutte le altre. C’è la pittura, nei grandi dipinti sullo sfondo, così come i trompe-l’œil, che fungono spesso da scenografie, affreschi e pale d’altare, c’è il teatro che usa normalmente scenografie e costumi, e gli interni riccamente decorati, dall’accurata composizione dell’immagine, come delle nature morte con i cesti di frutta su ogni tavolo, c’è la scultura: tutto in un’estetica Art Nouveau. Scene che spesso si intersecano con frammenti di Metropolis, film architettonico per eccellenza, e con altre opere del Maestro. E il cinema agisce come collante anche in quella scena che funziona su una scomposizione primaria, Fritz Lang che sfoglia velocemente, in un’immagine in movimento, un libretto illustrato che raffigura Sigfrido, anticipando i suoi Nibelunghi. C’è anche il cinema all’aria aperta, nelle scalate in montagna di Gatnik con la moglie che anticipano il filone del cinema di montagna dell’UFA. E Karpo Godina riesce a catturare l’essenza del cinema finanche nella sua illusione di tridimensionalità, con le sagome di Marlene Dietrich esposte nella hall del grande cinema di Los Angeles. E nella Los Angeles illuminata al neon degli anni Trenta, nella storia compaiono figure femminili come di dark lady: l’atmosfera è quella del noir di quel tempo, cui Lang avrebbe pure regalato altri capolavori.

Già nel suo cortometraggio About the Art of Love or a Film with 14441 Frames, del 1972, Karpo Godina usava il cinema come metafora. Si trattava di un film commissionato dall’esercito per riprendere le truppe, che il regista ribelle trasformò in una schermaglia di sessi di massa, alternando i soldati con immagini di gruppi di donne di villaggio. Alcuni momenti vedevano militari che raccordavano successive scene femminili con dei ciak, come a indicare la componente maschile della società al servizio di quella femminile, il regista a servizio del film, il cinema dello spettatore. In Artificial Paradise, come si è detto, si fa riferimento anche alla componente di illusionismo propria degli albori della settima arte. E quando Karol Gatnik compare magicamente, dopo la sua morte, sul suolo lunare del set di un altro film visionario di Lang, Una donna nella luna, la prima cosa che pronuncia è proprio ‘hocus pocus’, come abracadabra. La magia del cinema continua.

Info
La scheda di Artificial Paradise sul sito del Bergamo Film Meeting.

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