Selfie

Dopo Le cose belle, co-diretto con Giovanni Piperno, Agostino Ferrente torna in solitaria a Napoli per dare voce ai giovani abitanti della città partenopea. E, stavolta, con gesto radicale, gli dà anche “l’immagine”, consegnando ai suoi due protagonisti lo strumento per riprendersi, un telefonino. Selfie diventa così un auto-ritratto di borgata potenzialmente esplosivo ed eversivo, pur non riuscendo a mantenere in toto le sue premesse.

Napoli è mille sguardi

Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore, colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante in fuga. Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro, separati da Viale Traiano, dove fu ucciso Davide… [sinossi]

Dai Manetti a Martone a Garrone, passando per la serie TV Gomorra e per il Giovannesi di La paranza dei bambini, la Napoli cinematografica si arricchisce di volta in volta di nuove chiavi di lettura e di nuovi punti di vista, come una fonte inesauribile di immagini e racconti possibili. Così, anche il Selfie di Agostino Ferrente, con cui il regista torna nella città partenopea a sei anni di distanza da Le cose belle che co-diresse con Giovanni Piperno, riesce a trovare una sua precipua ragion d’essere, un suo punto di vista personale e autonomo. E lo fa sia scegliendo di raccontare dei sedicenni del Rione Traiano, uno dei tanti quartieri disagiati dell’ex capitale borbonica, sia partendo da un preciso senso di morte al cospetto di vite così giovani eppure già tanto segnate dall’assenza di futuro: Ferrente infatti lavora sul ricordo luttuoso dell’uccisione di un altro sedicenne, Davide Bifolco, freddato nel rione da un carabiniere nell’estate del 2014 e di cui i due protagonisti di Selfie, Alessandro e Pietro, sono stati amici oltre che testimoni del fattaccio di quella sera.

Fin qui, però, Selfie si caratterizzerebbe come un nuovo tassello, simile a tanti altri, di un mega-romanzo su Napoli sempre in divenire. Quel che invece lo caratterizza nel profondo e che lo differenzia dal resto è la scelta registica, vale a dire che Ferrente – come suggerisce il titolo – ha chiesto ai due giovani protagonisti di auto-rappresentarsi e di auto-raccontarsi, consegnando a loro stessi lo strumento principe della macchina-cinematografica, quella che un tempo si chiamava macchina da presa, che oggi si chiama videocamera e le cui caratteristiche di ripresa da qualche anno a questa parte, grazie alla rapidissima e potente evoluzione tecnica, sono disponibili in alta qualità anche su un semplice telefonino. All’inizio del film, infatti, il regista affida ai due un cellulare, che questi da lì in poi si passano, sempre mostrando se stessi sia insieme che da soli, come per un lungo auto-scatto attraverso il quale rappresentare le loro vite e il loro mondo.
L’idea è forte e ha una sua non indifferente valenza teorica, che va a scardinare il meccanismo stesso del tradizionale racconto cinematografico, nel momento in cui il regista si spossessa volontariamente del controllo sulle immagini, delegandole ai suoi due attori e dichiarando, in questo modo, la volontà di non sovra-ordinare il racconto delle loro vite. Ed è giusto – e non è un caso – che un passo del genere, così eclatante, sia stato fatto proprio a Napoli, dove la cultura “bassa” è tanto potente e tanto radicata, dove la cultura popolare sin dai tempi della fallita repubblica di marca illuminista del 1799 ha stravinto nei confronti della borghesia partenopea, di quell’altra Napoli, quella intellettuale e filo-francese, che vive nei quartieri bene (come Posillipo, dove ad un certo punto i due ragazzi vanno per farsi il bagno e per sognare per qualche minuto un’altra vita, un’altra Napoli, fatta di tranquille villette e non di palazzi fatiscenti) e che ha da sempre un complesso di inferiorità nei confronti della Partenope viscerale, violenta e ferina.

Ecco, Ferrente consegna armi e bagagli a questa Napoli, alla Napoli della suburra, che ha già in sé le potenzialità per raccontarsi così come ha fatto e fa da secoli con altri mezzi (come, ad esempio, con la forma-canzone), e così cerca di mostrarci dal di dentro i suoi arcani meccanismi di funzionamento: perciò da un lato abbiamo Alessandro che ha scelto la via della legalità e lavora come barista, dall’altro abbiamo Pietro che vorrebbe diventare parrucchiere ma nel frattempo frequenta anche altri suoi coetanei che tendono più verso il terreno dell’illegalità diffusa e che non hanno alcun problema a mostrare il “pezzo” (la pistola) e a farne risuonare i colpi per le vie della città. Ma i due, al contempo, sono amici inseparabili e si confrontano continuamente sulle rispettive ambizioni, per lo più già apertamente deluse. Ambizioni che, però, potrebbero essere rilanciate proprio da questa scoperta della macchina-cinema, chissà.

Di fronte a tutto questo stratificato corpus simbolico, ci pare però che Ferrente non sia andato fino in fondo. Infatti, Alessandro e Pietro sono i protagonisti di Selfie fino ad un certo punto, vale a dire che la narrazione è frammentata da confessioni fatte da altri ragazzi del quartiere e da riprese in campo lungo di simil-videocamere di sorveglianza, come a indicare una sorta di controllo dall’alto delle vite anonime dei giovani. In questo modo l’auto-racconto dei due protagonisti si spezza e si frammenta, senza mai assurgere a una vera progressione e senza mai dare l’impressione di poter portare da qualche parte. E la colpa – se di colpa si può parlare – non è dei due ragazzi, che anzi dimostrano di poter reggere senza problemi sia il fatto di essere in scena, sia quello di auto-riprendersi (sempre, comunque, supervisionati da Ferrente fuori-campo), quanto di una struttura narrativa che non tiene il passo rispetto alle sue altissime valenze simboliche. Ed è veramente un peccato, perché Selfie avrebbe potuto essere davvero un gran film.
Il suo esempio però resta e deve restare, perché con questo film Ferrente ha indicato una strada che potenzialmente presenta delle prospettive smisurate, inceppando e mettendo in discussione una volta per tutte l’idea supponente e sempre più datata del regista artefice.

Info
Il trailer di Selfie.
  • Selfie-2019-Agostino-Ferrente-001.jpg
  • Selfie-2019-Agostino-Ferrente-002.jpg

Articoli correlati

Array
  • Archivio

    la paranza dei bambini recensioneLa paranza dei bambini

    di Tratto dal romanzo di Roberto Saviano e in concorso alla Berlinale, La paranza dei bambini è il quarto lungometraggio di finzione di Claudio Giovannesi. Un'opera matura, che riflette una volta di più sull'infanzia negata e sul desiderio adolescenziale di sfuggire alle regole della società.
  • Venezia 2018

    Camorra RecensioneCamorra

    di Dopo Napoli '44, Francesco Patierno realizza un altro film di repertorio, Camorra - presentato nella sezione Sconfini a Venezia 75- dove ripercorre le sanguinose guerre camorristiche che funestarono la città partenopea all'inizio degli anni Ottanta. Un resoconto efficace, anche se troppo chiuso in se stesso. Fino al 19 settembre su Festival Scope.
  • Venezia 2017

    Ammore e malavita RecensioneAmmore e malavita

    di , Ammore e malavita segna il ritorno a Napoli dei Manetti Bros. a quattro anni di distanza da Song’e Napule; ancora una volta l’umore neomelodico si sposa al noir, per un musical che viene presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
  • Venezia 2016

    Robinù RecensioneRobinù

    di Nell’ambito del Cinema nel Giardino a Venezia 73, Michele Santoro presenta Robinù: inchiesta sulle gang giovanili che imperversano nei quartieri di Napoli. Veri e propri bambini soldato che diventano eroi popolari nel quartiere.
  • In sala

    Natale col boss

    di L'ex cinepanettone targato De Laurentiis cambia definitivamente natura per trasformarsi in film 'carino' e forse non più mainstream: Natale col boss è una commedia poliziesca quasi citazionista che guarda anche a Song'e Napule dei Manetti.
  • Berlino 2015

    Rabo de Peixe

    di , Joaquim Pinto e Nuno Leonel rileggono, rimontano e commentano il materiale che girarono quindici anni fa a Rabo de Peixe, località di pescatori nelle Azzorre: riflessione e ricordo di un tempo e di una vita perduti. In Forum alla 65esima edizione della Berlinale.
  • In sala

    Le cose belle

    di , Agostino Ferrente e Giovanni Piperno tornano a raccontare, a distanza di dieci anni, le vite di quattro ragazzi napoletani costruendo una riflessione tutt'altro che banale sulle speranze deluse e sull'inesorabile passaggio del tempo.
  • Archivio

    Song'e Napule RecensioneSong’e Napule

    di , Il divertente e riuscito omaggio al poliziottesco firmato dai Manetti Bros., dopo essere stato presentato al Festival di Roma, approda in sala...
  • DVD

    Noi credevamo RecensioneNoi credevamo

    di Il capolavoro di Mario Martone arriva in dvd con 01 Distribution in un'edizione speciale, da non lasciarsi sfuggire.