Godzilla II – King of the Monsters

Godzilla II – King of the Monsters

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Godzilla II – King of the Monsters abbandona ben presto la scrittura, sfruttando il proscenio per portare alla ribalta più mostri possibili da affiancare al lucertolone radioattivo: ecco dunque Mothra, King Ghidorah, Rodan. Tutti giganti pronti a combattere. A farne le spese la narrazione, sacrificata all’altare degli effetti speciali.

Wave of Mutilation

Sono trascorsi cinque anni da quando Godzilla ha combattuto contro i M.U.T.O. distruggendo mezza San Francisco, e del lucertolone non c’è più traccia. Ma se la MONARCH monitora comunque i suoi spostamenti, altri mostri sono stati ibernati. Un gruppo di eco-terroristi ha tutta l’intenzione di liberarli per riportare la Terra al suo “ordine naturale”… [sinossi]
Cease to resist, giving my goodbye
Drive my car into the ocean
You’ll think I’m dead, but I sail away
On a wave of mutilation.
Pixies, Wave of Mutilation

In una delle sequenze cruciali di Godzilla II – King of the Monsters la giovane Madison Russell (Millie Bobby Brown, nota ai più per il ruolo di “Undici” nel serial Stranger Things) si sta nascondendo da King Ghidorah, il mostro a tre teste che punta a essere riconosciuto come maschio alfa dagli altri kaijū sparsi in giro per il mondo, dalla Cina alle foreste della Germania. La scena si svolge al Fenway Park di Boston, lo stadio dei Red Sox che tanta parte ha avuto anche nell’immaginario cinematografico (da L’arte di vincere – Moneyball a L’uomo dei sogni, fino a The Town e Ted): Madison si nasconde nella tribuna degli ospiti VIP, ma dalla vetrata viene vista da una delle tre teste di Ghidorah, che scruta col suo piccolo occhio sul grande cranio all’interno della stanza. Il taglio dell’inquadratura e il senso che acquista equivale in tutto e per tutto al movimento compiuto dal Tirannosaurus Rex nel primo Jurassic Park, con i bambini chiusi nella macchina elettrica. In quel frangente, ancor più che nel resto del film, appare evidente come l’intenzione di Michael Dougherty, scelto per la bisogna dopo l’addio al progetto di Gareth Edwards – che aveva diretto l’ottimo film del 2014 –, sia quella di spostare la visione dei “mostri di grandi dimensioni” dalla produzione giapponese al cuore pulsante di Hollywood. Se Edwards di fatto proponeva uno sposalizio tra le intuizioni originali e lo sguardo occidentale, con un rispetto ossequioso del lavoro di Ishirō Honda, nel secondo capitolo della saga questo concetto sembra venire meno. Con i problemi che questa scelta comporta.

Non c’è dubbio che Dougherty sappia gestire una macchina milionaria di questo peso, e la maestosità con cui vengono messi in scena i vari kaijū lo dimostra in pieno. Il primo dispiegamento di ali di Mothra è suadente, poetico nella sua paradossale rarefazione; l’iconica immagine di Ghidorah sullo sfondo, con l’oramai impotente croce cristiana in primo piano ha un effetto dirompente, grazie anche al cromatismo prossimo all’ocra; Godzilla è poi inevitabilmente epico, soprattutto quando riemerge dalle acque. Tutto ineccepibile, se si trattasse del centro nevralgico della narrazione. Purtroppo invece, con una decisione che ha senso solo nella storpiatura dell’ideale spielberghiano e per diretta discendenza abramsiano, Dougherty e la produzione hanno scelto di concentrare la maggior parte dell’attenzione sugli esseri umani. A partire dalla famiglia Russell, padre/madre/figlia con figlio deceduto nella prima incursione terrena di Godzilla, la scena è da subito “invasa” da un numero spropositato, e del tutto ingiustificato, di personaggi umani ai quali si cerca di donare una raffazzonata psicologia che scagioni gli sceneggiatori da forzature e passaggi in realtà del tutto non necessari. La sovrappopolazione umana rispetto al potenziale dei giganti del passato è così palese che Godzilla II – King of the Monsters inanella una serie di reiterazioni perfino stancanti: che bisogno c’è, per esempio e senza entrare in particolari che in epoca di terrore per lo spoiler manderebbero in crisi epilettica taluni lettori, di inserire ben più di un “sacrificio per un bene superiore”, rilettura del martirio cristiano che a Hollywood tengono sempre in debita considerazione, come dimostrano anche i vari capitoli dedicati agli Avengers?

La verità è che Godzilla II – King of the Monsters funziona davvero bene solo quando gli umani sono messi da parte, anche perché poco interessanti sono i problemi famigliari dei Russell come il doppio gioco di questo o di quell’altro personaggio, e perfino il profilo più denso di “significato”, vale a dire il professor Serizawa interpretato da Ken Watanabe, viene ridotto a un livello basico, completamente superficiale. D’altro canto, probabilmente per non incorrere in limitazioni censorie che potrebbero influire negativamente sugli incassi multimilionari, le sequenze di distruzione provocate da Godzilla e i suoi amici/nemici prevedono sì palazzi distrutti e strade divelte, ma in aree rigorosamente evacuate. Dettagli, si potrà dire, ma che interrompono il cataclisma, lo normalizzano rendendo queste creature abnormi e terrificanti quasi inoffensive, ammirevoli come si ammira una divinità pagana incisa nella roccia. Sotto questo profilo Godzilla II – King of the Monsters segna un netto scarto all’indietro rispetto al capostipite di Edwards e a Kong: Skull Island di Jordan Vogt-Roberts, che con questo terzo capitolo formano i primi episodi del cosiddetto “MonsterVerse”. Per fortuna arrivano poi i combattimenti, un po’ confusionari ma comunque epici, con i kaijū tenebrosi il giusto (ma perché limitare il tutto ai soli Godzilla, King Ghidorah, Mothra e Rodan?) e già pronti a essere iscritti in un pantheon cinematografico. Meglio tardi che mai.

ps. Il film è dedicato a Yoshimitsu Banno e Haruo Nakajima, rispettivamente regista di Godzilla – Furia di mostri e storico “interprete” di Godzilla e di molti altri mostri.

Info
Il trailer di Godzilla II – King of the Monsters.
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