Sole

Carlo Sironi esordisce alla regia con Sole, racconto minimale e cupissimo di un’umanità solitaria e sbandata, e del sogno utopico di potersi considerare “genitori”. In concorso nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia.

I figli degli altri

Ermanno passa i suoi giorni tra piccoli furti e slot machine, in attesa di una svolta nella sua vita. Lena arriva in Italia per vendere la bambina che porta in grembo e poter così iniziare una nuova vita. I due fingono di essere una coppia in modo che Fabio, lo zio di Ermanno, sterile e disposto a pagare per avere la figlia che lui e sua moglie Bianca non possono avere, possa ottenere l’affidamento della bambina in maniera veloce attraverso un’adozione tra parenti. Per procedere con l’adozione però, Ermanno e Lena devono essere convincenti agli occhi di tutti. Sole, la bambina, nasce prematura e deve essere allattata al seno prima di essere consegnata a Fabio e Bianca. Lena è in difficoltà e cerca di restare fredda e negare il legame con la figlia. Un muro di silenzio si alza tra lei ed Ermanno, che inizia a prendersi cura della bambina come se fosse sua. [sinossi]

È interessante notare come una parte consistente dei titoli italiani presenti alla settantaseiesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia concentri la propria attenzione su uno dei personaggi attorno ai quali ruoterà la vicenda narrata: un discorso valido per Martin Eden, che Pietro Marcello trae dalle pagine di Jack London, per l’esordio di Nunzia De Stefano Nevia, per il Tony Driver di Ascanio Petrini, perfino per Il sindaco del rione Sanità di Mario Martone. E, ovviamente, anche per Sole, il primo lungometraggio da regista di Carlo Sironi. Con una particolarità: Sole non è uno dei protagonisti, per quanto lo sia. Il paradosso sta nel fatto che Sole è il bambino che Lena, arrivata per direttissima dalla Polonia sul litorale romano, porta in grembo. Manca poco al parto e la ragazza, che non ha alcuna intenzione di crescere il nascituro (anzi, si è già messa d’accordo con un’amica per raggiungerla in Germania, e cominciare una nuova vita), ha venduto il pargolo a una coppia italiana che non riesce ad avere figli. Per evitare che la legge compia il proprio dovere impedendo il mercimonio di vite umane, Lena dovrà far riconoscere il suo bimbo a un padre fittizio, tal Ermanno, un ragazzotto taciturno, senza arte né parte, che ha come unico passatempo quello di buttare via i soldi alle slot machine di un locale di terz’ordine. In qualità di cugino dell’uomo che ha letteralmente comperato il futuro figlio – pagandolo per di più la miseria di diecimila euro –, Ermanno potrà dichiarare, una volta andatasene in Germania Lena, di non essere in grado di crescere il bambino, pregando così i servizi sociali di poterlo affidare al suddetto cugino. Ecco, per entrare emotivamente in Sole bisogna avere l’accortezza e la pazienza di soprassedere sull’escamotage iniziale, davvero ai limiti della demenza. Non solo viene da chiedersi attraverso quale rete sotterranea una coppia del centro Italia possa venire a conoscenza di una ragazza polacca intenzionata a vendere il proprio figlio, ma ancora più oscuro appare il perché la già citata coppia, borghese e senza alcun problema economico (“è lei che sta messa bene”, risponde Ermanno all’amico che gli chiede se il cugino sia ricco), debba ricorrere a uno stratagemma illegale e così contorto invece di fare semplice richiesta di adozione alle autorità competenti.

È dunque necessario fare ricorso a una buona dose di benevolenza per non rifiutare immediatamente questo esordio, non il primo film italiano alla Mostra ad affrontare il tema dei neonati venduti (qualcuno forse serberà memoria del pessimo Una famiglia di Sebastiano Riso, addirittura ospitato in concorso nel 2017). Anche la regia di Sironi, nella prima parte, sembra indecisa sulle scelte da compiere, tra l’utilizzo parco dello spazio e la volontà di non perdere di vista i suoi due protagonisti. Perché, se si escludono i rari momenti in cui compaiono il cugino e sua moglie, o l’amico di Ermanno, o ancora l’ostetrico che visita Lena – interpretato da Vitaliano Trevisan – Sironi compie una netta cesura e concentra l’attenzione solo e solamente sulla partoriente e questo strano ragazzo taciturno, col padre che s’è ammazzato buttandosi dalla finestra e una casa vuota, priva di vita. Forse come lui. È qui, nello scontro frontale e un po’ programmatico (ma non per questo insincero) tra due solitudini che Sironi riesce a compiere quello scarto che giustifica l’interesse nei confronti di un film che altrimenti avrebbe corso il serio rischio di scomparire in fretta e furia dalla mente dello spettatore. Tutto giocato su una narrazione asciugata, quasi desaturata, Sole è un film che poco per volta dispiega la propria carica empatica. Nel progressivo avvicinarsi di Lena a Ermanno, e nel sogno utopico di poter costruire una famiglia dal nulla – e nel nulla – Sironi dimostra di avere le idee chiare, e di saperle mettere in scena. Certo, il ricorso sistematico al minimalismo espressivo non sempre convince, e sembra a tratti mascherare la difficoltà di stratificare il discorso (è un peccato che Fabio e Bianca, la coppia che dovrà crescere la piccola Sole, resti sempre sullo sfondo, privata di una propria psicologia, di un proprio vissuto e dunque di un proprio concreto dolore), ma l’alchimia tra il bravo Claudio Segaluscio e Sandra Drzymalska, in Polonia molto attiva sul piccolo schermo, consente al film di dispiegare un sentimento mai forzoso, e che non ricorre alla facile retorica, cercando al contrario di sviarla in continuazione. Ne viene fuori un film piccolo, forse fragile ma non debole, che non cerca la via più facile e non cede alle lusinghe dell’ottimismo.

Info
Sole, il trailer internazionale.

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