La notte di San Lorenzo

La notte di San Lorenzo

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Arrivati al loro nono film, i fratelli Taviani sentono la necessità di rappresentare un episodio storico che segnò la loro vita, l’eccidio nel Duomo di San Miniato avvenuto il 22 luglio 1944 nella loro città, quando erano ragazzi. La notte di San Lorenzo mette in scena quell’evento trasfigurandolo come fiaba, mito, racconto epico. Premio speciale della giuria al 35° Festival di Cannes.

La Liberazione in una notte di mezza estate

Estate 1944. Nel paese di San Martino in Toscana, il comando d’occupazione tedesco ordina a tutta la popolazione di radunarsi nel duomo. Un gruppo di uomini, donne e bambini, guidato dal fattore Galvano, temendo una possibile trappola, decide di fuggire e abbandona il paese col favore della notte, per andare incontro agli americani che arrivano da sud. Poco dopo nella chiesa ha effettivamente luogo la temuta strage. Mentre i fuggitivi si trovano in un campo a raccogliere il grano con un gruppo di contadini, vengono attaccati da un gruppo di fascisti che uccidono anche donne e anziani per poi a loro volta essere freddati. Gli scampati riparano in un cascinale dove trascorrono la notte e Galvano corona il suo sogno d’amore con la cugina Concetta. All’alba giunge la notizia dell’arrivo degli Alleati. È la Liberazione, i sopravvissuti fanno insieme ritorno a San Martino, tranne Galvano che resta a riflettere sotto la pioggia nell’aia del cascinale. [sinossi]

Il 22 luglio 1944 avviene l’eccidio nel Duomo di San Miniato che costa la vita di cinquantacinque persone radunate nella chiesa per ordine del comando tedesco. L’evento è stato oggetto di controverse storiografiche, di inchieste di vari tribunali e solo nel 2004 è stato attribuito a una granata dell’esercito americano che ha colpito il duomo per errore. Fino ad allora era prevalsa la tesi della responsabilità tedesca, anche perché la ricostruzione aveva tutte le caratteristiche della rappresaglia, avvenuta dopo l’uccisione di soldati tedeschi, come quelle spesso perpetrate dai nazisti, vedi le Fosse Ardeatine. E certamente un eccidio non compiuto da loro non alleggerisce le loro pesanti responsabilità storiche né fa cambiare prospettiva alla Resistenza né sminuisce l’importanza della lotta partigiana, in quello come in altri luoghi d’Italia.

L’episodio segnò profondamente Paolo e Vittorio Taviani, di San Miniato, che all’epoca avevano 13 e 15 anni rispettivamente. Il loro padre, l’avvocato Ermanno Taviani, volle fortemente la commissione d’inchiesta, istituita già nel 1944, di cui fece parte ma da cui rassegnò presto le dimissioni, dissociandosi dalla piega che aveva preso. E quando i fratelli registi esordiscono al cinema, sotto l’egida di Cesare Zavattini, lo fanno proprio con un documentario su quella strage, San Miniato, luglio ’44 (1954). La notte di San Lorenzo si apre e si chiude con un’ambientazione contemporanea, in un appartamento moderno, una camera con vista su Firenze di sera, che iscrive la storia in un flashback. A raccontare è una donna che ha assistito ai fatti da bambina, era la piccola Cecilia: il tutto in forma di ninna nanna per il suo bimbo a letto. La narrazione come flashback serve ai Taviani per porsi già a distanza rispetto a fatti di quarant’anni prima, per poterli rileggere con il necessario distacco, e trasfigurarli in chiave fiabesca, epica, di mito con la Liberazione come lieto fine.

Molti fanno notare l’incongruenza di questo racconto in flashback: la bambina non era sempre presente nei fatti che racconta, non era nel duomo ma faceva parte del gruppo in fuga, né poteva evidentemente sapere della notte d’amore tra Galvano e Concetta. Lei stessa specifica al proprio figlioletto, alla fine: «Così finisce la mia storia, amore mio. Io non so se le cose andarono proprio a questo modo, io allora avevo solo sei anni. Ma la storia è vera, E anche le storie vere certe volte possono finir bene». A ben vedere la cornice del racconto, nell’appartamento moderno, possiede essa stessa una qualità fiabesca, una dimensione sospesa dove l’interno è come un’illustrazione. Dalla finestra si vede una stella cadente: questo racconto viene fatto nella notte di San Lorenzo, quella data magica, secondo la tradizione, quando si esprime un desiderio osservando il cielo, sperando di vedere una scia luminosa. Un racconto, con episodi bellici, cruenti, che pure non avrebbe senso fare a un bambino così piccolo, appena in fasce.

I Taviani comunque giocano ancora a confondere i fatti tenendoli in un’atmosfera di leggenda. L’eccidio di San Miniato è avvenuto il 22 luglio ma nel duomo, appena prima del massacro, si celebra il martirio di San Ciriaco, che è l’8 di agosto, avvicinandosi così alla notte di San Lorenzo. Lo stesso nome del comune da San Miniato viene trasformato in San Martino, nome frequentissimo tra i piccoli centri in Italia. C’è poi un’ulteriore incongruenza, voluta ed esibita, quella di Corrado che sogna di assistere la sua novella sposa, incinta, Belindia sul punto di morte, quando si erano già separati e non poteva conoscere la scena e le circostanze dell’eccidio in cui era rimasta vittima. La presenza della donna come io narrante, in voce off, è molto ridotta. Lei è una bambina buffa, pasticciona, capace di fare smorfie, vive la sua infanzia inconsapevole della tragedia storica che sta attraversando. «C’hai il cinematografo nel cervello» le dice qualcuno del gruppo. Cecilia è palesemente la trasposizione interna al film dei fratelli Taviani stessi, così come lo saranno i due fratelli protagonisti di Good Morning Babilonia. E i limiti del racconto oggettivo della donna, sono la stessa chiave di lettura di tutta l’ambiguità tra realtà e finzione, fiabesca, epica, che pervade il film. Già la bambina condivide il ruolo di narratrice insieme al vecchio, con cui sta seduta su una panca all’uscita della chiesa per il matrimonio, all’inizio del film. Lui, uno di quei contadini toscani colti, capace di recitare a memoria poemi classici, declama un brano dell’Iliade, che parla di Ettore e Andromaca nell’analogia con la situazione del matrimonio che si compie con la guerra alle porte. La bimba ripete il labiale del testo di Omero, che evidentemente conosce come farà con quella filastrocca che le cantano più volte, e corregge il vecchio che dice, in accento toscano “Ettorre”, come l’eroe troiano è riportato nella traduzione ottocentesca di Vincenzo Monti con la più moderna pronuncia di “Ettore”.

In questa scena tutta l’enunciazione della dimensione epica, di mito, di teatro con coro greco, del film, che passerà all’Odissea, in tutta la parte itinerante sulle colline toscane, e che troverà l’apice nella scena simbolo del film, quella del fascista Giglioli trafitto dalle lance dei guerrieri achei, ancora un momento teatrale, stilizzato. La notte di San Lorenzo contiene due momenti altissimi. Il primo è quello della ricostruzione dell’eccidio che avviene durante la liturgia della messa, dove si distribuisce il pane ridotto a briciole in mancanza di ostie. Quello che il vescovo acconsente a usare come tale contro il parere dogmatico di uno dei preti. Quel pane contadino toscano, che già il padre distribuiva all’uscita del matrimonio, che rappresenta il vero e genuino corpo di Cristo, quel pane che Gesù spezzò e diede ai discepoli. E il martirio successivo è celebrato con il Requiem: III. Offertorio di Arturo Toscanini. La preparazione dell’attentato, fatta dai fascisti, si colloca sul piano dell’osceno nel ruolo attivo svolto da un ragazzino in camicia nera, il figlio del gerarca Marmugi. Il tono dell’osceno si ripete nella lunga scena della battaglia tra i campi di grano, dove pure il piccolo camerata, toltasi la camicia nera, fa da trappola in cui cade il malcapitato giovane che vuole aiutarlo credendolo un bambino indifeso. E la stessa uccisione, impietosa, successiva del piccolo Marmugi assurge al carattere di osceno. Quella battaglia, tutta girata senza enfasi musicale, in un film con gli accompagnamenti pomposi di Nicola Piovani, vede anche situazioni come una gag slapstick: quando i due gruppi speculari di fascisti e contadini assistono una persona morente senza accorgersi di essere a fianco, arrivando anche a chiedere inavvertitamente dell’acqua al nemico. Un momento che in realtà amplifica la drammaticità di quegli assassinii a sangue freddo, di anziane e anziani, e di ragazzi. La connotazione è quella di una guerra fratricida, di compaesani di un piccolo urbano dove tutti si conoscono, di fratelli e sorelle che si uccidono tra di loro.

La notte di San Lorenzo coglie questo aspetto di guerra civile nella Resistenza, come nelle tesi esposte dallo storico Claudio Pavone a differenza di Novecento che invece ne esprime l’altra caratteristica di lotta di classe. Da ricordare poi la scena dell’uccisione della contadina di origini siciliane, Mara, che, in punto di morte, si vede assistita, in una delle tante trasfigurazioni del film, da soldati italo-americani. Si tratta in realtà di militari tedeschi, poveri ragazzi anch’essi, pedine di un disegno criminale superiore a loro, che si rammaricano di aver sparato per sbaglio a una ragazza ma esprimono sollievo perché è morta sul colpo.

Si può dare un’ulteriore lettura a La notte di San Lorenzo in chiave di sessualità, di scoperta e risveglio dei sensi. A maggior ragione una lettura estranea al racconto fatto da una bambina. Il film è percorso da riferimenti in tal senso. Si comincia con un matrimonio riparatore, di due ragazzi che hanno “peccato”; ci sono poi i ragazzi che si masturbano spiando Mara che, in quel contesto promiscuo, va a orinare. E poi ci sono tutte le situazioni di erotismo in quella mezza estate shakespeariana, in quella campagna magica toscana, che è l’estensione paesaggistica, tra ulivi e cipressi ordinati, dell’arte rinascimentale delle città. La seduzione di Dilvo nei confronti di Rosanna, che crede che il marito sia in India, che avviene mentre lei si rinfresca strofinandosi il corpo con una fetta d’anguria che poi lei assaggia, un frutto di cui già viene detto di non abusare quasi a intuirne una valenza peccaminosa, molto prima di Tsai Ming-liang. C’è poi la scena, ancora piena di sensualità, in cui Rosanna parla con la ragazza giovane, mentre si bagnano i piedi insieme in un ruscello, che, entro la fine dell’estate, conta di perdere la verginità. E si arriva alla fine a quel momento di amore senile, tra Galvano e Concetta, il consumarsi di un’attrazione latente che i due avevano avuto fin da giovani, sempre rimasta inespressa forse perché impedita da decisioni familiari. Quella scena vede le tappe classiche di una tensione erotica crescente: i due che finiscono nella stessa stanza da letto, lei che dice di essere la moglie, i goffi momenti di quando a testa vogliono nascondersi per spogliarsi, fino a cedere ai sensi con la donna che vuole lasciare accesa la luce. Galvano e Concetta si risvegliano e scoprono che nella notte sono arrivati gli Alleati. L’orgasmo inseguito durante il film diventa la Liberazione.

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La scheda di La notte di San Lorenzo su Wikipedia

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