Il vendicatore di Jess il bandito

Il vendicatore di Jess il bandito

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Sorta di bizzarro sequel di Jess il bandito di Henry King, Il vendicatore di Jess il bandito segna il primo incontro di Fritz Lang con il western (ne girerà altri due, Fred il ribelle e Rancho Notorious) e anche con la fotografia a colori. Nonostante il roboante titolo italiano a Lang non interessa la vendetta, ma la riflessione sulla morale, e sulle scelte anche dolorose che comporta.

Cercavi giustizia, trovasti la legge

Dopo l’omicidio di suo fratello Jesse per mano di Bob Ford, Frank James attende che la giustizia faccia il suo corso, e si limita a portare avanti la sua nuova vita da contadino. Quando però viene a sapere che i fratelli Ford sono stati graziati, e hanno persino ricevuto la taglia che gravava su Jesse, decide di farsi giustizia da solo… [sinossi]

Nel 1939, con Jess il bandito, Henry King compie un’operazione straordinariamente politica, eppure perfettamente in grado di muoversi nel terreno canonico del western: la lettura della wilderness, rapporto di amore e scontro con l’elemento naturale che è la base portante del tema della conquista – che diventa nelle masse proletarie resistenza –, si allarga a una riflessione quasi rooseveltiana sugli ultimi della classe, i derelitti, i poveri. King immerge negli umori western la disillusione (ma anche lo spirito battagliero) che pervaderanno di lì a qualche mese anche il Furore che John Ford desume dalle pagine di John Steinbeck. Mentre la guerra si affaccia in Europa, e gli Stati Uniti dovranno nell’arco di un paio di anni farci i conti, King si specchia da “sinistra” nella lettura della Storia che trova in Via col vento la “destra” del riflesso, e lo fa con un’opera altrettanto sontuosa, altrettanto hollywoodiana fino al midollo, parte integrante della struttura d’immagini dell’industria, meccanismo economico ma anche valoriale, perfino mistico in una determinata misura. Il successo del film è granitico, assoluto: difficile d’altro canto non lasciarsi tentare da un parterre de roi attoriale composto da Henry Fonda, Tyrone Power, e John Carradine. La storia, quella della banda di Jesse James – che nel titolo italiano perde la e finale nel nome, probabilmente per aiutare la pronuncia di una popolazione assai poco avvezza all’inglese –, è poi una delle leggende western per antonomasia, la storia delle storie (dunque fondativa anche della morale della nazione) insieme forse alla disfida all’O.K. Corral che vedrà gli uomini di Wyatt Earp disfarsi dei fratelli Clanton e Claiborne. Nel già citato processo industriale sarebbe sciocco non perseverare nel racconto delle gesta dei James, perché se Jesse è stato freddato da Robert Ford mentre appendeva un quadro alla parete della sua casa, c’è sempre Frank – Henry Fonda – vivo e vegeto. E bravo con le pistole.

È dunque un film su commissione per Fritz Lang Il vendicatore di Jess il bandito (questo il titolo italiano, assai più roboante – ma allo stesso tempo meno epico – dell’originale The Return of Frank James), che viene messo in piedi in fretta e furia per non raffreddare gli entusiasmi del pubblico. Ed è lo stesso regista tedesco, che nel 1939 è divenuto cittadino statunitense dopo aver raggiunto l’America in fuga dal nazismo nel 1934 (in mezzo una breve parentesi parigina), ad ammettere di non aver spinto lui per aggiudicarsi la regia del film, ma di averlo accettato di buon grado. Per un regista che ha fatto di Hollywood la sua nuova casa confrontarsi con il western non è solo un modo per dirigere un film, ma equivale a tentare di dare la propria visione del mondo in cui oramai vive. E la storia di Frank James, che si è ritirato a vita priva e fa il contadino, dopo aver abbandonato le scorribande criminali che lo resero celebre, ma è costretto suo malgrado a impugnare di nuovo la colt per liberarsi di quel Bob Ford che ha freddato (alla schiena, sommo disonore!) il fratello, appare perfetta per instillare gocce della propria poetica nell’ingranaggio oliato della Mecca del Cinema. Il vendicatore di Jess il bandito in effetti non è un film sulla vendetta, o almeno di certo non lo è nella forma canonica, nella prassi. Anzi. Come ha già fatto in passato e spesso tornerà a fare in futuro per Lang l’atto criminale non è interessante di per sé, non ha valore nello spettacolo del suo essere extra-legge: se assume un valore è per la morale che trascina con sé. Frank James, in una rilettura del tutto avulsa dalla storia vera e propria (al contrario del film di King, che seguiva sì la leggenda ma cercando di rimanere aderente alle cronache del tempo), non agisce guidato dall’ira. Recupera il revolver che aveva lasciato ad arrugginire sotto i covoni di granturco – la natura supera l’isterismo belluino, la società del lavoro può nascondere comunque sotto i suoi frutti l’arma – e parte alla ricerca dei Ford solo perché la giustizia non ha fatto il suo corso, e ha non solo graziato degli assassini ma ha perfino donato loro la taglia che gravava sulla testa di Jesse. La società è iniqua, perché mai dovrebbero essere giusti i suoi cittadini?

Eppure il percorso di formazione di Frank è paradigmatico della poetica di Lang: quando tutto sembra andare per il verso giusto (con uno dei Ford che è caduto in un crepaccio) Pinky Washington, che aiuta Frank alla fattoria, viene ingiustamente accusato di omicidio. È un uomo di colore in una società bianca e razzista, e non ha speranza di uscire indenne dal processo. Può Frank, per la sola sete di vendetta, lasciare che un uomo che non ha colpe paghi per un omicidio che non ha commesso? Questo dilemma morale – si può abbandonare il proprio obiettivo personale per una causa più alta e più giusta? – smarca quasi completamente Il vendicatore di Jess il bandito dalla stragrande maggioranza dei western classici prodotti a Hollywood, e in questo scarto (cui si aggiunge una nota rosa, nel rapporto sentimentale tra Frank e una bella giornalista che sta seguendo il suo caso) si nota la mano sapiente di Lang, che non ha mai accettato prono lo sguardo del Potere ma allo stesso tempo ha lavorato dialetticamente sulle classi subalterne, agissero esse il crimine per vocazione o necessità. In questo passaggio il ruolo di Frank James, che altrimenti sarebbe solo un vendicatore, pur comprensibile nella sua voglia di revanche nei confronti degli uomini che hanno assassinato il fratello ma senza particolari connotazioni morali, assurge a quello di un eroe, di un uomo che affronta le proprie responsabilità in una società ingiusta senza sfuggire al rischio del cappio attorno al collo. A questa riflessione, in tutto e per tutto langhiana, si aggiunge la strepitosa sequenza in cui Frank trova i Ford a teatro, impegnati su un palco a replicare le loro “gesta”. Il vecchio west è già fermo alla rappresentazione (ovviamente falsa, o almeno esagerata) di sé, debordianamente parlando non esiste più il vero. Si recita, perpetrando un mito che nella realtà vede uomini deboli sparare nella schiena a uomini forse altrettanto deboli. Lang, che girerà nella sua carriera altri due western (Fred il ribelle e Rancho Notorious) si permette da straniero di raccontare il genere alla sua maniera, smitizzandone l’epica e riportando al centro del discorso l’uomo, e le sue scelte.

Info
Una sequenza de Il vendicatore di Jess il bandito.

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