Disco

Presentato nel concorso Ulivo d’oro del 21° Festival del Cinema Europeo di Lecce, Disco è il secondo lungometraggio di Jorunn Myklebust Syversen, che compie un viaggio nel mondo delle sette fondamentaliste cristiane, mostrando un fenomeno inquietante nella civile e progredita società norvegese.

C’è del marcio in Norvegia

Mirjam è l’avvenente figliastra del pastore di una chiesa evangelica libera, nonché campionessa mondiale in carica di disco dance freestyle. Ama danzare, ma il suo corpo le sta lanciando un grido d’aiuto. Durante una gara, infatti, la ragazza ha un crollo emotivo e cade sul palco. Per la sua famiglia, però, l’unica risposta ai suoi problemi è essere una credente migliore. [sinossi]

Mirjam è una bellissima ragazza, dalla tipica chioma nordica biondo platino, è intelligente ed eccelle nella sua disciplina, sportiva e artistica, la disco dance freestyle, per la quale ha collezionato parecchi trofei. Sarebbe la perfetta reginetta della festa del college in un film americano di teen ager, magari cercando di rivendicare la sua libertà contro una famiglia opprimente, bacchettona, conservatrice, ligia alla religione. Un po’ come avviene in Carrie, con la tipica madre sessuofobica e timorata di Dio. No, dimentichiamo subito questo cliché. La storia che racconta Disco, il secondo lungometraggio della regista norvegese Jorunn Myklebust Syversen – presentato nel concorso Ulivo d’oro del 21° Festival del Cinema Europeo di Lecce, dopo le presentazioni a Toronto, San Sebastián e altri festival – è molto diversa e ci mostra delle sette integraliste 2.0, tutt’altro che tristi, o morigerate.

Tanti ragazzi sono attratti dalle messe cantate, trendy e charmant, ragazzi che non hanno mai partecipato, come raccontano, a funzioni religiose se non per matrimoni o funerali. Vengono accolti in un clima accogliente e si trovano in un contesto che oscilla tra il rave e un concerto degli Abba, con pacchiane luci al neon di forma triangolare. Segue poi il sermone del pastore, che sembra più un imbonitore di detersivi. Chiama poi la compagna sul pulpito e la bacia davanti ai fedeli: nulla a che vedere con i precetti di sobrietà e castità cui siamo abituati. Alla fine in luogo del chierichetto che gira con il cesto delle offerte, si danno gli estremi della app o le coordinate bancarie per il sostegno economico. Nella chiesa poi, come anche nella casa dei protagonisti, è tutto un susseguirsi di maxischermi, dove seguono immagini di propaganda con le scritte che scorrono proprio nell’estetica dei notiziari americani. Mirjam si trova a suo agio in questo mondo, ne è infervorata, fa catechismo leggendo le sacre letture ai bambini e canta in quelle bizzarre kermesse religiose. La ragazza vive in una bella casa borghese arredata con colori pastello, in una società che sembra perfetta. Ha un bellissimo rapporto di intimità con la madre, che le confida anche il calo di desiderio del compagno, il patrigno della ragazza. E infine nessuno di quella congregazione religiosa condanna o ha da ridire, sull’attività della ragazza nella disco dance, dove peraltro si esibisce anche con costumi discinti. Ne sono anzi orgogliosi e la incoraggiano.

Jorunn Myklebust Syversen crea anche una contiguità tra gli show religiosi e le esibizioni sportive di danza della ragazza. Proprio sul superamento dei cliché spettatoriali si basa il lavoro della regista in Disco, che gioca anche sulla capacità seduttiva di quel mondo religioso, coinvolgendone il pubblico. Gli stessi adepti della setta lavorano con il linguaggio del cinema, consapevoli del potere di fascinazione della settima arte. Riprendono molti aspetti della loro vita ecclesiale, come quei bimbi che ascoltano in estasi le letture dalla voce dolce di Mirjam, e ragionano su come far prendere corpo al film con il montaggio. Gli spettatori sono portati a vedere con indulgenza quel mondo religioso, fatto di gente felice e depurato da tutti gli aspetti castiganti, finché Jorunn Myklebust Syversen non mostra le carte, esibendo, in modo brutale per la verità, le mostruosità e le aberrazioni nascoste dietro quella facciata che si rivela così la sua ipocrisia estrema. Rituali d’esorcismo per guarire dal cancro o per correggere l’omosessualità, in quelle che sembrano sette modellate su quelle americane, di cui ricorrono spesso i filmati, che plagiano i propri adepti e che funzionano con il principio capitalistico del profitto.

Anche la seconda congregazione cui si unisce Mirjam, si presenta bene all’inizio. Più da messa tradizionale la loro ritualità, con un classico sermone evangelico e con, ancora una volta, dei momenti canori intensi, che convincono tanto la ragazza quanto lo spettatore, della genuinità della loro fede, simboleggiata anche nella disposizione del loro cenacolo, come L’ultima cena. Ma ancora una volta tutto si ribalta in una fiera delle atrocità, ancora fin troppo calcata dalla regista. Vengono esibiti i loro metodi brutali e punitivi, da caserma militare, per instillare in giovani e malleabili menti, contro la presunta libertà dell’altra setta, quella mortificazione e quel senso di colpa, del peccato originale, propri di molte religioni. Il tutto avviene ancora in uno di quei contesti idilliaci propri di questi culti, l’isola incontaminata, il cottage immerso nel verde.

Nella natura sono le due enigmatiche scene, di apertura e chiusura del film. Nella prima il corpo di Mirjam galleggia nell’acqua, sembra un cadavere come quello in apertura di Frenzy, ma ben presto si rianima nel nuoto della ragazza, che è viva ma è come morta, uccisa da quella società opprimente dalla quale non ha scampo, come suggerisce anche la scena finale, fuggevole e vaga, brusca ancor più del finale di Mouchette. Potrebbe far discutere la violenza anticlericale o antireligiosa su cui la regista cade spesso in maniera schematica e didascalica. Il film tratta di sette di integralismo cristiano lasciando allo spettatore il giudizio sulla loro eventuale contiguità o meno con i culti ufficiali, moderati. Si è scoperta peraltro la presenza di fanatismo religioso in una società che occupa le vette di democrazia, libertà individuali, agiatezza come quella norvegese, con i sanguinosi e scioccanti attentati terroristici del 22 luglio 2011. E il lavoro di Jorunn Myklebust Syversen non è altro che quello di far emergere gli spettri che albergano in quella cupa società borghese, come nelle opere di Ibsen o in tanto cinema scandinavo, vedi il danese Festen di Thomas Vinterberg.

Info
La scheda di Disco sul sito del Festival del Cinema Europeo di Lecce

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