World War III

World War III

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Presentato a Orizzonti di Venezia 79, World War III (Jang-e jahani sevom) dell’iraniano Houman Seyedi mette in scena una storia di povertà e marginalità con lo sfondo della lavorazione di un film storico su nazismo e Olocausto, dove un pover’uomo viene preso per il ruolo di Hitler. La stessa crew farà un film anche su Saddam Hussein. Consegnati i dittatori alla Storia e al cinema, quale sarà la terza guerra mondiale cui allude il titolo?

Vogliamo vivere in Iran

Shakib è un lavoratore a giornata senza fissa dimora che non si è mai ripreso dalla perdita della moglie e del figlio in un terremoto avvenuto anni prima. Negli ultimi due anni ha iniziato una relazione con una donna sordomuta, Ladan. Il cantiere in cui lavora oggi si rivela essere il set di un film sulle atrocità commesse da Hitler durante la Seconda guerra mondiale. Contro ogni previsione, gli viene dato un ruolo nel film, una casa e la possibilità di diventare qualcuno. [sinossi]

Alla vigilia della presentazione in concorso a Venezia del nuovo film di Jafar Panahi, regista vittima della repressione censoria della Repubblica Islamica dell’Iran che più volte lo ha vincolato nelle sue libertà personali, colpisce, per audacia nell’affrontare i tabù, il film World War III (in lingua farsi il titolo è Jang-e jahani sevom) del giovane filmmaker Houman Seyedi. Film che arriva in laguna senza i clamori giustamente suscitati per la condizione del collega e connazionale più anziano, e che, per forza di cose, deve essere stato licenziato dalla censura non certo morbida del paese, e deve aver avuto il permesso di essere presentato fuori dai confini, a un festival internazionale. Seyedi segue il filone di quel metacinema cui la cinematografia nazionale ha dato molto, pensiamo a Kiarostami ma anche solo a Lo specchio dello stesso Panahi. E non dimentichiamo che, su un set, ancorché fasullo, interno al film, si gioca uno dei film più noti riguardanti l’Iran, ovvero Argo di Ben Affleck. World War III sembra una versione contemporanea e allucinata di Vogliamo vivere! di Lubitsch. Un pover’uomo, Shakib, che ha perso moglie e figlio in un terremoto, e che intrattiene una relazione con una donna sordomuta, con la disapprovazione morale della famiglia, si trova improvvisamente coinvolto nella lavorazione di un film. Si tratta del set di un film storico su nazismo e Olocausto dove Shakib finisce per essere coinvolto al punto di diventare il protagonista anche del film nel film, ovvero Adolf Hitler. In fondo basta tagliare i baffetti nella sagoma caratteristica e il gioco è fatto. Chiunque, con un tale trattamento, potrebbe prendere il posto del Führer.

Al pari della compagnia teatrale del film di Lubitsch, il film che si sta girando sembra alquanto raffazzonato. Da un lato il set è imponente, ci sono molte comparse e grandi ricostruzioni scenografiche, le macchine da presa sembrano proprio le cineprese di una volta. Insomma un modo di fare cinema assolutamente classico, che prevede anche una vera esplosione di una casa come uno Zabrinskie Point qualsiasi. Alcune situazioni ricalcano perfettamente le immagini che abbiamo dei campi di sterminio: i corpi nudi emaciati e scavati, i cadaveri trascinati. Eppure l’inverosimiglianza totale si ha nel mettere in scena un Hitler che spara in prima persona ai condannati, fronteggia direttamente i prigionieri in gabbia, senza pensare a quella gigantesca macchina di sterminio di cui Hitler era ai vertici. Non si sporcava certo le mani in prima persona. Nella rappresentazione di una rappresentazione di una tragedia della Storia, Houman Seyedi usa molto l’ironia. Come non notare che il regista del film assomigli, in una versione buffa, proprio a Kiarostami?

In questo contesto Shakib porta avanti la sua vita di stenti. Quando ha bisogno di soldi chiede un anticipo alla produzione del film, governata in realtà da personaggi cinici, che glielo rifiutano. Emerge un contesto di squallore generalizzato, nella troupe e fuori da questa. La rappresentazione dell’Olocausto, va poi detto, assume un significato un po’ diverso nei paesi di cultura islamica radicale rispetto alla nostra cultura storica. Senza arrivare al negazionismo, comunque sensibilmente diffuso, permane l’atteggiamento di pagare, con la creazione dello stato di Israele, delle colpe non proprie. Più univoco invece è l’atteggiamento su un altro dittatore, ovvero Saddam Hussein, contro cui l’Iran ha combattuto una lunga guerra, che si intravede alla fine, come ulteriore personaggio di un altro film della stessa crew. I dittatori di quel calibro sono stati consegnati alla Storia, e al cinema, dove pure il regista con il suo entourage svolge una funzione da despota. Ma il quadro sociale desolante che emerge della società iraniana può rimandare anche a una tendenza verso un potere autoritario di cui anche il paese degli ayatollah non è esente. E la terza guerra mondiale, nel titolo stesso del film, potrebbe alludere a una ribellione dei poveri e degli emarginati. Cosa che, a suo modo, sembra voler fare Shakib alla fine, dopo un percorso di infinite vessazioni.

Houman Seyedi gioca con l’ambiguità, costruendo il film su delle scatole cinesi pirandelliane. Non solo il cinema stesso, la finzione interna, ma anche tutta quella parte finale sulla morte, presunta, di Ladan. Per la quale comunque la situazione del bracciale rappresenterà una soluzione. Impera una solta di relativismo della Storia che si ripete e perpetua nella realtà come tragedia e al cinema come farsa.

Info
World War III sul sito della Biennale.

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