La ligne – La linea invisibile

La ligne – La linea invisibile

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Ambientato in una cittadina fatta di case sparse e basse, in una vallata fangosa circondata da irte e incombenti montagne innevate, La ligne – La linea invisibile (terzo lungometraggio diretto da Ursula Meier) è intessuto nelle proprie metafore, allontanandosi dal racconto psicologico e forzando lo spettatore a comprendere gli ellittici movimenti interiori delle protagoniste, capitanate da una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi. Ma l’universo simbolico della regista resta qui un po’ inerte.

Un giorno questa violenza ti sarà utile

Dopo aver picchiato selvaggiamente la propria madre, Margaret viene sottoposta a misure restrittive: per tre mesi non potrà avvicinarsi alla casa in cui la giovane donna vive né tanto meno alla madre che perde in parte l’udito in seguito alla colluttazione. La sorella minore, la dodicenne Marion, fa da “ponte” tra le due anime in conflitto e, per definire meglio la distanza di sicurezza, dipinge attorno all’abitazione una linea di demarcazione che Margaret non può oltrepassare… [sinossi]

Al suo terzo lungometraggio dopo Home (2008) e Sister (2012), la regista franco-svizzera Ursula Meier torna a parlare di famiglie, conflitti, limiti interni ed esterni con La ligne – La linea invisibile, simbolico racconto – questa volta tutto al femminile – sulla rimozione e la violenza insite nei rapporti tra madri e figlie e nella maternità stessa. Sottolineata dal Nisi Dominus di Vivaldi (lo stesso brano che punteggia Dogville di von Trier, un film, appunto, costruito attorno a linee di demarcazione), la prima scena in slow motion mostra una giovane donna picchiarne selvaggiamente un’altra fino a farle sbattere la faccia sulla tastiera di un pianoforte: una scena, questa, che parrebbe preludere a un’intera sequela di spiegazioni che lo spettatore attende probabilmente di trovare nel film, ma che invece elegantemente non saranno date non essendoci una ragione o una causa specifica per l’insano scoppio d’ira dell’incipit. Nella scena successiva scopriamo intanto che Margaret (Stéphanie Blanchoud) ha malmenato brutalmente sua madre Christina (Valeria Bruni Tedeschi) quando, di fronte a un uomo di legge, alla donna viene proibito per tre mesi di avvicinarsi più di cento metri dalla casa (“home”, citando il primo film di Meier) in cui viveva (sebbene nel garage, come ospite poco gradita) e ovviamente dalla genitrice che dice di non volerne più sapere della figlia. Le due donne sono in realtà profondamente unite da un legame malsano, cimentato dal rancore che Christina trascina con sé da decenni ossia quello di aver dovuto interrompere la sua carriera da pianista in seguito alla nascita di Margaret, che cerca a sua volta di fare la cantautrice nonostante una rabbia difficilmente repressa l’abbia già nel passato condotta a risse, contusioni e vari guai. La rabbia e la musica, condivisi ed elaborati differentemente dalle due protagoniste, trovano un contraltare nella figlia minore di Christina, Marion (Elli Spagnolo) che nonostante l’asma si esercita al canto e cerca nelle canzoni destinate alla Messa una luce e una speranza che non vede attorno a sé (le canzoni di sua sorella Margaret parlano, invece, di buio e oscurità). Giovanissima e ancora piena di fede, sarà proprio Marion a disegnare con la vernice la linea invalicabile che Margaret non dovrà oltrepassare, pena la galera, e dietro alla quale ogni giorno la donna va però a cercare informazioni sulla famiglia. Margaret non sa, a questo punto, che la madre ha perso parte dell’udito, condizione che la mette finalmente nella posizione di vendere il pianoforte con cui insegnava musica in privato. Una liberazione, in fondo?

Ambientato in una cittadina fatta di case sparse e basse, in una vallata fangosa circondata da irte e incombenti montagne innevate, La ligne è intessuto nelle proprie metafore, allontanandosi dal racconto psicologico e forzando lo spettatore a comprendere gli ellittici movimenti interiori delle protagoniste. La maternità, come detto, è uno dei temi dominanti e problematici, ed è incarnata plasticamente anche dall’altra figlia di Christina, Louise (India Hair), in attesa di due gemelle: quando nascono, nessuno riuscirà a riconoscerle facilmente e solo la fedele Marion, ancora pura nei propri sentimenti netti e non offuscati dalla complessità della vita, ci riesce sempre. Il personaggio interpretato dalla brava Valeria Bruni Tedeschi è una madre ricattatoria, intrisa di violenza anche più di Margaret che la malmena e che, esprimendo palesemente questi istinti distruttori, vuole elaborare le proprie “menomazioni” e i propri limiti più di sua madre che invece scarica all’esterno (sulle figlie e sui propri giovani amanti) sia le cause della propria insoddisfazione che viceversa di godimento. Margaret cerca un equilibrio interiore più consapevole e la rissa iniziale alla fine può essere letta come un tentativo di interruzione di una ripetizione senza senso. Che è la maternità stessa, laddove subita come dovere del femminile, ma è anche il perpetuarsi di dinamiche rimosse, non accettate nella loro dolorosa verità, che la violenza distrugge a costo di spaccare tutto, affinché non replichino all’infinito subdolo odio e sottile sopraffazione. Una mancata pianista, una cantautrice, una ragazzina che intona lodi al Signore sono i puntelli strutturali di questa triade di femmine (“sister”, citando il secondo film di Meier) in cui gli uomini hanno ruolo marginale, quasi oggettivato e in cui il padre non solo è assente ma non è proprio mai menzionato come se non fosse mai esistito. L’unico uomo degno di nota è l’ex di Margaret, Julien (interpretato da Benjamin Biolay), un musicista da cui la ragazza trova rifugio dopo essere stata sbattuta fuori di casa e che, pur difendendosi dai suoi scatti, comprende le ragioni e persino gli obiettivi del suo disagio. Tre donne (il personaggio di Louise è più marginale), tre età differenti, tre modi diversi di reagire ai propri limiti e l’idea che viviamo sempre con menomazioni più o meno coscienti, rendono La ligne (presentato lo scorso anno in Concorso alla Berlinale) un film intellettualmente elaborato, per nulla banale, che però non trova un corrispettivo interessante nel dispositivo scenico e cinematico che risulta quasi inadeguato ad accogliere l’ordito che la regista ha predisposto.

Volutamente deprivato di spiegazioni “facili” e psicologie chiaramente esposte, l’universo simbolico in cui già si muovevano i precedenti film di Ursula Meier resta qui un po’ inerte, essenzialmente naturalistico e pianeggiante come il paesaggio e, anche se non mancano i tocchi di surrealtà (affidati spesso a scene in cui fanno capolino i bambini, persone in cui la questione della “linea” interiore ancora non si pone), questi non sono in grado di diventare stile per l’opera, restando singolarità che non conformano l’insieme. Molto più dell’incipit-prologo in rallenty, si fa notare una bella carrellata in allontanamento da Christina che per l’ultima volta suona l’amato/odiato pianoforte, già sul montacarichi che lo porterà per sempre via da lei, a sottolineare che la donna è davvero “relativamente” sorda ma approfitta volentieri dell’incidente per abbandonare un oggetto che aveva investito malamente di frustrazione e desiderio. La figlia maggiore farà un percorso di crescita e alla fine la sua violenza sarà stata utile. La riflessione è interessante e mette in scena un rapporto tossico che viene spezzato, ma la chiarezza concettuale non riesce a riverberarsi in maniera convincente nella struttura visiva, rendendo La ligne meno impattante e deciso di quanto potrebbe essere.

Info
La ligne – La linea invisibile, trailer.

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