Women Talking – Il diritto di scegliere

Women Talking – Il diritto di scegliere

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Quarto film diretto dall’attrice canadese Sarah Polley, Women Talking (dimenticabile il sottotitolo italiano che recita Il diritto di scegliere) si inserisce nel dibattito sul femminile raccontando la contemporaneità chiusa completamente al moderno delle donne di una comunità mennonita che scoprono di venire ogni notte seviziate dai loro mariti e padri. Un film che a tratti amalgama in modo incerto lirismo e prosa e che riserva ai momenti dialogici l’aspetto più interessante.

Pensieri e parole

Le donne di una comunità religiosa chiusa e isolata dal mondo scoprono che durante la notte, per anni, sono state narcotizzate e violentate dagli uomini: quando al mattino le femmine si svegliavano insanguinate o doloranti o tumefatte, i maschi dicevano loro che era stato il diavolo o i fantasmi o che era tutto frutto della loro immaginazione. Una notte, però, uno di loro è colto in flagrante e consegnato alle autorità; a seguire vengono presi e trattenuti dalla polizia tutti gli uomini del posto. Prima che i maschi siano probabilmente rilasciati su cauzione, le donne, per la prima volta sole, hanno poche ore per decidere del loro futuro. Per farlo voteranno se perdonare come se nulla fosse accaduto, se restare nella comunità e lottare per cambiarla, se andarsene. [sinossi]

Poche ore per prendere una direzione, arrivate a un bivio che comporta enormi incognite: è la situazione in cui si trovano le donne della comunità mennonita messa in scena nel film di Sarah Polley Women Talking – Il diritto di scegliere (ma era necessario aggiungere questa “postilla”, assente in originale, al titolo per la distribuzione italiana?), candidato all’Oscar come miglior film e a quello per la miglior sceneggiatura non originale. L’interessante lavoro di Polley è infatti la trasposizione dell’omonimo libro del 2018 di Miriam Toews, cresciuta – e allontanatasi in fretta – in una comunità mennonita (religione cristiana di ceppo anabattista) che rifiuta totalmente la modernità in ogni sua implicazione, più o meno come gli Amish. Interprete del film Luz Silenciosa (2007) di Carlos Reygadas, che parla di un’enclave religiosa, la scrittrice canadese ha tratto a sua volta ispirazione per il suo romanzo da una terrificante storia vera, avvenuta in Bolivia tra il 2005 e il 2009: a Manitoba, all’interno di una di queste “società”, le donne per anni di notte sono state violentate, messe incinte, picchiate, narcotizzate con anestetici per animali dagli uomini. La storia emerse a ridosso del 2010 e, nella realtà, ci fu un processo che portò alla condanna di svariati “fedeli”. Prima Toews poi Polley spostano l’azione in Nord America, mantenendone la contemporaneità, mentre Polley decide di affidare la voce narrante del film a una ragazzina e non, come nel libro, a August, l’unico uomo che accompagna le donne nel loro lungo argomentare tenendo una trascrizione del loro dibattere, essendo lui il maestro dei bambini – tornato da poco in quell’enclave dopo molti anni – e loro totalmente analfabete non potendo le donne imparare a leggere. Interpretato da Ben Whishaw, August è un personaggio sensibile, intelligente e gentile, cui viene tolta la voce narrante ma viene affidata una delle riflessioni più importanti di Women Talking, quella circa l’educazione emotiva dei maschi. Tra gli aspetti positivi da mettere in luce del film, c’è quello di raccontare innanzitutto personaggi femminili differenti tra loro, “portabandiera” di atteggiamenti differenti rispetto al corpo sociale in cui sono inserite; ugualmente il “maschile”, messo sotto accusa nei fatti, non è un moloch immobile come il personaggio di August suggerisce. Donne e uomini, però, devono capire loro stessi e fare delle scelte se vogliono cambiare in meglio: entrambi ne hanno bisogno e non basta “il genere” a definire l’innovazione (sebbene, sia chiaro, il film parli di cosa significa superare la cultura patriarcale).

La forza del lavoro di Polley sono le scene di dialogo, quelle in cui le donne si confrontano per decidere come agire: la regista avrebbe potuto addirittura eliminare tutto il resto per concentrarsi soltanto sull’argomentare incalzante delle protagoniste che, attraverso i loro punti di vista e ponendosi moltissime domande, compiono un viaggio all’interno della società quanto nei propri desideri. In un’atmosfera che ricorda Il crogiuolo di Arthur Miller si inserisce una dialettica squisitamente politica che attraversa temi molto delicati quali la corresponsabilità, il potere, la “proposta” alternativa delle donne rispetto alla comunità maschile, la scoperta di sé. In queste scene il film diventa vibrante, articolato. Polley decide però di intervallare l’eloquio con scene dall’enfasi poetica, sottolineata dalla fotografia spesso desaturata di Luc Montpellier e da ampi movimenti di ripresa che inquadrano i bambini e le bambine ancora piccoli mentre giocano nei campi. Non aiuta neppure il commento musicale del Premio Oscar (per Joker) Hildur Guðnadóttir, che sovrascrive spesso l’azione risultandone un raddoppio un po’ inerte. Lampi di violenza subita, che compaiono come rapidi flashback, si immergono in un orizzonte visivo che può ricordare il Malick de I giorni del cielo (narrato infatti dalla piccola Linda, la sorella del protagonista Richard Gere): in questi intervalli lirici, paradossalmente, il film perde pregnanza, lasciandosi andare a un afflato meno potente rispetto allo svolgersi delle parole femminili che risultano il fulcro pulsante. L’efficace incipit di Women Talking vede Ona (Rooney Mara) inquadrata dall’alto nel proprio letto, con l’interno delle cosce insanguinate: la narratrice, la quindicenne Autje (Kate Hallett), racconta cosa è accaduto nella comunità e che, chiamate a determinare cosa fare dopo aver scoperto di essere vessate, tutte le donne hanno votato se far finta di niente e perdonare, se restare e cambiare le cose, se andarsene. Scartata l’idea di fingere che nulla sia successo, opzione incarnata da una demoniaca “sfregiata” Frances McDormand, le donne si dividono in due fazioni: restare per cambiare le cose o andarsene all’indomani. Per decidere, alcune donne scelte da tutte le altre si ritrovano a discutere nel fienile: hanno poco tempo perché la polizia ha sì arrestato i loro mariti o i loro padri, ma sicuramente qualcuno tornerà presto su cauzione. “Quello che segue è un atto di immaginazione femminile” ci informa una didascalia, non la voce narrante: tutto quello che vedremo è dunque un’ipotesi, una figurazione socratica di una dialettica mai avvenuta. Ma proprio l’immaginazione, isterica e femminile, era l’argomento brandito dal maschile per tacitare l’evidenza: a colpire o far del male era stato il diavolo, o dei fantasmi, e le femmine dovevano solo affidarsi al Signore anche quando restavano gravide. La stessa immaginazione chiamata in causa dal maschile viene riscritta nel film per dare voce a una comunità di persone di Fede, cui nessuna vuole rinunciare, ma disposta a mettere in discussione tutto per trovare la propria strada. Se Ona, rimasta incinta dopo lo stupro, è l’interprete più sfaccettata delle implicazioni “politiche” della decisione che tutte hanno dinnanzi, i personaggi di Salomè (Claire Foy) e Mariche (Jessie Buckley) incarnano opinioni oppositive essendo la prima totalmente protesa alla vendetta e la seconda del tutto disillusa circa le possibilità di cambiamento. La piccola narratrice racconta la situazione parlando inoltre alla creatura che Ona porta in grembo: “Avevamo 24 ore per immaginare in che mondo saresti nata”. Il parlare e l’immaginare sono le parole chiave perché è proprio attraverso la parola e l’immaginazione che si costruisce la struttura della convivenza, giusta o sbagliata che sia. Women Talking è una “risposta” irreale a eventi reali e, nel suo dipanarsi, non fornisce facili soluzioni ma indica nel dialogo, nell’utopia del cambiamento (Daydream Believer dei Monkees è l’unica canzone del film) e in una nuova educazione emotiva le vere aspirazioni cui tendere. Non esiste “una” donna, ma tanti atteggiamenti differenti e se c’è un pregio in Women Talking è quello di sgombrare il campo circa la “correttezza” della rappresentazione del personaggio femminile, qui squadernato in vari aspetti e anche nelle sue ambivalenze. Le donne, come gli uomini, crescono in un contesto ed è questo contesto a dover mutare laddove produca violenza: occorre immaginare qualcosa di diverso se si vuole fondare una società migliore per tutti.

Quella di Sarah Polley è un’opera intelligente che trova nella struttura dialogica i suoi momenti più puntuali, interessanti, meno ovvi. L’alternarsi tra lirismo e prosa non sempre pare equilibrata e rende incerto il ritmo compositivo di un film che procede un po’ a scatti, amalgamando con qualche difficoltà la nettezza della riunione politica tra donne e l’evocazione poetica di un desiderio utopico e intimo. Col risultato di giustapporre queste due istanze, emotive e stilistiche, più che connetterle, rendendo il tutto sicuramente “aperto” ma anche fragilmente aporetico nel suo vagheggiamento sognante. Women Talking è prodotto da Plan B Entertainment, la casa di produzione di Brad Pitt, che recentemente ha prodotto anche Blonde di Andrew Dominik e Anche io di Maria Schrader e che dunque si dimostra davvero interessata a lavori estremamente diversificati tra loro, ma capaci di riflettere in maniera non banale sul femminile, la sua rappresentazione, il suo farsi immagine, le sue parole. Tra tanti proclami hollywoodiani inutili se non dannosi, Plan B mostra di intercettare lo spirito dei tempi credendo a progetti che possano restituire un insieme fatto di tante prospettive e non aderente a una trita ideologia.

Info
Il trailer di Women Talking – Il diritto di scegliere.

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