Comandante

Comandante

di

Senza ritmo, narrativamente slabbrato, ideologicamente ambiguo, nazionalista e infantilmente patriottardo, Comandante di Edoardo De Angelis ha aperto l’ottantesima edizione della Mostra del cinema di Venezia.

C’è un solo comandante, ed è Che Guevara

All’inizio della Seconda guerra mondiale Salvatore Todaro comanda il sommergibile Cappellini della Regia Marina. Nell’ottobre del 1940, mentre naviga in Atlantico, si profila la sagoma di un mercantile, il Kabalo, che in seguito si scoprirà di nazionalità belga. Scoppia una battaglia nella quale Todaro affonda il mercantile. Ed è a questo punto che il Comandante decide di salvare i 26 naufraghi per sbarcarli nel porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare. Per accoglierli a bordo è costretto a navigare in emersione per tre giorni, rendendosi visibile alle forze nemiche e mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini. [sinossi]

Non c’è niente da fare. Abbiamo perso, almeno al momento, almeno per i prossimi vent’anni. O, per meglio dire, per il prossimo ventennio. Non solo infatti la politica e il governo/i governi, ma ormai anche l’egemonia culturale è totalmente appannaggio della destra, e lo dimostra il nuovo film di Edoardo De Angelis, prodotto di punta di Rai Cinema, apertura della Mostra del Cinema di Venezia, sponsorizzato dalle forze armate e nello specifico dalla Marina Militare. Ed è vero, come dice enrico ghezzi, che il cinema è un’arte totalmente del presente, totalmente immersa nel presente, come dimostra il fatto che Comandante, sia pur pensato da De Angelis e dal suo cosceneggiatore Sandro Veronesi addirittura prima del lockdown, si riversa in modo assolutamente perfetto nell’attualità, pronto a diventare – sia pure involontariamente – il portabandiera audiovisivo del governo meloniano. Anzi, ci pare di poter dire che – grazie soprattutto alla scelta di Barbera di aprire il festival con questo film – Comandante segna proprio l’atto ufficiale di nascita del nuovo cinema di destra e di governo. D’altronde c’è un fronte di guerra da sostenere in Ucraina, e non solo la stampa deve fare il lavoro sporco della propaganda, bisogna che anche il cinema faccia il suo. Il film dell’anno scorso di Zanasi, War – La guerra desiderata, con il suo discorso pacifista, sembra – purtroppo – già invecchiato di dieci anni rispetto all’aria che tira e ai cannoni che fumano. Living with war, cantava nel 2006 Neil Young, ed è tuttora – di nuovo – così.

Senonché – almeno a nostro avviso – il meccanismo del film non funziona, anche dal punto di vista ideologico, come dire. Ce n’è di strada da fare per essere al livello dell’efficienza e della compattezza propagandistica di Hollywood, basti pensare – per restare in tema di guerra sottomarina – a K-19 di Kathryn Bigelow. E così quei momenti in cui De Angelis alza il tasso di nazionalismo sono proprio quelli in cui cade nel ridicolo involontario: si pensi all’urlo overacting di Favino, che interpreta il ruolo del comandante del titolo Salvatore Todaro e che quando un belga lo accusa di essere fascista, lui risponde stentoreo e con occhi strabuzzanti facendo tremare tutto il sottomarino: “Sono un uomo di mareeeeee!!!!”; si pensi alla comparsa nientemeno che di un mandolino (in ossequio allo stereotipo dell’italianità all’estero del pizza spaghetti e mandolino); si pensi al dialogo tra il comandante belga e quello nostrano, in cui di fronte alla domanda del primo (“Come mai ci hai salvati?”), il Todaro/Favino risponde con crassa retorica: “Perché sono un italiano!” (un italiano vero, avrebbe aggiunto Toto Cutugno). E si pensi infine all’ossessione per la cucina con l’elenco estenuante di tutti i piatti italiani, declamato dal cuoco napoletano sui titoli di coda, dove la cucina serve come arma, come grimaldello, per decantare lo stereotipo degli stereotipi, l’ur-stereotipo, e cioè gli italiani brava gente.

Questo nazionalismo che riteniamo infantile per il modo in cui viene messo in scena, e che però sembra essere stato preso molto sul serio da De Angelis, non funziona non tanto perché non siamo d’accordo, ma proprio perché è mal raccontato, è maldestro, come è maldestra tutta la scrittura del film. E crediamo che De Angelis, ripensando anche ad alcuni suoi film del passato, co-scritti ora con Guaglianone (il cui lavoro di scrittura più famoso è Lo chiamavano Jeeg Robot), ora con Contarello (ex collaboratore abituale di Sorrentino, e prima di Mazzacurati), abbia bisogno non di un romanziere quale è Sandro Veronesi, ma di un drammaturgo, uno capace di pensare strutturalmente alla forma del racconto, uno che abbia una forte esperienza a teatro, come potrebbe essere ad esempio Ugo Chiti. Tanto più ce ne sarebbe stato bisogno qui, in Comandante, perché – dopo un incipit a terra, che a conti fatti ci sembra la parte migliore del film – non appena ci fa entrare nel kammerspiel-sottomarino, De Angelis perde la bussola, non racconta bene lo spazio, non riesce a far sbocciare in maniera naturale e credibile personaggi e situazioni e conflitti (tanto che forse i due personaggi più riusciti del film sono i due personaggi femminili, che vediamo però solo nell’incipit, a terra), ed è così palesemente in difficoltà da dover ricorrere costantemente alla voice over di Favino che scrive una caterva di lettere alla moglie rimasta a casa. D’altronde, lo stesso meccanismo delle voice over appare strano, per non dire contraddittorio, visto che all’inizio lo si usa come monologo interiore di alcuni personaggi secondari (e funziona perché non è direttamente esplicativo), mentre poi diventa appannaggio esclusivamente di Todaro/Favino, e a quel punto non funziona più perché ci racconta cose che dovrebbero essere viste e non dette. Un esempio su tutti in tal senso sono le piccole beghe tra italiani provenienti da diverse regioni: prima c’è Todaro/Favino che ce le spiega in voice over e poi le vediamo all’opera in una scenetta telefonatissima. Tra l’altro, la piccola umanità che si dispiega nel quotidiano di uno spazio stretto (e dunque, per sua natura, teatrale) poteva – e forse voleva – essere il centro di Comandante, e ad un certo momento sembrava potesse essere così. Ma poi, quando il film dovrebbe arrivare al suo climax, nel momento cioè in cui vengono caricati i nemici belgi a bordo e dunque lo spazio si restringe ulteriormente, e i conflitti dovrebbero esplodere, tutto ciò non avviene, e anzi il film praticamente finisce lì, nel momento in cui il cuoco tira fuori il mandolino e canta O’surdato ‘nnamurato, in ossequio agli stereotipi sopracitati e all’anima profondamente napoletana di De Angelis. D’altronde, la totale assenza di originalità nelle scelte musicali è confermata dalla riproposizione in tutte le salse della Cavalleria rusticana di Mascagni; e anche qui si tratta di una scelta fatta all’insegna dell’italianità, del prodotto italiano che piace all’estero, quasi a voler riportare in Italia una musica che non possiamo non associare allo Scorsese di Toro scatenato.

E veniamo al carattere del protagonista con Favino che interpreta il comandante Salvatore Todaro, messinese, morto nel ’42 e rimbrottato dai nazisti per questo suo gesto da uomo di mare che lo spinse a salvare i naufraghi belgi della nave che lui stesso aveva affondato. Potenzialmente Todaro poteva essere un personaggio molto affascinante, visto che per via di un incidente occorsogli nel ’33 soffriva di dolori terribili alla schiena, portava un busto ed era costretto a prendere la morfina; allo stesso tempo era appassionato di arti orientali e praticava yoga. Tutto questo viene detto nel film, ma senza che si riesca a tratteggiare un personaggio stratificato: ad un certo punto, ad esempio, il nostro cita d’emblée una frase dell’imperatore giapponese Mutsuhito, tra l’altro non particolarmente significativa (una cosa del tipo: “Che la vita continui normalmente e che ognuno faccia quel che deve”), e questa dovrebbe essere l’informazione per far incamerare l’elemento: “Ah, è esperto di cultura orientale”; l’altro è un momento in cui Todaro/Favino sta fermo non si sa bene a fare cosa, e con qualche sforzo mentale si arriva a dire: “Ah, ecco, fa yoga”; ma perché aveva queste passioni? Non si sa, non ci viene detto. E così ci appaiono solo come delle stranezze che potevano anche non esserci, visto che non contribuiscono a farci conoscere meglio il personaggio. E anche il dolore alla schiena, quel busto che deve sempre portare (e lo scrive uno che il busto alla schiena lo ha portato), non diventa mai problema, se non all’inizio, quando la questione ci viene presentata; poi basta, finisce lì. Dopo, si vede ogni tanto quel busto, ma è come se fosse un elemento scenografico qualsiasi, e non un qualcosa che ti limita i movimenti, che ti fa sentire sempre in gabbia. Quindi le debolezze e i limiti fisici del personaggio non fanno chiaroscuro e allora il Todaro/Favino è solo un patriota che segue la legge del mare, un eroe tutto d’un pezzo, tronfio e anti-empatico, con cui è veramente difficile provare a identificarsi.

Chiudiamo, a questo punto, per ringraziare De Angelis di averci fatto rivedere Paolo Bonacelli, attore che amiamo molto e che fu, ad esempio, tra gli interpreti di Salò. Purtroppo però Bonacelli è utilizzato in un ruolo poco comprensibile, quello di una specie di santone che alla presenza del protagonista scrive delle parole in greco antico, parole che non capisce nemmeno Todaro/Favino, tanto che poi verso la fine del film se le fa tradurre da uno dei belgi che ha salvato e che, incredibilmente, pur essendo molto giovane (nemmeno trentenne) conosce sette lingue, tra cui – guarda caso – proprio il greco antico. E non si capisce da dove spunti fuori un personaggio del genere, se non nella spicciola utilità di fare da interprete tra belgi e italiani. Certo, i marinai girano il mondo e imparano le lingue, ma magari qualche rudimento e non alla perfezione, e poi il greco antico chi lo parla? Tanto più che il ragazzo discetta in italiano con maggior cura dei napoletani e dei veneti che si ritrova nel sottomarino, e addirittura maneggia il greco antico meglio forse di quanto lo conoscesse Umberto Eco, visto che gli basta un’occhiata per riconoscere immediatamente un estratto dell’Iliade. Ma d’altronde il film è tratto da una storia vera ed è la scusa che sempre si tira fuori quando si prova a criticare un film tratto da una storia vera: “Eh, ma l’ha detto veramente”. Ed è una sorta di dittatura che vuole limitare le possibilità di critica e che vorrebbe imporre il pensiero unico. Ma noi non ce la sentiamo di arrenderci di fronte al pensiero unico, senza nemmeno provare a resistere.

Info
La scheda di Comandante sul sito della Biennale.

Articoli correlati

Array
  • Venezia 2023

    Venezia 2023 – Minuto per minuto

    Venezia 2023 festeggia le ottanta edizioni della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, contraddistinguendosi per lo spazio rilevante concesso alla produzione nazionale, a partire dalla presenza in concorso di ben sei film italiani.
  • Venezia 2023

    Venezia 2023

    Venezia 2023, ottantesima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, conferma la struttura che è quella consolidata dal 2012, cioè a dire da quando Alberto Barbera ha ripreso il timone del comando: grande spazio all'occidente con il resto del mondo relegato in un cantuccio.
  • Festival

    Venezia 2023 – Presentazione

    Venezia 2023, ottantesima edizione della Mostra e penultima sotto l'egida di Alberto Barbera, si era inaugurata con la defezione di Challengers di Luca Guadagnino, scelto come film d'apertura. La Mostra ha avuto però la forza di trattenere gli altri film hollywoodiani selezionati, e guarda ancora a occidente.
  • Roma 2018

    Il vizio della speranza RecensioneIl vizio della speranza

    di Rinfrancato dal successo di Indivisibili, Edoardo De Angelis propone in Il vizio della speranza, vincitore del premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma, gli stessi ingredienti del suo precedente film. E vi si ritrovano gli stessi difetti di una confezione che prevale sul racconto e sulle reali motivazioni dei personaggi.
  • Venezia 2016

    Indivisibili

    di Tra nani, ballerine, variopinte meretrici e due gemelle siamesi, Indivisibili di Edoardo De Angelis ha facile presa sulla curiosità dello spettatore, ma non sviluppa la storia né i personaggi e resta il contenitore, seppur seducente, di una serie di attrazioni da freak show.
  • Archivio

    Perez.

    di Dopo Mozzarella Stories, Edoardo De Angelis presenta fuori concorso a Venezia 71 un noir imperfetto, troppo ingenuo nelle soluzioni narrative e visivamente asettico. Con Luca Zingaretti protagonista assoluto.