Finalmente l’alba

Finalmente l’alba

di

Con Finalmente l’alba, in concorso a Venezia 80, Saverio Costanzo realizza una sorta di “controcaso” Montesi, la ragazza ritrovata morta sul litorale romano nel ’53, e ne trae spunto per costruire un romanzo di formazione di ambito cinematografico, giocando abilmente a rimpiattino con le attese spettatoriali.

Sarai tu – ferma e chiara.

Il viaggio lungo una notte della giovane Mimosa che, nella Cinecittá degli anni Cinquanta, diventa la protagonista di ore per lei memorabili. Una notte che da ragazza la trasformerà in donna. [sinossi]

Raramente capita di vedere un film in cui si sfiora costantemente l’orlo della catastrofe, della perdita di credibilità improvvisa e irreversibile. E Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, presentato in concorso a Venezia 80, rientra proprio in questo ristretto novero di film che sfidano lo spettatore, che sembrano portarti da una parte e invece poi ti portano altrove, e così via, come in una sorta di labirinto in cui il regista ci guarda dall’alto (o forse da uno spioncino/macchina da presa/proiettore) e indovina ogni nostra mossa o pensiero sapendo già di avere pronta per noi una nuova spiazzante soluzione alternativa. Ed è geniale che questo gioco avvenga a partire da una storia vera, quella del caso Montesi, la ragazza che venne ritrovata morta sul litorale romano nel ’53, dopo aver partecipato a una festa di potenti di vario ordine e natura. Geniale perché chi conosce un minimo i nomi dei personaggi di alto lignaggio che furono coinvolti nelle indagini li individua nel film di Costanzo, a partire da quel Piero Piccioni che fu uno dei nostri maggiori compositori di colonne sonore (passava dal musicare i film di Francesco Rosi a quelli di Alberto Sordi) e che fu pesantemente coinvolto nelle indagini sulla morte della giovane popolana Wilma Montesi, e anche se poi venne assolto, il suo coinvolgimento portò alle dimissioni da ministro degli Esteri del padre democristiano Attilio. Così, quando vediamo apparire in Finalmente l’alba un attore che interpreta Piero Piccioni e che fa anche una battuta di natura democristiana (afferma di essere della corrente dorotea della DC), capiamo che Costanzo vuole farci l’occhiolino, come a dirci: “Eccovi qua uno dei presunti assassini della Montesi”.

Ma il punto è proprio questo, che Costanzo dice e non dice, dando mostra di un’abilità davvero sorprendente. In una delle prime scene del film, infatti, la protagonista Mimosa assiste a un cinegiornale in cui viene annunciata la morte di Wilma Montesi, avvenuta proprio la notte precedente; solo che da lì in poi Mimosa sembra ripercorrere letteralmente tutto quello che è avvenuto giusto poche ore prima alla sventurata ragazza. Allora ci si domanda: ma lei è o non è Wilma Montesi? E se non è lei, farà la sua stessa fine? Ed è dunque su questo angolatissimo crinale che si muove Finalmente l’alba, riuscendo a non venir mai meno alla tensione. Da qui il film di Costanzo riesce addirittura a diventare teorico, metacinematografico, perché mescola continuamente i piani: da un lato la Storia e la cronaca (di un evento luttuoso, tra l’altro mai risolto), dall’altro la costante reinvenzione cinematografica, dal sapore quasi tarantiniano. Se si vuole però il Tarantino di Bastardi senza gloria e di C’era una volta a Hollywood dice chiaro e tondo che il Cinema è superiore alla Storia, mentre Costanzo – non meno ambiziosamente – ci suggerisce che il Cinema si muove tra gli “interstizi” della Storia, negli spazi lasciati vuoti, e dunque ricostruisce e ricollega quegli spazi. Perciò in qualche modo, in base alla visione di Finalmente l’alba, ci viene da dire che non può esistere mai un film ispirato a una storia vera, ma forse esistono sempre e solo film “intessuti” a partire da una storia vera, dove il cinema tesse come Penelope quel che la storia da sé non riesce a fare.

E dunque il cinema è onnipresente in Finalmente l’alba, a partire dalle prime immagini in cui ci ritroviamo immersi in un film dal sapore neorealista (rigirato e inventato da Costanzo) che Mimosa è andata a vedere in sala insieme alla madre e alla sorella. Da lì veniamo trasportati in casa di Mimosa e sembra di ritrovarsi improvvisamente in una commedia popolana degli anni Cinquanta, da neorealismo rosa, quasi sul versante di Poveri ma belli; ed è questa una zona del film che abbiamo trovato molto fastidiosa, perché davvero posticcia. Ma quel che non avevamo ancora capito è un’ovvietà, e cioè che siamo ancora dentro a un film. Vale a dire che siamo sempre dentro a un set e non ci sono differenze tra i momenti in cui Mimosa vede un film neorealista, o quelli in cui interpreta una commedia anni Cinquanta, o quelli ancora in cui fa la comparsa di un peplum: non c’è insomma soluzione di continuità tra i film nel film e il film stesso, tutto è tessuto per l’appunto insieme come se fosse un unicuum, un’allucinazione a sogni aperti, come se fosse in maniera letterale quel che si usa dire: vivere dentro a un film. Tutto ciò comincia a diventare chiaro proprio nel momento in cui Mimosa si ritrova a fare la comparsa di un peplum a Cinecittà: prima che venga data l’azione, è tutta timorosa e timida, ma quando parte la scena si immerge completamente nel mondo di finzione, tanto che piange e tanto che soprattutto monta già mentalmente il film, vale a dire che vediamo questa scena di peplum come se fosse già passata per la moviola, senza gli spezzettamenti di piani che sono normalmente richiesti per poi ricostruire delle scene molto complesse con tante comparse. Per lei che è una spettatrice attenta, come abbiamo intuito dal commento che fa dopo la proiezione del film neorealista, il cinema si fa da sé, si srotola continuamente davanti ai suoi occhi. E così succederà fino alla fine del suo “film nel film”, che è per l’appunto Finalmente l’alba.

E in questo caso il limite di Costanzo può forse essere proprio questo, e cioè il fatto che l’intelligenza e quasi l’astuzia dell’autore finiscono per sovrastare il film stesso. Se questo non avviene, o se avviene solo parzialmente, è perché Costanzo dimostra da un certo punto in poi – e diremmo proprio a partire dalla scena del peplum – di volersi innanzitutto divertire, di volersi divertire nel passare da un genere all’altro: infatti, dopo il neorealismo, la commedia popolaresca, il peplum e la Hollywood sul Tevere, c’è almeno un momento da horror pseudo-erotico, un altro che allude al Fellini di Toby Dammit, senza contare le allusioni a Bellissima e il coté a La dolce vita di tutta l’ultima parte del film. E tutto questo viene tenuto insieme proprio dalla nostra Mimosa, dal suo essere ora spettatrice ora interprete nel corso di una lunga notte cinematografica, passando da un genere all’altro, da un film all’altro, sospesa tra la fiaba e l’incubo. Ed è d’altronde lo stesso percorso che facciamo noi spettatori, oltre a quello che fa Costanzo che è come se ritessesse nel corso di una sola notte quindici anni di storia del cinema italiano (dal ’45 al ’60, e anche un po’ oltre) e quindici anni di storia italiana, al cui centro nevralgico mette persino Pavese, morto suicida nel ’50, di cui si cita la poesia Passerò per Piazza di Spagna in un momento fondamentale del film. Ma non possiamo dire di più.

Info
Il trailer di Finalmente l’alba.

  • finalmente-lalba-2023-saverio-costanzo-01.jpg
  • finalmente-lalba-2023-saverio-costanzo-02.jpg

Articoli correlati

Array