El Paraíso

El Paraíso

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Melodramma familiare e racconto di formazione, cosparso di venature thriller e con una soggiacente tensione erotica, El Paraíso di Enrico Maria Artale mette in scena il legame totalizzante tra una madre e il figlio quasi quarantenne distillando con cura le informazioni sui personaggi, i loro sentimenti, le loro intenzioni. In Orizzonti a Venezia 80.

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Julio Cesar ha quasi quarant’anni e vive ancora con sua madre, una donna colombiana dalla personalità trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibro precario rischia di andare in crisi con l’arrivo di Ines, giovane colombiana reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina.. [sinossi]

Ha un ritmo incalzante il graduale disvelarsi dei personaggi di El Paraíso, e non è soltanto perché la musica e la danza caraibica hanno un ruolo preponderante in questo terzo film, il secondo di finzione, di Enrico Maria Artale (Saro, Il terzo tempo), presentato in Orizzonti a Venezia 80. Melodramma familiare e racconto di formazione, cosparso di venature thriller e con una soggiacente tensione erotica, El Paraíso mette in scena il legame totalizzante tra una madre (Margarita Rosa De Francisco) e il figlio quasi quarantenne (Edoardo Pesce) distillando con cura le informazioni sui personaggi, i loro sentimenti, le loro intenzioni.  Il ménage dei due protagonisti sembra andare avanti da sempre e destinato a non finire mai. Sullo sfondo di una Fiumicino invernale, madre e figlio vivono insieme nella loro casetta vicino al molo, lavorano insieme per uno spacciatore (Gabriel Montesi) ricevendo e tagliando la droga da distribuire sul mercato. Ma soprattutto, i due condividono la passione per la salsa, che si recano a praticare ogni weekend. La donna ha origini colombiane e proprio dalla Colombia, un giorno, arriva Ines, giovane e bella “mula” contenente ovuli di droga, ma anche portatrice “sana” dei primi dissidi tra madre e figlio. Per loro, tutto è destinato a cambiare.

C’è infatti qualcosa di ineluttabile alla base della vicenda narrata da El Paraíso, e ciò riguarda principalmente il necessario distacco tra madre e figlio e il conseguente percorso di crescita a cui quest’ultimo deve adempiere. Eppure, Julio Cesar (questo l’altisonante, ma appropriato nome del personaggio incarnato da Edoardo Pesce) non è un “bamboccione”, tutt’altro, il comportamento esuberante e disinibito della madre, insieme alla sua abitudine di testare personalmente la droga che transita nella loro casa, lo rendono un professionista dell’accudimento. Cosa che dimostrerà ampiamente anche nei confronti di Ines, della quale Julio, inevitabilmente, si invaghisce. Prende il via dunque, nella magione di Fiumicino, un teso triangolo amoroso, nel quale la madre svolge un ruolo castrante quanto basta, ma mai con programmatico manicheismo.

Schiva infatti ogni schematismo El Paraíso, e lo fa con una scrittura abile e una estrema, accorata fiducia nei propri interpreti. Da un lato abbiamo infatti che alcune verità sui protagonisti emergono gradualmente, nel corso del tempo e delle loro azioni, mentre d’altro canto, i dialoghi risultano vivi e mai banali, frutto probabilmente anche di una certa improvvisazione sul set. Set che deve essere stato un vero e proprio palcoscenico perpetuo, dove Artale ha orchestrato con discrezione e consapevolezza drammaturgica, sia gli attori che le location. Si pensi all’utilizzo del mare e della barca di famiglia, così come, ancor di più, a quello della scala che divide lo spazio al pianterreno, habitat della madre, da quello della stanza del figlio sita al piano superiore, in questi luoghi, il mare e la scala di transito, si percepisce sempre un fuori campo foriero di tensioni (anche erotiche) e di libertà. Un fuoricampo che allude a un altrove, anche ancestrale, originario, di certo legato a quel senso del possesso, della riappropriazione, che trova nuova una forma e un nuovo senso nella parte finale del film.

Ma che sia al piano di sopra, in mare o in un’altra nazione, il nostro Giulio Cesare recita e declina sempre il proprio desiderio di appartenenza, alla madre, certo, ma anche a ciò che essa rappresenta: un’incarnazione della patria, delle origini, un desiderio di ribellione alle convenzioni e ai ruoli, un passato misterioso e oscuro, come il mare.

Info
La scheda di El Paraíso sul sito della Biennale.

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