The Creator

The Creator

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Blockbuster a basso budget, solo un’ottantina di milioni, The Creator è più significativo sul piano produttivo e visivo che complessivamente convincente. Se il talento di Gareth Edwards, già ampiamente messo in mostra con Monsters, Godzilla e soprattutto Rogue One: A Star Wars Story, non è in discussione, l’impressione è che la rivoluzione produttiva abbia pesato troppo sul piano narrativo, inducendo a una prudenza eccessiva in vista della scalata al box office.

Il costruttore di mondi

In una guerra futura tra la razza umana e le forze dell’intelligenza artificiale, Joshua, un ex agente delle forze speciali in lutto per la scomparsa della moglie, viene reclutato per dare la caccia e uccidere il Creatore, l’inafferrabile architetto dell’avanzata IA che ha sviluppato una misteriosa arma con il potere di porre fine alla guerra e all’umanità stessa. Joshua e la sua squadra di agenti d’élite oltrepassano le linee nemiche nel cuore oscuro del territorio occupato dall’IA solo per scoprire che l’arma apocalittica, che è stato incaricato di distruggere, è un’IA con le sembianze di una bambina… [sinossi]
Non si direbbe,
ma ci sono molti vantaggi nel fare un film senza soldi.
– Gareth Edwards

Abbiamo già visto fin troppe volte The Creator. Volendo generalizzare, siamo dalle parti del primo Avatar, con quella comprensibile necessità di accontentare l’intera platea internazionale per sbancare il box office con quasi assoluta certezza. Nel film di Cameron, però, l’epica decollava al momento giusto e il senso di déjà-vu non era così ingombrante – o era comunque mitigato dalle mirabilie visive. Quel che resta dopo la visione della nuova prodezza di Gareth Edwards è invece la stessa sensazione che ci accompagna nel corso di questa avventura sci-fi: allo splendore dei paesaggi naturali e reali, potenziati da un lavoro mai invasivo di post-produzione, non corrisponde una struttura narrativa adeguata, minata nella seconda parte da snodi fin troppo repentini e disinvolti.

Edwards pesca a piene mani dal proprio immaginario spettatoriale, abbastanza standardizzato, citando e rielaborando i vari Apocalypse Now, Blade Runner, Akira, E.T., persino Paper Moon e Baraka, contrapponendo Occidente e Oriente in una sorta di guerra del Vietnam futuribile, intrisa di robotica e intelligenza artificiale – «Il tempismo di questo film è surreale», ammette lo stesso regista, bravo e fortunato nel cogliere un momento alquanto fertile della discussione sull’IA. Ed è tutto interessante, anche coinvolgente (il legame genitoriale funziona sempre, ma quante volte l’abbiamo visto?), ma la sceneggiatura di Edwards e Chris Weitz non riesce mai a fare un passo in avanti, o forse indietro: quel che manca alla futuribilità di The Creator è la complessità della fantascienza socio-politica degli anni Settanta o quantomeno la stratificazione filosofica di Blade Runner 2049, tutto è giocato sul piano estetico e sentimentale. E non bastano, seppur ampiamente condivisibili, la rappresentazione critica degli Stati Uniti, la messa in scena del degrado umano e politico dell’Occidente e la declinazione non catastrofica dell’intelligenza artificiale.

Rafforzato da un cast convincente, in primis il protagonista John David Washington (Joshua Taylor) e l’amabilissima bimbetta Madeleine Yuna Voyles (Alfie), The Creator ha in un suo attore una sorta di cartina tornasole dell’intera operazione: Ken Watanabe, nei panni del saggio e coraggioso Harun, è un po’ l’incarnazione della scelta facile, scontata, portatrice (in)sana di una prevedibilità e perfezione alla lunga disturbante. Il volto di Watanabe, un po’ come gli splendidi paesaggi culturali fantascientifici (ecco uno degli aspetti più interessanti del film, ovvero ipotizzare il possibile impatto delle future tecnologie umane e robotiche sulle varie location), è indubbiamente perfetto, fin troppo, privo di quelle increspature e ombre che avrebbero complicato in maniera fertile questa sci-fi fin troppo levigata.

In fin dei conti, il problema è questa sorta di corrispondenza tra la patina delle immagini e la patina dello script, con la differenza che il lavoro di Light & Magic, Wētā e molte altre compagnie di effetti speciali prosegue il discorso grafico di Monsters, Godzilla e Rogue One, esteticamente suggestivo e molto funzionale. Il rovesciamento produttivo proposto da Edwards, che parte da location reali (salvo qualche sequenza girata con StageCraft), è infatti l’uovo di Colombo che potrebbe abbattere i costi della futura fantascienza, rilanciando un genere che da troppi anni è schiacciato dalla proliferazione dei supereroi. In questo senso, è il rovesciamento del summenzionato Avatar. A questo punto, se un futuro ci sarà, ci auguriamo che sia privo di lacci e lacciuoli sul piano narrativo. Meno Paper Moon e più The Second Renaissance. Minor budget e maggior sfrontata ambizione.

Info
Il trailer di The Creator.

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