L’ultima vendetta

L’ultima vendetta

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A due anni di distanza da Un uomo sopra la legge Liam Neeson torna a lavorare con Robert Lorenz (già solido collaboratore in fase di scrittura per Clint Eastwood), che ne L’ultima vendetta cuce addosso all’attore il “solito” ruolo di uomo a proprio agio nell’arte della vendetta, pur se in una versione smaccatamente autoriale. Ne viene fuori un lavoro non privo di fascino ma confuso, e che forza la mano nel voler inserire la narrazione in un contesto storico peculiare come quello dei “Troubles”.

La vendetta è un piatto che va servito da Neeson

Un assassino in pensione viene coinvolto in un gioco crudele messo in piedi da un trio di terroristi assetati di vendetta. [sinossi]

Sarebbe interessante, negli anni a venire, codificare come sottogenere a sé stante il “Neeson-revenge”, vale a dire i film in cui l’ultrasettantenne attore nordirlandese veste i panni dell’uomo che sceglie di farsi giustizia da solo, senza ricorrere, per motivi più o meno validi e condivisibili, al supporto delle forze dell’ordine e delle istituzioni. Proprio lui, che in uno dei suoi primi ruoli davvero significativi – in Suspect – Presunto colpevole di Peter Yates – riusciva a evitare il carcere come omicida solo grazie all’aiuto di una avvocata dedita con scrupolo al proprio compito (Cher) ma che già pochi anni dopo in Darkman di Sam Raimi amava farsi giustizia da sé, si è ritrovato nel corso del tempo a proprio agio nel risolvere i grovigli con sbrigativa ma senza dubbio efficace violenza, come testimoniano i vari Caccia spietata di David Von Ancken, la trilogia Taken ideata e prodotta da Luc Besson, La preda perfetta di Scott Frank, L’uomo sul treno di Jaume Collet-Serra, Un uomo tranquillo di Hans Petter Moland, Retribution diNimród Antal. Vero e proprio paladino contemporaneo, Neeson si segnala forse come unico credibile epigono di Clint Eastwood, nonostante la qualità a dir poco altalenante dei film cui si ritrova a prendere parte. Non è dunque un caso che sia la star prediletta da Robert Lorenz, che di Eastwood è stato fedele sodale in fase di produzione per circa un decennio (da Mystic River ad American Sniper, passando tra gli altri per il dittico Flags of Our Fathers/Lettere da Iwo Jima, Changeling, Invictus, e J. Edgar) e ha anche diretto nel suo esordio da regista Di nuovo in gioco; dopo Un uomo sopra la legge ecco dunque arrivare L’ultima vendetta, titolo stantio che possiede una briciola del fascino dell’originale In the Land of Saints and Sinners. Già visto nel settembre 2023 nel fuori concorso veneziano, L’ultima vendetta ha come evidente tentativo quello di sussumere in un film il percorso attoriale di Neeson, allo stesso tempo però rivendicandone una peculiarità autoriale che altrove non è stata presa in considerazione.

Ecco dunque che il film, scritto a quattro mani da Mark Michael McNally e Terry Loane, si svolge in un frangente storico tutt’altro che secondario come i cosiddetti “Troubles”, l’apice degli scontri tra i cattolici nazionalisti repubblicani irlandesi e i protestanti dell’Ulster, a loro volta invece unionisti e lealisti; inserire L’ultima vendetta nel pieno del conflitto nordirlandese significa evidentemente scartare dalle abitudinarie storie di revanscismo con protagonista Neeson, tentando di inserire la sua figura divenuta rappresentativa di un genere in un panorama più ampio, e dove il concetto di “vendetta” può assumere un valore di altro tipo. Una scelta per niente banale, ma che a conti fatti si dimostra l’elemento più debole dell’intero impianto narrativo su cui si trova a lavorare il regista nativo di Chicago. Al di là del mero apparentamento dei villain della vicenda con il Provisional Irish Republican Army (gli scissionisti dell’IRA capitanati da Gerry Adams e Martin McGuinness), il personaggio di Doireann McCann – interpretata da Kerry Condon – non possiede alcuna reale stratificazione, come anche i suoi compagni di lotta, e le sue velleità ideali e politiche sono a dir poco superficiali, tanto che non basta qualche dialogo fugace per andare oltre un livello davvero basico della questione. Fatta la tara a questo, e constatato come per il resto ci si muova in territori canonici, tra giovani troppo irruenti, passati da dimenticare e via discorrendo, ci si trova a dover ammettere che una volta in più quel che resta a L’ultima vendetta è solo lo sguardo severo e addolorato di Neeson, la sua presenza fisica, il timore che riesce a incutere a un solo gesto improvviso del suo corpo. E quindi il carico di aspettative dettate dalle ambizioni di Lorenz si riduce a un onesto thriller, diretto con lo sguardo “giusto”, e che procede dritto verso il bersaglio senza eccessive esitazioni. Un prodotto di medio cabotaggio, non poi così distante da molti lavori rintracciabili su piattaforme, là dove – eccezion fatta per l’Italia e altri pochi Stati – anche In the Land of Saints and Sinners è stato relegato. Con qualche giustificazione, verrebbe da dire.

Info
Il trailer di L’ultima vendetta.

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