Youth (Homecoming)

Youth (Homecoming)

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Terza e ultima parte del progetto Youth di Wang Bing, dal titolo Youth (Homecoming), in concorso a Venezia 81. Si chiude un affresco che tocca i giovani cinesi con le loro aspettative di vita e i loro problemi di lavoro. Wang Bing in questa nuova opera fluviale abbraccia temi sociali ed esistenziali, la primavera della vita e le dinamiche del capitalismo.

L’uomo con la macchina da cucire

Con l’avvicinarsi delle vacanze di Capodanno i laboratori tessili di Zhili sono quasi deserti. I pochi dipendenti rimasti sono in disperata attesa dello stipendio per pagarsi il viaggio di ritorno a casa. Dalle rive del fiume Yangtze alle montagne dello Yunnan, tutti festeggeranno nelle proprie città natali e celebreranno i rituali di prosperità con la famiglia. Per Shi Wei questa è anche l’opportunità di sposarsi, come per Fang Lingping. Il marito, ex tecnico informatico, dovrà seguirla a Zhili dopo la cerimonia. Ma alla fine si ritornerà al lavoro. [sinossi]

Dopo Youth (Spring), presentato a Cannes 2023, e Youth (Hard Times), a Locarno, arriva alla Mostra del Cinema 2024 Youth (Homecomg)Qingchun: Gui è il titolo originale – il terzo e ultimo capito di Wang Bing sui giovani lavoratori del settore tessile di Zhili. Si completa il disegno, il progetto nella sua grande ambizione che parte dal raccontare le storie dei giovani lavoratori del settore tessile di Zhili, un distretto di Huzhou, città-prefettura nel Nord della provincia di Zhejiang. In quel centro di produzione si concentrano circa 18 000 laboratori dove si realizzano abiti per bambini, per il mercato domestico ma anche internazionale. Sono impiegati circa 300 000 lavoratori fuori sede che provengono dalle zone rurali di tutta la Cina. Wang Bing li ha filmati dal 2014 al 2019. Attraverso questa lunga osservazione il filmmaker restituisce un grande affresco della Cina contemporanea, attraversandola nel tempo come nello spazio. Anche negli altri due capitoli avevamo i momenti, nella parte finale, del ritorno a casa dei lavoratori, nelle loro zone di origine, nella loro Heimat famigliare, ora sostituita da quella dei dormitori di Zhili. In Youth (Homecoming), come già previsto dal titolo, il ritorno a casa occupa tutta la prima parte del film. Wang Bing segue i giovani lavoratori per le festività del Capodanno cinese. Il film è ritmato da petardi, botti, razzi fatti esplodere tra campi e risaie, nelle zone rurali di tutta la Cina dove si fanno le tipiche processioni tradizionali. C’è modo anche di contemplare gli affetti e gli amori, le famiglie, i bambini e i nonni.

Si torna al lavoro, come sempre quando sono finite le vacanze, si torna a quei dormitori affollati nei palazzoni con i ballatoi, tra detriti e sporcizia sparsa ovunque. Si torna a quei tavoli da lavoro con cucitrice, a sfornare abiti in gran quantità, dove chi è più veloce e produce di più è premiato a discapito di chi è più lento. Si torna a quelle dinamiche famigliari/amicali all’interno di quella gestione di quelle piccole imprese. Il fratello chiama la sorella a lavorare nello stesso laboratorio, una volta trovato quello che paga di più, nell’ambito comunque di stipendi molto bassi. In quel contesto lavorativo nasce il mito del “dotto’”, come nell’Italia degli anni Cinquanta. Il mito dell’istruzione, che pochi si possono in realtà permettere, per sfuggire a quel logorante mondo di fatica. Il sogno per le ragazze è quello di sposare un uomo acculturato. Il momento dello sviluppo del tessile è inquadrato in una più ampia storia del capitalismo cinese. Il padre di Chen ricorda l’epoca del boom edilizio, delle ruspe e dei cantieri e del fiorire del mercato immobiliare. E ricorda anche il fallimento di quell’esperienza, il fatto che si costruirono troppi palazzi, ben oltre la reale esigenza abitativa, con il risultato che buona parte rimasero vuoti. Dovrebbe essere una lezione per il capitalismo più vorace e sregolato che finisce per implodere. Una lezione che non sembra essere stata assimilata. Si parla anche degli abitanti della provincia dello Sichuan che difficilmente si spostano con le famiglie spesso numerose e quindi illegali perché formatesi violando la legge del figlio unico. Un altro momento cruciale della storia cinese recente. E in una casa campeggia un grande ritratto di Mao, figura ancora popolarissima nonostante il paese abbia imbracciato tutta un’altra piega.

Si torna a Zhili, nel 2016. Qui Wang Bing fotografa un mondo di lavoratori giovanissimi, sedicenni. Non sono degli operai ligi, qualcuno sbaglia la cucitura, prevalgono gli atteggiamenti ludici, gli scherzi anche pesanti e sessisti dei ragazzi sulle ragazze, sia nei dormitori sia nel luogo di lavoro. Predomina un atteggiamento disincantato, tipico di quell’età. Ma, con uno stacco di montaggio, Wang Bing mostra come velocemente le cose possano evolversi. Saltando a due anni dopo, al 2018 con un paesaggio innevato, i ragazzi sono maturati e li vediamo subito conteggiare con la calcolatrice i capi prodotti in quella giornata. L’atteggiamento al lavoro, e alla vita, è molto cambiato, l’imperativo della produttività è stato ben assimilato anche dai lavoratori. I segni del collasso non si vedono ancora, li abbiamo già percepiti nei primi due capitoli, con le formazioni spontanee di movimenti sindacali, con l’insorgere naturale delle proteste. Nei tre capitoli di Youth, Wang Bing non segue un andamento cronologico lineare, ma un criterio di ciclicità. Nel finale torniamo in campagna, in un contesto famigliare. Alla base di una lapide viene messo del cibo secondo quella tradizione orientale di portare da mangiare ai defunti, agli antenati. Tutto attorno i ragazzi continuano a far esplodere petardi per i festeggiamenti. È l’immagine che suggella un film dal respiro ampio, che contempla la vita e la storia, la tradizione e la modernità.

Info
Youth (Homecoming) sul sito della Biennale.

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