L’Incroyable femme des neiges

L’Incroyable femme des neiges

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Sébastien Betbeder torna per la terza volta a girare in Groenlandia con L’Incroyable femme des neiges, racconto di come trovare un bilanciamento tra l’umano e l’elemento naturale possa rappresentare il punto di svolta di un’intera esistenza. Un lavoro prezioso che conferma il talento del cineasta francese. Nella sezione Panorama alla Berlinale 2025.

Tra polare e bipolare

Intraprendere una spedizione artica, dormire su una lastra di ghiaccio, lottare con un orso: un giorno come un altro nella vita della ricercatrice ed esperta polare Coline Morel. Un giorno la donna si presenta senza preavviso nel suo villaggio natale sui monti del Giura per far visita ai suoi fratelli Basile e Lolo, che non vede da anni. Lì, incontra inaspettatamente il suo primo amore, Christophe, e scopre di essere stata licenziata e lasciata dal suo fidanzato. Confusa e incapace di rivelare il vero motivo del suo ritorno, Coline perde il controllo e, in una notte di eccessi sfrenati, finisce per causare il caos più totale nel villaggio. I giorni passano e l’ex avventuriera si ritira lentamente nel silenzio più assoluto. Poi, dopo un’escursione con i suoi fratelli, Coline scompare senza lasciare traccia, portando con sé il suo segreto nelle distese innevate della Groenlandia. Come dice il proverbio Inuit: se hai paura, cambia strada. Alla fine, questo viaggio si rivelerà il più importante della sua vita. [sinossi]

Se si esclude la folle pretesa di Donald Trump, che ha ben pensato di rivendicare il diritto di occuparla, la Groenlandia è un luogo fuori dalle mappe della Storia, e del racconto socio-politico collettivo. Immenso spazio bianco appena sotto l’Artide, dodicesimo luogo del mondo per vastità del territorio – ma politicamente fa parte del Regno di Danimarca, esattamente come le più piccole ma altrettanto fredde isole Fær Øer – ma anche regione meno popolosa in assoluto con 0,03 abitanti per chilometro quadrato, la Groenlandia non ha una grande relazione con il mondo del cinema, che l’ha largamente snobbata nel corso del tempo, se si escludono episodi sporadici quali Qivitoq del danese Erik Balling (1956), o Il senso di Smilla per la neve che Bille August nel 1997 trasse dalle pagine di Peter Høeg. Partendo da questi presupposti ancor più sorprendente appare dunque il rapporto che nel corso del tempo si è venuto a creare tra Kalaallit Nunaat – questo il nome groenlandese, traducibile come “terra dei Kalaallit” – e Sébastien Betbeder, tra i più irregolari e inafferrabili cineasti francesi contemporanei. Nel 2014 fu la volta del cortometraggio Inupiluk, con i groenlandesi Olee e Adam in visita a Parigi a casa di Thomas, il cui padre vive nell’isola; la storia accennata nel corto venne poi ripresa nel 2016 e sviluppata in Le Voyage au Groenland, presentato in ACID al Festival di Cannes. A quasi dieci anni di distanza arriva ora L’Incroyable femme des neiges, che viene presentato all’interno della sezione Panorama alla settantacinquesima Berlinale e ha per protagonista una splendida Blanche Gardin nei panni di Coline Morel, ricercatrice ed esploratrice polare: fin dall’inizio Betbeder la mostra in quello che è il suo spazio d’elezione, il territorio artico, impegnata a scrutare l’orizzonte con un binocolo nella speranza di imbattersi in qualcosa, o qualcuno. Eppure lei, che è cresciuta con il mito di Robert Falcon Scott (colui che “perse” la sfida con Roald Amundsen sul raggiungimento dell’Antartide, per poi perire nella marcia di rientro al campo base), è costretta a tornare in Francia, nel paesello natio sul massiccio del Giura in cui ancora vivono i suoi due fratelli, Basile e Lolo – rispettivamente Philippe Katerine e Bastien Bouillon – e dal quale manca da molti anni.

È da questo spaesamento, con Coline costretta a ritornare nel mondo “civilizzato”, per quanto molto distante dall’epicentro della vita transalpina, che prende l’abbrivio L’Incroyable femme des neiges, con il quale Betbeder torna a ragionare su alcuni elementi che da quasi vent’anni attraversano il suo approccio alla regia. Su tutti ovviamente l’elemento naturale, che connatura e modifica l’essere umano, lo smussa, lo costringe a confrontarsi con sé stesso, con le proprie problematiche, con ciò che alberga al suo interno; ma non solo, torna la commedia survoltata eppur gentile, l’escalation che arriva a sfociare nel puro caos – la spassosa sequenza che vede la protagonista scompaginare i piani serali di Christophe, l’uomo con cui ebbe una relazione ai tempi del liceo e che ora è sposato con la più acerrima nemica di Coline durante l’adolescenza, ne è l’esempio più eclatante e riuscito –, e una narrazione in grado di restare mirabilmente in bilico tra il surreale e l’attenzione per niente superficiale all’intimità dei personaggi, e al loro sviluppo. Coline è una donna indipendente, che non ha più alcuna connessione con un mondo urbano e occidentale: è oramai una donna inuit, o a tale raggiungimento mira. Anche per questo in fin dei conti l’essere stata licenziata in tronco per comportamento inappropriato ed essere stata lasciata dall’uomo con cui ha trascorso gli ultimi diciotto anni non sono l’elemento determinante, la reale svolta narrativa, ma permettono semmai di contestualizzare meglio questo personaggio inafferrabile come il panorama rarefatto e ghiacciato della Groenlandia. Coline vorrebbe vedere finalmente il qivittoq, l’uomo-fantasma che vive acquattato nelle impervie montagne di Watkins, ma forse non si rende conto di essere lei stessa quell’essere misterioso: lei come suo padre, che si ritirò in una baita sperduta per non avere più contatti col mondo. Dopotutto è Coline ha spiegare al fratello come “l’invisibile fa parte del paesaggio”, frase che forse contiene il senso più profondo de L’Incroyable femme des neiges e più in generale dell’intera filmografia betbederiana, sempre alla ricerca del fantasma dietro l’inquadratura, dell’ectoplasma che si sviluppa naturalmente nell’aria. Un cinema che racconta la vita in modo anche grottesco ma non ha timore di affrontare la morte, intesa come superamento della vita: era così in Nuage, e poi ancora in La vie lointaine, Les Nuits avec Théodore, e via discorrendo fino a questo nuovo lungometraggio, che a suo modo racconta anche la fine della Groenlandia – i riferimenti al cambiamento climatico, e perfino a Greta Thunberg, sono presenti in più occasioni –, e forse dell’intero mondo così come lo si è sempre conosciuto. Coline è l’ultima eroina – in ordine temporale – di una filmografia che crede ancora disperatamente nell’umano, nella potenza degli affetti, e nella necessità di aprire gli occhi sul mondo e di affrontarlo, anche col rischio di congelarsi. Sarebbe ora che il mondo cinefilo si rendesse conto di un autore come Sébastien Betbeder, prezioso sguardo altro, mai allineato o conforme alla prassi, che sa ancora aprire squarci nell’immaginario.

Info
L’Incroyable femme des neiges sul sito della Berlinale.

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