The Sound and the Fury

The Sound and the Fury

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James Franco conferma con The Sound and the Fury la ricerca di un cinema “letterario”, portando in scena William Faulkner per la seconda volta dopo As I Lay Dying. Fuori Concorso a Venezia 2014.

La caduta della casa Compson

Siamo nel Mississippi, alle soglie della Depressione dei primi del ‘900. La storia, torbida e labirintica racconta la decadenza e la sventura dei Compson, aristocratici del Sud caduti in disgrazia. Le vicende della famiglia vengono raccontate da differenti prospettive. I coniugi Compson hanno quattro figli: Quentin, Candance, Jason e Benjamin. La giovane Caddy, unica sorella femmina, viene narrata dai suoi tre diversissimi fratelli e diventa presenza candida e rassicurante, sorella ingenerosa, madre snaturata che abbandona la figlia. [sinossi]

Alzino la mano quanti, all’epoca della sua apparizione nella trilogia che Sam Raimi dedicò a Spider-Man, immaginarono che James Franco sarebbe diventato una delle personalità più sfuggenti, labirintiche e coraggiose di Hollywood. Dai tempi del sottostimato teen-serial Freaks and Geeks, partorito dalla fervida immaginazione di Judd Apatow, Franco ha dimostrato di possedere un carattere indipendente, nel senso più puro e profondo del termine, lontano dalle categorie commerciali dell’indie-movie a stelle e strisce, sempre più braccio estendibile delle major.
The Company di Robert Altman, Nella valle di Elah di Paul Haggis, ma anche Milk di Gus Van Sant, Pineapple Express di David Gordon Green, 127 ore di Danny Boyle ma anche Il grande e potente Oz di Sam Raimi, L’alba del pianeta delle scimmie di Rupert Wyatt ma anche This is the End di Evan Goldberg e Seth Rogen e Spring Breakers di Harmony Korine: la carriera di Franco segue vie solo in apparente contraddizione tra loro, dimostrando una versatilità che ben pochi attori sono attualmente in grado di sfoderare.
Questa sensazione di unicità rispetto allo standard si rinnova in maniera ancor più deflagrante quando vengono passate in rassegna le incursioni dietro la macchina da presa del trentaseienne attore di Palo Alto, California. A spaventare, una volta di più, è la straordinaria prolificità di Franco che dal 2005, quando pose la firma in calce a Fool’s Gold, ha diretto nove lungometraggi di finzione, sette cortometraggi e due documentari: un tour de force che andrebbe valutato con estrema attenzione, perché delinea in maniera netta la figura di un personaggio alieno a qualsiasi compromesso di comodo, deciso a percorrere strade poco battute, persino anacronistiche nella loro pervicace attestazione di originalità.

Paradigma perfetto di questa indole è la passione letteraria di Franco, che sovente si trova ad adattare per il grande schermo grandi classici del romanzo statunitense: è stato così per il William Faulkner di As I Lay Dying, il Cormac McCarthy di Child of God, e ora il discorso si fa nuovamente valido per Faulkner e per il suo The Sound and the Fury, presentato fuori concorso alla settantunesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
La scelta di adattare The Sound and the Fury, per quanto possa apparire ovvia, visto il ruolo che il romanzo ricopre nella bibliografia di Faulkner (che lo considerava il suo lavoro più compiuto), nasconde invece delle insidie non indifferenti: è proprio nel romanzo pubblicato nel 1929 che raggiungono l’apice le sperimentazioni narrative che renderanno universalmente celebre l’opera di Faulkner, a partire dal complesso intreccio spazio-temporale, fino ad arrivare all’utilizzo mai banale del monologo interiore e al discorso sull’obbiettività e sul punto di vista. Di fronte a un materiale narrativo così stratificato, Franco ha il coraggio di mostrarsi fedele scegliendo la via della parziale infedeltà: trasforma i capitoli del racconto da quattro a tre (eliminando quello dedicato a Dilsey, la “mami” di casa Compson, e concentrando l’attenzione solo sui tre fratelli maschi e le loro relazioni, carichi di non detti, rancori e sensi di colpa, con la sorella minore Caddy), evita di affidarsi al rigoroso datario degli eventi presente nel libro e si lancia in un viaggio nella psiche di un microcosmo destinato a scomparire.
Il Mississippi raccontato in The Sound of Fury è sull’orlo della bancarotta, la casata dei Compson ha perso completamente il proprio splendore e prestigio – anche per permettere a due dei figli di studiare a Harvard –, la disgregazione definitiva è l’unico destino possibile, insieme a quei brandelli di vaga memoria d’infanzia che ogni tanto prendono il sopravvento.

Dolente e disperato laddove As I Lay Dying si era mostrato sardonico e crudele, The Sound of Fury è dominato da una narrazione ondivaga, con la camera di Franco che si attacca al volto dei suoi eccellenti protagonisti (lo stesso regista, Scott Haze, Tim Blake Nelson, Joey King, Ahna O’Reilly, mentre in due camei appaiono gli eterni amici Seth Rogen e Danny McBride) e riesce, senza mai forzare la mano, a raccontare i silenzi, le sinapsi, le infinite ramificazioni dell’animo di una famiglia senza più speranza. Vista la pattuglia statunitense in corsa per il Leone d’Oro al Lido (Iñarritu, Bahrani, Gordon Green, Niccol, lasciando fuori dal conteggio lo splendido Ferrara “italiano”), avrebbe meritato l’inserimento in concorso, magari insieme al Peter Bogdanovich di She’s Funny That Way e al Joe Dante di Burying the Ex.

Info
The Sound and the Fury sul sito della Mostra del Cinema.
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