torneranno i prati

torneranno i prati

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Olmi torna al cinema con un film amaro e ipnotico contro la guerra: torneranno i prati, ovvero il racconto della vanità del tutto e dell’inevitabile svanire di ogni cosa, a partire dall’uomo.

Linea d’ombra

Siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Nel film il racconto si svolge nel tempo di una sola nottata. Gli accadimenti si susseguono sempre imprevedibili: a volte sono lunghe attese dove la paura ti fa contare, attimo dopo attimo, fino al momento che toccherà anche a te. Tanto che la pace della montagna diventa un luogo dove si muore… [sinossi]

In un sistema cinematografico come quello italiano, omologato e senza orizzonti, il nuovo film di Ermanno Olmi, torneranno i prati, appare come un oggetto alieno e alienante, spiazzante e non organico né integrato. Un film che arriva dal passato e che si lascia attraversare da un futuro post-umano e quasi fantascientifico.
Realizzato su commissione, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della Prima Guerra Mondiale, torneranno i prati assume una dimensione universale – come spesso accade per i film anti-bellici – ma soprattutto si eleva verso prospettive metafisiche e astratte, sia per via della messa in scena che della scrittura, come pure per una sua essenza per certi aspetti a-storica.
Difatti sembra banale dirlo, ma già l’essere ritornati a fare un film contro la guerra in un paese come il nostro, in cui ormai il pacifismo viene visto come estremismo radicale e pericoloso (per non parlare poi di quel che succede nel resto del mondo), in cui il centenario della Grande Guerra si festeggia con frecce tricolori e parate militari, in cui la Festa della Repubblica del 2 giugno diventa occasione per fare sfoggio di lustrini e parabellum, realizzare un film come torneranno i prati appare dunque come un gesto eccentrico e, a suo modo, tristemente vano. Così come si è certi che cadranno nel vuoto le parole di Olmi – che, ricoverato in ospedale per sospetta broncopolmonite, non è potuto intervenire alla conferenza di presentazione alla stampa, ma ha registrato un video di commento – il quale ha detto che bisognerebbe chiedere scusa per quei soldati mandati a morire, vittime di un grande malinteso: il patriottismo. Ed è quello stesso patriottismo, o meglio il suo ectoplasma, che viene ‘festeggiato’ per l’appunto in questi giorni in occasioni e incontri ufficiali, con l’obiettivo di riaffermare una qualche presunta gloria patria, vale a dire esattamente l’opposto delle intenzioni di Olmi.

Come vuole la tradizione iconografica dei film e dei racconti ambientati durante la Prima Guerra Mondiale (basti pensare a Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick), torneranno i prati si concentra e si rinchiude nella claustrofobia delle trincee, folle e straniante rifugio dei fronti di battaglia, luogo sintomatico di un vivere quotidiano che si andava via via sganciando dall’esperienza reale per farsi incubo oppressivo e opprimente. Il nemico infatti non viene rappresentato nel film di Olmi e la sua presenza è percepita solo dai colpi di fucile e dalle esplosioni delle bombe; mentre l’unica location scelta è per l’appunto la stretta trincea in cui sono rintanati i nostri soldati, circondati dal nulla e dal bianco rappresentato dalle nevi dell’Altopiano di Asiago. Non è un caso allora che anche l’opzione narrativa su cui è concentrata la prima parte del film, vale a dire il raggiungimento di un avamposto a pochi metri dalla trincea, venga evocata a parole ma mai resa visivamente: l’avamposto resterà un luogo altro e irraggiungibile, un Altrove insensato e probabilmente inesistente.

La narrazione, dunque, inizialmente focalizzata verso un obiettivo preciso, va via via sciogliendosi in orizzonti indefiniti, in digressioni stordenti e abbacinanti (come ad esempio il bombardamento messo in atto dal nemico o gli ‘a solo’ di qualche soldato), fino a scompaginarsi definitivamente nell’ultima parte del film in cui tutto procede e si accumula quasi come sotto ipnosi, dove la follia della guerra si tramuta in vera e propria allucinazione collettiva che avviluppa i protagonisti e, insieme, lo spettatore.
La coerenza del discorso di Olmi si ripercuote d’altronde anche sul piano visivo: girato in 35mm torneranno i prati è stato poi trasferito in digitale ed, evidentemente, desaturato in fase di post-produzione. Ne deriva un’immagine quasi piatta, di superficie, volutamente senza profondità, dove il discorso sui soldati destinati a sparire e a ‘sciogliersi’ nella neve, nell’indifferenza della Natura (laddove per l’appunto al posto delle trincee torneranno i prati), viene visualizzato attraverso una fantasmatica patina digitale.

Consapevole della vanità del tutto, a partire dalla memoria stessa degli orrori della guerra, come pure del ricordo della vita di quei soldati ‘evaporati’ (e di cui forse rimane solo l’eco tra i monti di una canzone napoletana, momento che viene visualizzato da Olmi nel corso del film), torneranno i prati sembra perfino voler sottolineare consciamente anche la vanità del suo stesso esistere, almeno nella parte finale quando uno dei protagonisti chiosa così quanto abbiamo visto fino a quel momento: “Torneranno i prati e sembrerà che nulla sia accaduto…”

Info
Il trailer di torneranno i prati.
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