Storia dell’ultimo crisantemo

Storia dell’ultimo crisantemo

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Tra i molti capolavori di Kenji Mizoguchi perduti negli abissi della memoria Storia dell’ultimo crisantemo (Zangiku monogatari, 1939) è uno di quelli in cui si avverte con maggior forza il discorso teorico sulla messa in scena e sul piano sequenza. Recuperato in una copia digitale a Cannes Classics 2015.

L’attore

Giappone, 1885. Kikunosuke Onoe è il figlio adottivo di un famoso attore di Kabuki, e si sta preparando a succedere al padre sulle scene. Otoku, la giovane balia della famiglia Onoe, è l’unica abbastanza onesta da rivelare a Kikunosuke i suoi difetti artistici, esortandolo a migliorare la propria recitazione. Quando Otoku è respinta dalla famiglia Onoe per il suo rapporto con il giovane maestro, Kikunosuke si indigna al punto da lasciare Tokyo per tentare la fortuna altrove. Ma la strada del successo è impervia e irta di ostacoli di ogni sorta… [sinossi]

Ci sono molti modi per cercare di comprendere fino in fondo lo stile di un regista. Si possono rintracciare temi ricorrenti, studiare in maniera certosina l’utilizzo della luce, o del fuori campo. Non è bizzarro né inusuale imbattersi in poetiche espressive incoerenti, sbilanciate, di volta in volta squadernate o sempre pronte a essere ribaltate completamente. Anche per questo motivo riscoprire nella sua interezza – o perlomeno attraverso i film che non sono andati perduti – l’opera di un regista come Kenji Mizoguchi permette di aprire squarci inauditi nella mente e negli occhi degli spettatori. Se si fosse costretti al gioco infame di citare un autore (e uno solo!) in grado di mantenere una solidità espressiva incrollabile di decennio in decennio, di film in film, attraversando le evoluzioni storiche e politiche del proprio paese, sarebbe difficile questionare sulla scelta di Mizoguchi.
Da molti cinefili conosciuto soprattutto per i film diretti negli ultimi anni di vita – la sua morte, avvenuta nel 1956 ad appena cinquantotto anni, privò il Giappone di una delle voci fondamentali della Settima Arte –, come Vita di O-Haru, donna galante, I racconti della luna pallida d’agosto, Gli amanti crocifissi e L’intendente Sansho, Mizoguchi ha rappresentato un punto di riferimento per oltre trent’anni all’interno dell’industria cinematografica nipponica, dall’esordio Ai ni yomigaeru hi (letteralmente “Il giorno in cui torna l’amore”, 1923) fino a La strada della vergogna, presentato in concorso alla ventunesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nell’agosto del 1956, appena pochi giorni dopo la morte del regista.

La presenza, all’interno del ricco palinsesto di Cannes Classics, la sezione retrospettiva della kermesse francese dedicata negli ultimi anni alla presentazione dei restauri in digitale, di Zangiku monogatari, noto in Italia con il titolo Storia dell’ultimo crisantemo, permette dunque alla popolazione cinefila di imbattersi in un’opera chiave per comprendere il percorso autoriale del cineasta giapponese. È d’uopo, innanzitutto, sottolineare l’anno di produzione del film. Il 1939, per il Giappone, non è un anno qualsiasi: lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con l’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste, vede l’esercito imperiale schierato fianco a fianco con Adolf Hitler e Benito Mussolini. La dittatura militare che da anni governa di fatto il Giappone, pur sotto l’egida dell’imperatore Hirohito, vede nell’espansione del Sol Levante l’atto necessario per testimoniare la superiorità della “razza” giapponese rispetto al resto dell’Asia.
La spinta propagandistica porta alcuni registi a essere inviati nella Manciuria occupata per immortalare sullo schermo la magnificenza della terra di Yamato: uno di questi è proprio Kenji Mizoguchi, al quale le mostrine, i gradi militari e gli affari bellici interessano ben poco.
Al centro della sua poetica per immagini c’è sempre stato, fin dai primi film, l’essere umano, destinato a combattere una guerra quotidiana e impari contro le ferree regole della società. È attraverso questo scandaglio umano che il regista ha scalato le posizioni di vertice all’interno della Toho, uno dei giganti produttivi con base a Tokyo. Sempre nel 1939, con una mossa che in patria colse di sorpresa anche gli addetti ai lavori più attenti, Mizoguchi abbandona la Toho per accasarsi con la Shochiku, che aveva già sotto contratto due caposaldi dell’industria giapponese come Yasujirō Ozu e Mikio Naruse. La Shochiku era nata sul finire dell’Ottocento per produrre spettacoli di teatro kabuki, e non è forse casuale che Storia dell’ultimo crisantemo concentri la propria attenzione proprio nell’ambiente teatrale, sia quello dei grandi centri urbani (Tokyo e Osaka) sia quello delle compagnie di strada.

Cineasta di interni, teso alla costruzione di una messa in scena essenziale che non sposi mai completamente la causa del minimale, Mizoguchi raggiunge già con Storia dell’ultimo crisantemo (e prima ancora con Elegia di Osaka e Sorelle di Gion) i vertici della sua sperimentazione sul piano sequenza. Mizoguchi costruisce la narrazione attraverso long take sia a quadro fisso che orchestrando movimenti di macchina di un’eleganza e una stratificazione a dir poco stordenti. A distanza di quasi ottant’anni dalla sua realizzazione, il film riesce ancora a lasciare a bocca aperta il pubblico, conducendolo in una scena teatrale che nega la finta profondità del teatro per scavare nell’animo di protagonisti tormentati, impossibilitati a trovare una propria collocazione soddisfacente all’interno della società.
Da molti considerato un regista “al femminile”, per il ruolo sempre centrale che le donne hanno trovato all’interno delle sue storie, Kenji Mizoguchi si conferma in Storia dell’ultimo crisantemo uno dei più mirabili costruttori (e distruttori) dello spazio scenico, utilizzato sempre a un duplice scopo: la resa di un naturalismo mai appiattito sul reale ma sempre vivo, drammatico nel senso più puro del termine, e l’evocazione metaforica dello stato d’animo dei personaggi in scena.
Pressoché perfetto nella sua pudicizia che non si nega nulla e non censura mai le pulsioni più evidenti (a tratti scabrose, considerata l’epoca) dei protagonisti, Storia dell’ultimo crisantemo è un capolavoro di rara grandezza, emozionante e talmente poderoso da annichilire lo sguardo dello spettatore. Peccato che a Cannes, nella Salle Buñuel sia stato proiettato un dcp tutt’altro che soddisfacente, figlio di un restauro su cui permangono non pochi dubbi. Ciononostante lo strapotere visivo del cinema di Mizoguchi, in cui le immagini acquistano senso nello sviluppo psicologico dei personaggi (e viceversa), è riuscito ad avere la meglio anche su questa copia non esaltante. Potere del Cinema, quando può permettersi la maiuscola.

Info
Storia dell’ultimo crisantemo, la scheda sul sito del Festival di Cannes.
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