Banat (Il viaggio)

Banat (Il viaggio)

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Anche se cede a momenti di silente rarefazione figli di un’autorialità ancora acerba, Banat (Il viaggio) di Adriano Valerio racconta senza mezzi termini le difficoltà professionali ed esistenziali di due trentenni di oggi. Alla SIC 2015.

Si, migrare

Ivo è agronomo e la mancanza di opportunità lo spinge ad accettare un lavoro nel Banat, una fertile regione della Romania. Clara è appena uscita da una relazione e sta per perdere il lavoro al porto di Bari. Ivo e Clara si incontrano per caso e sembrano capirsi subito. Passano una sola notte assieme prima che Ivo parta, ma questo basta per creare un legame e lasciar loro il desiderio di rincontrarsi. Quando Clara gli fa visita in Romania, i due si innamorano. Ma davvero questo esilio è l’unica strada per la felicità? [sinossi]
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Accade spesso che il cinema nostrano, specie quello aderente al genere della commedia e indirizzato al grande pubblico, affronti temi come la crisi e la mancanza di lavoro in maniera alquanto edulcorata. Ovvero, in parecchi film si parla di difficoltà economiche e lavorative, ma poi i protagonisti vivono in graziosi monolocali, lindi, ben arredati, pieni di ogni confort e appare evidente che per loro l’oramai proverbiale “arrivare alla fine del mese” di cui i media parlano tanto volentieri, non costituisce affatto un problema reale.

Non va però in questa direzione il giovane Adriano Valerio che con il suo film d’esordio, Banat (Il viaggio), presentato alla Settimana Internazionale della Critica 2015 ci racconta in modo realistico, frontale, le difficoltà lavorative e i desideri di autorealizzazione di due trentenni contemporanei. Ivo (Edoardo Gabriellini) e Clara (Elena Radonicich), questi i nomi dei due personaggi, si incontrano in un momento molto particolare delle rispettive esistenze. Lui sta per lasciare Bari per trasferirsi a Banat, in Romania, dove potrà finalmente fare il mestiere per il quale si è a lungo preparato: l’agronomo. Clara è invece l’inquilina che prenderà il posto di Ivo, non appena lui avrà finito di chiudere gli scatoloni del trasloco. I due si conoscono, si piacciono, trovano poi un modo per restare in contatto e per ritrovarsi.

L’idea al centro di Banat (Il viaggio) è dunque forte e volutamente provocatoria: raccontare l’emigrazione di un nostro conterraneo proprio verso quei territori dai quali tanti sono fuggiti per poi stabilirsi in Italia. Ma il film di Adriano Valerio non prosegue poi sui binari della polemica socio-politica, preferisce concentrarsi sui suoi personaggi, sulle loro inquietudini e speranze. Dopo la separazione di Ivo e Clara, anche il film si scinde e ci ritroviamo a seguire in montaggio alternato la quotidianità di entrambi: lei perde il lavoro e fa amicizia con l’eccentrica vicina (incarnata da una – come al solito – deliziosa Piera Degli Esposti) lui, invece, si ambienta nella comunità rumena, cercando di fare al meglio il proprio lavoro nonostante le difficoltà climatiche ed economiche.

Sebbene a lungo andare l’alternarsi dei due tranche de vie finisca per far perdere ritmo e mordente alla storia (ulteriormente interrotta poi da una del tutto esornativa suddivisione in capitoli), Banat (Il viaggio) riprende vigore una volta persa la sua dicotomia, ovvero nel momento in cui Clara si trasferisce da Ivo, in Romania.
Anche qui il giovane regista si concede forse qualche rarefazione ed evocativo silenzio di troppo, lasciando che il paesaggio si faccia specchio dell’anima, il Tai Chi Chuan si trasformi in uno strumento di comunicazione non-verbale, un protervo innalzarsi della mdp indichi che il legno delle barche in disuso è la soluzione giusta per salvare il raccolto di mele rumene. Probabilmente insomma, una minore fiducia nel potere evocativo delle immagini e più attenzione alla sceneggiatura e alle sue differenti fasi avrebbe giovato all’equilibrio del film. Perché quando si lavora di sottrazione non è sempre facile capire dove si va a parare, e innamorasi di una bella immagine è una tentazione in cui già numerosi registi esordienti sono caduti.

Eppure questa opera prima di Adriano Valerio contiene oltre alla sventatezza, anche molte delle qualità che si richiedono a un autore in erba: capacità tecnica, cura dei dettagli, una forte idea di base (l’emigrazione in Romania di cui sopra), un’accorta direzione degli interpreti. Il film si segala inoltre per la sua riproposta di un cult musicale d’antan tutto da riscoprire: il brano “Se t’amo t’amo” interpretato da Rosanna Fratello e utilizzato nel film come strumento, ancora una volta non verbale, per una dichiarazione d’amore molto sui generis.

Info
Banat sul sito della SIC.
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