Il caso Spotlight

Il caso Spotlight

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Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, Il caso Spotlight di Tom McCarthy è esattamente il film che ci si aspetta: un cast di ottimi attori; puntuale e diligente nella messa in scena; preciso e solido nella scrittura, nel montaggio, nel raccontarci dello scandalo dell’arcidiocesi di Boston, delle indagini dei validi giornalisti del Boston Globe, del dolore delle vittime.

Il sistema

Nel 2001 il Boston Globe fece un’inchiesta che scosse la città e scioccò il mondo. Spotlight racconta la storia di questa indagine, condotta dai membri della squadra investigativa Spotlight del Globe. Spotlight smascherò la sistematica copertura dell’Arcidiocesi di Boston riguardo gli abusi sessuali su bambini da parte di alcuni sacerdoti… [sinossi]

Come spesso accade nel cinema statunitense, nel sottogenere delle inchieste giornalistiche, il nucleo narrativo è un’anima divisa in due, intrecciata e indivisibile. Il caso Spotlight di Tom McCarthy (The Station Agent, L’ospite inatteso, Mosse vincenti) rispetta questa regola, mettendo in scena lo scandalo dell’Arcidiocesi di Boston, poi allargatosi a macchia d’olio, e le dinamiche del giornalismo virtuoso, di vecchio stampo – di riflesso, è anche l’amara constatazione del giornalismo morente di oggi, della povertà di mezzi, dello svilimento dei media.
Scandalo e indagine, colpevoli ed eroi, alimentano l’idea di un giornalismo di alto profilo professionale e, soprattutto, umano. Non a caso, nell’immaginario a stelle e strisce supereroi come Superman e l’Uomo Ragno sono reporter, icone di un sistema d’informazione che ha segnato la storia degli Stati Uniti (Watergate et similia), che ha scoperchiato vasi di Pandora, che ha messo fine a carriere politiche truffaldine. È ancora possibile, nel cinema e nella cultura statunitense, sovrapporre i volti di Clark Kent e di Kal-El, guardare gli Spotlights e intravedere gli Avengers.

Gli anni Settanta continuano a essere il punto di riferimento etico ed estetico. Nel film di McCarthy riecheggiano il monolite Tutti gli uomini del presidente, il cinema di Pakula, Lumet, Jewison e Pollack, la fiducia assoluta nella carta stampata del finale de I tre giorni del Condor. Michael Rezendes (Mark Ruffalo) e i suoi colleghi sono cavalieri senza macchia votati anima e corpo alla causa, al lavoro, alla ricerca di verità e giustizia: Il caso Spotlight declina tutto questo con una messa in scena che cerca di farsi invisibile, con un montaggio che solo raramente si lascia andare all’enfasi (la sequenza in montaggio alternato con Ruffalo e Rachel McAdams, forse l’unica forzatura evidente della pellicola) e con uno script minuzioso, estremamente chiaro, che cerca di replicare i meccanismi divulgativi e didascalici di un’inchiesta giornalistica. Da questo impianto perfettamente funzionante ma ampiamente prevedibile, abbellito da un cast di validi protagonisti e comprimari e intriso di un ottimismo tipicamente yankee e liberal, emergono alcune non banali riflessioni sul tessuto bostoniano, sulle colpe rimosse, su un’indifferenza complice. Insomma, su un sistema che non è alimentato solo dalla Chiesa, ma che funziona grazie a ingranaggi che si muovono o che non si azionano, restando immobili, inerti. McCarthy non cerca di alleggerire i macigni che gravano sulla coscienza della Chiesa, ma allarga lo sguardo, suggerendo agli spettatori di evitare una facile e isterica caccia alle streghe ma di osservare la complessità della società e della sue dinamiche – in questo senso, anche il meno riuscito Black Mass regala uno spaccato bostoniano dalle tonalità grigiastre.

Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, Il caso Spotlight è esattamente il film che ci si aspetta: ottimi attori, dai protagonisti fino all’ultimo dei caratteristi; fin troppo diligente nella messa in scena; preciso e solido nella scrittura, nel montaggio, nel raccontarci dello scandalo dell’arcidiocesi di Boston, delle indagini dei validi giornalisti del Boston Globe, del dolore delle vittime. Dei peccati imperdonabili della Chiesa. Come se fossimo negli anni Settanta, ma un po’ sbiaditi: McCarthy non è Pakula & Co., non ha lo stesso vigore, nonostante il rimando al ruolo del giornalismo degli anni Settanta [1], non dissimile dalle intenzioni di Kevin Macdonald con State of Play [2]. Ovviamente, Ruffalo, Tucci, Schreiber e soci valgono il prezzo del biglietto. Il caso Spotlight scorre liscio come l’olio e scivola via.

Note
1. «Spotlight è un’ode al reportage d’inchiesta di alto profilo di cui c’è grande scarsità oggi, soprattutto a livello locale negli Stati Uniti. […] Oggi l’industria dei quotidiani negli Stati Uniti è stata decimata e non ci sono chiare alternative alla preziosa funzione che i giornali, come il Boston Globe, svolgono per i loro lettori. La situazione è disperata». Tom McCarthy, Il caso Spotlight – Commento del regista, labiennale.org.
2. Con Rachel McAdams giovane giornalista del web.
Info
Il caso Spotlight sul sito della Mostra del Cinema di Venezia.
Il trailer originale de Il caso Spotlight.
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