I racconti dell’orso

I racconti dell’orso

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L’opera prima di due giovani registi italiani, Samuele Sestieri e Olmo Amato, che con I racconti dell’orso tentano la via del surreale e del misterico. In concorso a Torino 2015.

Morire, dormire. Dormire, forse sognare

In un mondo abbandonato dagli uomini, un monaco meccanico insegue uno strano omino rosso. Dopo aver attraversato boschi, città morte e lande desolate, i due buffi personaggi raggiungono la cima di una collina magica.
Il ritrovamento di un vecchio peluche d’orso ormai malandato li farà riconciliare. Uniranno così le forze, nella speranza di poter dare vita al giocattolo inanimato e sfuggire al vuoto che li circonda.
[sinossi]

Non si può non rimanere sorpresi da un’opera come I racconti dell’orso, esordio di Samuele Sestieri e Olmo Amato che ha rappresentato, fin dalla conferenza stampa, l’oggetto del mistero della trentatreesima edizione del Torino Film Festival. Girato in gan parte nella penisola scandinava, messo in piedi da un punto di vista produttivo grazie a una saggia operazione di crowfunding (cui si è aggiunta l’esperienza di una figura carismatica del cinema italiano come Mauro Santini), questo bizzarro lungometraggio è un viaggio fiabesco in uno scenario post-apocalittico, retaggio d’infanzia verso un ritorno a casa forse possibile, forse no (come l’orso di peluche che incede, quasi fuori dal quadro, nell’ultima immagine del film).
Sestieri e Amato, che interpretano anche i due protagonisti – un monaco meccanico e un omino rosso, che assume in alcune inquadrature una forma quasi bidimensionale – sfruttano i panorami nordici contrapponendo alla fascinazione bucolica un’attitudine al fantastico che solo in apparenza cozza con la secca naturalezza della messa in scena. Immersi in un non-mondo che si estende a perdita d’occhio, tra foreste di betulle e specchi d’acqua, i due viandanti de I racconti dell’orso si disperdono in un passo che avanza senza avanzare, come se attendessero anche loro Godot, come Vladimiro ed Estragone di beckettiana memoria; ne viene fuori un viaggio misterico, ingenuo e privo di senso. Come tutti i viaggi, forse.

Amato e Sestieri tracciano un percorso cinematografico non privo di fascino o interesse, che riporta alla mente alcune visioni “atmosferiche” del cinema europeo (Philippe Grandieux, Eric Vuillard, il Sébastien Betbeder di Nuage e La vie lointaine, Muukalainen di Jukka-Pekka Valkeapää) ma allo stesso tempo sembra flirtare con il fantasy d’oltreoceano, a partire da Il mago di Oz, altro film che narra il bisogno di sogno di un’infante, o giù di lì. Al di là di queste considerazioni, che aprono il fianco a un’inevitabile riflessione sul senso della narrazione e sul tema classico della cerca declinato in direzione di un cinema dell’istante, che vive a stretto contatto con il panorama con il quale si confronta, I racconti dell’orso mette in mostra una architettura del racconto non sempre convincente, e troppo esile per reggere sulla lunga distanza.
Nell’asciugare fino alle estreme conseguenze il racconto, che procede solo pedinando queste due bizzarre creature in giro per colline, foreste e corsi d’acqua, Sestieri e Amato operano una scelta dominata dalla suggestione più che dalla necessità espressiva. In questo modo il monaco meccanico e l’omino rosso, la cui relazione passa da ineguitore/inseguito alla pura amicizia (entrambi gli esseri, alla ricerca di una famiglia, sono in realtà asessuati), possono disperdersi nella natura, saltare, giocare, roteare su se stessi neanche fossero i fraticelli di Francesco, giullare di Dio. Un processo dell’immaginario che poco per volta si sterilizza, stemperando la sensazione di meraviglia in una reiterazione che non giova all’impianto generale.

L’impressione è che I racconti dell’orso avrebbe guadagnato da un minutaggio più contenuto, magari assestandosi sulla durata del mediometraggio, forma di espressione troppo spesso ignorata dai registi alle prime armi, e che invece permette di confrontarsi con la narrazione con maggior rigore e precisione. Permane la sensazione di aver incontrato due registi ricchi di spunti e di ipotesi cinematografiche ammalianti, ma ancora non perfettamente in grado di gestirle. I racconti dell’orso è un tentativo da sostenere, con la convinzione che il percorso intrapreso possa comunque essere quello giusto. Il mistero dell’immagine è sempre un monolito, ma per affrontarlo conviene penetrarvi, non rimanere in estatica osservazione.

Info
I racconti dell’orso, il sito ufficiale.
  • i-racconti-dellorso-2015-samuele-sestieri-olmo-amato-02.jpg
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