Richard Linklater – Dream is Destiny

Richard Linklater – Dream is Destiny

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Un documentario su Richard Linklater che affronta l’intera carriera del regista statunitense, dagli esordi con Slacker fino a Tutti vogliono qualcosa. Didattico e televisivo, nonostante l’affascinante polifonia di voci.

Indipendente a ogni costo

Il film traccia il percorso artistico di uno dei registi americani più innovativi e indipendenti: Richard Linklater. Originario di Houston, Linklater ha sempre preferito restare al di fuori del sistema hollywoodiano e, ancor prima di Boyhood, decide di non lasciare il Texas e di restare a Austin per girare film a basso budget con piccole produzioni locali. La sua capacità di raccontare storie di vita in maniera così onesta e veritiera ha inevitabilmente attirato l’attenzione su di lui e sul suo talento e la calda accoglienza riservata in importanti festival internazionali lo ha portato a essere riconosciuto come uno dei migliori registi contemporanei… [sinossi]

Chi è Richard Linklater, e perché si è parlato così tanto di lui solo ed esclusivamente all’epoca della promozione di Boyhood, con il quale portò a casa premi alla Berlinale e ai Golden Globe, ma mancò l’appuntamento con l’Oscar? La domanda potrebbe apparire banale, ma in realtà nasconde un piccolo ma coriaceo misfatto critico (e produttivo) perpetrato fin dagli esordi del regista nativo di Houston. Quando nel corso degli anni Novanta si gridava al miracolo per la supposta “rivoluzione indie”, microcosmo all’apparenza off-hollywoodiano che servì invece in gran parte alle major per accalappiare nuove fasce di pubblico, alcuni registi, quelli più fieramente distanti dalle regole del mercato, rimanevano in seconda linea, o venivano bellamente ignorati tanto in patria quanto nel resto del mondo. Fu così, con le dovute eccezioni, per Todd Solondz, il primissimo Darren Aronofsky (quello di Π), l’Amir Naderi newyorchese, Craig Baldwin, figli e fratellini dei vari Jim Jarmusch, John Sayles, John Waters, George Armitage, Jon Jost e chi più ne ha più ne metta. In questa cerchia di cineasti rientra anche Richard Linklater, probabilmente anche per una questione meramente geografica. Mentre gli americani indipendenti prendevano d’assalto Los Angeles o New York, epicentri consolidati della produzione cinematografica, Linklater decideva di rimanere a vivere ad Austin, capitale politica e culturale del Texas. Niente trasferta in California o davanti alla Statua della Libertà per Linklater, neanche dopo il (pur sotterraneo) successo ottenuto con Slacker, secondo lungometraggio autoprodotto dopo il quasi completamente sconosciuto, ma non poco affascinante, It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books, diretto in beata solitudine tra il 1987 e il 1988, con il regista impegnato non solo dietro e davanti alla macchina da presa – il film fu girato in super-8 –, ma anche alla fonica, come ricorda uno degli intervistati nel corso del documentario Richard Linklater – Dream is Destiny, diretto a quattro mani da Karen Bernstein e Louis Black e presentato alla Festa del Cinema di Roma prima di una breve sortita in sala prevista a fine ottobre con la Wanted.

Sì, “dream is destiny”, come il primo capitolo su cui si apre Waking Life, summa del pensiero umanista, filosofico e anche cinematografico di Linklater, che passò incompreso e inosservato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2001, mentre al Lido (in una sezione non competitiva) faceva la sua apparizione anche il minuscolo gioiello Tape, prodotto dal progetto InDigEnt, in quegli anni molto attiva, come dimostrano le realizzazioni di Pieces of April di Peter Hedges, Lonesome Jim di Steve Buscemi, Land of Plenty di Wim Wenders e Chelsea Walls di Ethan Hawke. Proprio Hawke, storico sodale di Linklater, è una delle persone scelte per essere intervistate nel documentario di Bernstein e Black: il tentativo, dichiarato fin dalle prime battute, è quello di tracciare un ritratto del regista facendo ricorso a testimonianze ex-novo (tra le quali un’intervista allo stesso Richard Linklater), materiale di repertorio e affidandosi alla cronologia data dalla sua filmografia, che copre oramai trent’anni di vita.
Se Richard Linklater – Dream is Destiny riesce a staccarsi, almeno in parte, dalla piatta realizzazione di un documentario biografico che potrebbe assomigliare in tutto e per tutto a un extra di un dvd è solo grazie alla capacità dell’autore di Dazed and Confused, Suburbia (episodio artistico completamente dimenticato dal documentario, caso unico: difficile che si tratti di una dimenticanza, ma altrettanto arduo comprendere le dinamiche di una simile scelta), Fast Food Nation e Tutti vogliono qualcosa, di raccontare se stesso, i motivi delle sue decisioni artistiche e la prassi che guida quotidianamente il suo sguardo. L’umanità di Linklater è fatta di amori letterari russi (Dostoevskij e Tolstoj su tutti), immersioni nel silenzio della natura, una sfrenata passione per il baseball e la certezza indistruttibile che, tenendosi a debita distanza da Hollywood, magari non si arricchirà ma potrà esprimere tutto quello che vuole senza dover cedere a nessun tipo di compromesso. Puntellato dalle dichiarazioni di colleghi, amici e parenti, Richard Linklater – Dream is Destiny sviluppa il proprio potenziale solo quando a esprimersi è il protagonista assoluto della vicenda, o grazie al materiale d’archivio che permette di cogliere lo spirito di una vera rivoluzione indipendente, lontana dagli studios non solo per via dei chilometri di distanza, ma anche per una concezione del lavoro di gruppo, della costruzione del set e della narrazione. Per questo, con ogni probabilità, i due registi si concentrano soprattutto su Slacker, che rappresentò nel 1991 un punto di svolta all’interno delle asfittiche strutture del cinema americano, perfino quello indie, e Boyhood, che con il suo bizzarro sviluppo produttivo lungo dodici anni è a sua volta un unicum nell’intera storia della settima arte statunitense.

Utile per un primo contatto con Linklater e la sua poetica, Richard Linklater – Dream is Destiny non riesce e forse non può entrare però maggiormente in profondità. Per gli appassionati del regista, il consiglio è allora quello di andare a recuperare l’ammaliante Double Play: James Benning and Richard Linklater, visto tre anni fa a Venezia e nel quale Gabe Klinger fa dialogare e discutere Linklater con uno dei massimi sperimentatori a stelle e strisce, trovando connessioni e punti di contatto insperati e all’apparenza quasi impossibili da pronosticare. Perché Linklater è stata ed è una delle voci più libere del cinema statunitense, e sarebbe davvero un peccato continuare a non coglierne l’unicità, fieramente texana – ma senza alcuna deriva reazionaria o conservatrice –, e l’importanza.

Info
Richard Linklater – Dream is Destiny, il trailer.
Una lunga intervista a Richard Linklater.
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