Tatanka

Giuseppe Gagliardi con Tatanka porta al cinema una storia di boxe ambientata tra i palazzi scrostati di Marcianise (nel casertano), tratta da un racconto di Roberto Saviano incentrato sulla figura di Clemente Russo, boxeur professionista qui prestato al cinema nella parte di se stesso.

Arriva la bomba che scoppia e rimbomba

Nei feudi della camorra, in una terra dilaniata da una guerra cruenta, la straordinaria avventura di un ragazzo che riesce a sfuggire a un destino certo. Grazie all’incontro con la boxe riuscirà ad emanciparsi, in un percorso che lo porterà alla scoperta di se stesso, dal baratro della periferia di Napoli, passando per l’inferno dei ring clandestini di Berlino. Una strada tortuosa verso un riscatto difficile e inaspettato. [sinossi]

Nelle gallerie del nazional-popolare dove Giuseppe Gagliardi ha sempre dimostrato di trovarsi a proprio agio, uno dei tasselli imprescindibili è senz’altro quello della boxe, antica arte, sport nobile seppur innegabilmente violento, altamente “cinematografizzato” eppure ancora al centro di tante storie viste sul grande schermo (uno degli ultimi, in ordine di tempo, è The Fighter di David. O. Russell). Ebbene, dopo aver rievocato le gesta dimenticate di un emigrante calabrese in Argentina divenuto uno dei massimi rappresentanti della canzone melodica anni Sessanta in La vera leggenda di Tony Vilar, Gagliardi con Tatanka porta al cinema una storia di boxe ambientata tra i palazzi scrostati di Marcianise (nel casertano), tratta da un racconto (con forti accenni autobiografici) di Roberto Saviano incentrato sulla figura di Clemente Russo, boxeur professionista qui prestato al cinema nella parte di se stesso. Una partecipazione, quella al film, che è costata allo stesso Russo sei mesi di sospensione (senza stipendio) dalla Polizia di Stato (corpo al quale il pugile appartiene) e una serie praticamente infinita di polemiche: sostanzialmente la polizia si rifiutava di dare il consenso a Russo a interpretare il film, probabilmente perché vi erano (e vi sono) alcune scelte narrative nonché una scena in cui la polizia non viene esattamente messa in buona luce. In particolare a finire sotto accusa è una scena, conservata nel montaggio finale, nella quale un piccolo delinquente della periferia di Caserta viene torturato dalla polizia, con la tecnica del waterboarding, fino alla morte, per poi essere buttato a mare per simulare un annegamento fortuito (il regista nel dettaglio ha fatto riferimento ad un episodio realmente accaduto, quello di Salvatore Marino morto torturato nella Questura di Palermo nel 1985).

L’aneddoto deve semplicemente far capire il clima con cui si è lavorato e l’ostinazione con la quale Russo ha portato avanti il progetto. Detto ciò, e sorvolando quanto possibile sull’apporto di Saviano all’operazione (spesso risulta difficile, soprattutto nel suo caso, districare la parte di scrittore a quella di front-man televisivo o quantomeno di opinion-maker (per dirla all’americana…) ivi connesse tutte le etichette appiccicabili, il film di Gagliardi potrebbe essere liquidato, o meglio valutato, affiancandolo al proprio esordio sul grande schermo, quel Tony Vilar a cui accennavamo prima. Sì perché Tatanka divide con Vilar pregi e difetti dei suoi stessi protagonisti: personaggi larger than life, fantasmi delle loro stesse vite in cui verità e finzioni si accavallano incessantemente (ovvero, documentario e fiction, dunque mockumentary verrebbe da dire). Detto in parole povere insomma, Tatanka come La vera leggenda di Tony Vilar si basa su un’idea indubbiamente interessante e originale, che si sviluppa almeno inizialmente con una indiscutibile forza cinematografica che va riconosciuta a Gagliardi fin dai suoi esordi sulla breve durata, eppure ancora una volta, Tatanka come Vilar è un film che pian piano sembra perdere la propria spinta propulsiva, inanellando una serie di veri e propri “inciampi” narrativi capaci di azzoppare definitivamente l’intera opera. Digressioni (la parte in Germania su tutte) insensate e inutili, personaggi che sinceramente non sembrano per nulla calibrati (come quello di Petra, interpretato da Susanne Wolff, o peggio ancora quello di Rade Serbedzija), danno l’impressione continua che si voglia andare da una parte e dall’altra invece che scegliere una rotta e approdare sicuri al porto.

Ed è un peccato soprattutto perché c’è tutta la prima parte del film che invece è un’autentica rivelazione: tutta la parte fanciullesca della vicenda di Michele (il Tatanka del titolo) e del suo amico Rosario è davvero ottima, non solo ben recitata, ma soprattutto ben scritta (sceneggiatura, oltre allo stesso regista, anche di Maurizio Braucci, Massimo Gaudioso, Salvatore Sansone e Stefano Sardo), senza dimenticare gli accenni visivi al kubrickiano Day of the Fight (i giochi sui doppi…) e pervasa da un coraggio (abbiamo già detto della scena in cui viene messa all’indice la polizia italiana) fuori dall’ordinario. Un film difficile insomma, che regge finché persegue con forza la volontà di denunciare e di testimoniare uno spaccato di vita agli albori del XXI° secolo nella civile Italia, terra di santi e mafiosi ma anche di gente come Tatanka che attacca a testa bassa come i bisonti per riuscire a emergere e a vincere il proprio destino di malavita.

Info
Il trailer di Tatanka.

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