Giallo/Argento

Giallo/Argento

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Con Giallo/Argento il cinema di Dario Argento tocca, con ogni probabilità, il suo nadir. Un’opera senza capo né coda, diretta con la mano sinistra e abbandonata ben presto al suo destino.

L’itterizia che uccide!

Un maniaco omicida soprannominato “Giallo” sceglie le sue vittime tra donne bellissime, per vendicare il proprio brutto aspetto. Quando rapisce la fotomodella Celine, però, questa riesce ad avvisare la sorella Linda, che è appena giunta in città per incontrarla. La donna si rivolge a un ispettore dal passato fosco e misterioso: la loro è oramai una corsa contro il tempo… [sinossi]

Il più grave sgarbo che si può commettere nei confronti di Giallo/Argento è quello di usarlo come pietra di paragone in un percorso a ritroso che si ferma all’inizio degli anni Settanta, quando un giovane Dario Argento partorisce prima la cosiddetta “trilogia animale” (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio) per poi porre la firma in calce al maestoso Profondo rosso, tra i più lucenti paradigmi del cinema di genere nostrano. È quella l’epoca del giallo all’italiana, i cui primi vagiti vanno rintracciati nel cinema di Mario Bava [1] e che esploderà letteralmente tra la seconda metà degli anni Sessanta e il decennio successivo, quando una vera e propria messe di titoli invaderà le sale del Belpaese [2]: un’altra Italia e decisamente un altro cinema, almeno per quel che concerne l’arte di Argento. Se si esclude Non ho sonno (2001), nei film diretti nel corso degli ultimi due decenni dal “maestro del brivido” non esistono accenni al proprio passato registico: il suo cinema oramai si muove in una direzione opposta, in cui l’elaborata tessitura visionaria ha lasciato il posto a un’asciuttezza spartana, perfino semplicistica in alcune occasioni.

In tal senso Giallo/Argento – il titolo sostituisce per l’uscita in sala Giallo, con cui finora il film era noto, probabilmente con la speranza di condurre al cinema quantomeno i fan duri e puri del regista, abituati solitamente a distribuzioni invernali delle sue pellicole – rappresenta un esempio assai indicativo degli interessi attuali di Argento: il colore utilizzato nel titolo, infatti, è solo ironicamente riconducibile a un’appartenenza di genere, e serve invece per focalizzare l’attenzione sul folle assassino che sta mietendo vittime tra donne di bella presenza, così ribattezzato per via della grave forma di itterizia da cui è afflitto. Giallo non più dunque come materia cinematografica, ma bensì come puro squilibrio fisico, segno distintivo del “diverso”, del “mostro”, dell’inaccettabile. Uno dei non pochi problemi cui va incontro Dario Argento in questa sua nuova – si fa per dire, visto che il film è vecchio di due anni – avventura cinematografica risiede proprio nella scelta di un “villain” ben poco credibile: l’intento con ogni probabilità era quello di dare corpo sullo schermo a un cattivo che ispirasse nello spettatore pietà e repulsione allo stesso tempo, ma il povero Byron Deidra (dietro lo pseudonimo con cui è accreditato l’attore che interpreta l’omicida si nasconde in realtà Adrien Brody, protagonista anche nelle vesti dell’ispettore che segue le indagini) suscita al massimo una ghignante ilarità. Ma al di là di una sceneggiatura zoppicante, infarcita di dialoghi ai limiti dell’accettabile e di situazioni raffazzonate e risolte con sbrigativa sufficienza, a mancare completamente a Giallo/Argento è un’impalcatura immaginifica degna di questo nome: la messa in scena architettata per l’occasione da Argento non solo non osa mai nulla, ma si limita a una piatta sequela di situazioni puramente esplicative, in un’operazione che si riesce a distaccare dalla prammatica televisiva dei peggiori polizieschi seriali che caratterizzano il prime time nazionale. Forse non si potrà più pretendere da Argento l’inventiva esuberante con la quale ha raggiunto i vertici della fama mondiale – i suoi virtuosismi stilistici sono studiati a menadito in qualsiasi scuola di regia che si rispetti – ma per lo meno uno sforzo che andasse al di là dello schema totale/campo/controcampo sarebbe lecito aspettarselo. E viene naturale chiedersi come sia possibile che un’opera così palesemente “sbagliata” riesca a trovare uno sbocco per la distribuzione in sala a due anni dalla sua conclusione e a uno dalla sua uscita in home video, dopo battaglie legali e denunce varie: quale spettatore dovrebbe sentirsi invogliato a recarsi al cinema? E perché?

L’impressione, purtroppo, è che non esista oramai soluzione a quello che si potrebbe definire “l’enigma Argento” e che il futuro riserverà altre cocenti delusioni. Magari a partire proprio dal prossimo Dracula 3D: spettatore avvisato…

Note
1. I prodromi del genere sono solitamente circoscritti a La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l’assassino (1964), entrambi per la regia di Bava.
2. Su un centinaio di titoli riconducibili al giallo vale quantomeno la pena citare La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi (1967), Lo strano vizio della signora Wardh di Sergio Martino (1970), Una lucertola con la pelle di donna (1971) e Non si sevizia un paperino (1972) di Lucio Fulci, Reazione a catena di Mario Bava (1971), La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado (1972), L’etrusco uccide ancora (1972) e Macchie solari (1975) di Armando Crispino, Gatti rossi in un labirinto di vetro (1975) di Umberto Lenzi, La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati.
Info
Il trailer di Giallo/Argento.

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