Italiano medio

Italiano medio

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La prima incursione cinematografica di Maccio Capatonda, accompagnato dai fedeli sodali Herbert Ballerina, Ivo Avido, Rupert Sciamenna e Anna Pannocchia. Alla ricerca dell’italiano medio.

A me che me ne frega amme?

Giulio Verme è un ambientalista convinto in crisi depressiva, che alla soglia dei quaranta anni si ritrova a fare la ‘differenziata’ in un centro di smistamento rifiuti alla periferia di Milano. Avvilito, furioso, depresso è ormai totalmente incapace di interagire con chiunque: con i colleghi di lavoro, con i vicini, con la famiglia e con Franca, la compagna di una vita. L’incontro con l’agguerrita anche se poco credibile associazione ambientalista dei “Mobbasta” lo convince a combattere fervidamente contro lo smantellamento di un parco cittadino, ma per Giulio è l’ennesimo fallimento. Non ci sono più speranze per il nostro protagonista fino a quando incontra Alfonzo, un suo vecchio e odiato amico di scuola che ha però un rimedio per tutti i suoi mali: una pillola miracolosa che gli farà usare solo il 2% del proprio cervello anziché il 20%, come si dice comunemente. Ed è proprio così che Giulio supera la depressione: non pensa più all’ambiente ma solo a se stesso, alle donne, ai vizi, passioni e virtù di ogni italiano medio… [sinossi]

A cavallo del boom economico l’italiano medio era l’Alberto Boccetti interpretato da Alberto Sordi ne Il conte Max, giornalaio che si improvvisa nobile per poter trascorrere il Capodanno a Cortina d’Ampezzo; negli anni Settanta, meno ardito (e ancor meno nobile d’animo), assume le forme grottesche di Paolo Villaggio/Ugo Fantozzi, ragioniere impiegato presso l’ufficio sinistri della Megaditta ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica. Da tempo, per vicissitudini varie e alterne fortune dell’industria cinematografica, l’Italia aveva perso contatto con il concetto stesso di “italiano medio”, digradato decennio dopo decennio verso un ideale perennemente peggiorativo, frutto di una gemmazione politica infruttuosa, vaga e contraddittoria.
Non era e non è italiano medio il personaggio guida dei vari “cinepanettoni”, né il protagonista di opere che ragionano sul popolare come quelle di Paolo Virzì (da Ovosodo a Tutti i santi giorni il proletariato messo in scena dal regista livornese è sempre al di fuori dell’ordinario, per indole, per cultura, per naturale inadattabilità al panorama che lo circonda), e ancor meno gli uomini e le donne che albergano film come Il nome del figlio, bozzetti bidimensionali che vorrebbero raccontare l’Italia dell’ultimo trentennio perdendosi dietro stanche abitudini e schemi usurati.

Di fronte a questo scenario l’irruzione di Maccio Capatonda, nome d’arte dell’abruzzese Marcello Macchia, si configura come un vero e proprio tornado atto alla devastazione pura. Dopo aver raccolto schiere di fedeli adoratori in televisione e attraverso il proprio canale Youtube, Capatonda compie il periglioso triplo salto mortale sul grande schermo. Operazione di routine, per i comici televisivi, ma che nasconde un numero pressoché infinito di insidie. Spesso sperduti in un universo di codici e strutture che non hanno mai abitato con regolarità, i comici che si sono fatti le ossa sul piccolo schermo finiscono con il naufragare a contatto con il cinema, rinchiudendosi nel corto circuito comodo ma sterile della gag fine a se stessa oppure, come Fabio De Luigi o ancor più Checco Zalone (vero e proprio fenomeno di riferimento degli ultimi anni, e non solo dal punto di vista squisitamente economico), annacquando la propria verve a favore di una quadratura del cerchio.
Anche per questo viene naturale considerare Italiano medio, esordio in cabina di regia di Maccio Capatonda – ma il film, seguendo i giochi e i riferimenti interni delle creature di Macchia è attribuito nei titoli di testa a Bruno Liegibastonliegi – una mosca bianca, schizofrenia fuori da qualsiasi controllo, sguaiato e slabbrato elogio alla dissacrazione. Se proprio fosse necessario trovare un punto di contatto con altri prodotti del cinema italiano degli ultimi anni si potrebbe forse accostare il nome di Cetto La Qualunque, personaggio che Antonio Albanese ha portato sullo schermo in due film diretti da Giulio Manfredonia, Qualunquemente e Tutto tutto niente niente. Si tratterebbe in ogni caso di una forzatura, perché anche l’anarchismo (più concettuale che in scena) di Albanese appare una lieve screziatura rispetto alla sarabanda orchestrata in Italiano medio.

La storia della trasformazione di Giulio Verme, puntiglioso e inossidabile difensore del “giusto” (dalla difesa dei babbuini alla raccolta differenziata, dalla lotta ai SUV che infestano le città a quella per la preservazione di un parco cittadino) che in seguito all’assunzione di una pastiglia fornitagli da un amico d’infanzia – il sulfureo, ebete, impassibile Luigi Luciano alias Herbert Ballerina – si limita a utilizzare il 2% del suo cervello, assumendo le forme di un mostruoso prodotto della società dei consumi e dello spettacolo, non è solo l’occasione per (ri)vedere sul grande schermo alcune delle intuizioni comiche migliori della gang capitanata da Maccio Capatonda. Così fosse, il divertimento si esaurirebbe in breve tempo, e il film galleggerebbe in direzione di un progetto bizzarro, sghembo il necessario, divertissement atto a sollazzare le masse.
Italiano medio, al contrario, mette in mostra una scrittura mai banale, a suo modo stratificata, in cui il gesto comico puro e semplice si inserisce sempre in una narrazione, la fortifica inspessendola. Tra flashback, giochi massmediali in cui la televisione è riferimento ossessivo e quasi subliminale, Italiano medio sfonda in direzione di una comicità crudele, sanamente volgare, atto distruttivo nei confronti del panorama che lo circonda. Senza mai lasciarsi sedurre dal demone del qualunquismo, Maccio Capatonda e i suoi fedeli sodali (Herbert Ballerina, Ivo Avido, Rupert Sciamenna e Anna Pannocchia) mettono alla berlina tanto la superficie di plastica che ha rivestito lo squallido vuoto televisivo dello spettacolo, quanto al contrario il vacuo affannarsi privo di reale concretezza di un mondo “impegnato” che non ha direzione, né reale forza. In tal senso appare esemplare la beffarda descrizione dei “Mobbasta”, metà grillini metà radical che vedono in Giulio Verme il loro naturale leader.

In un profluvio di intuizioni, gag, battute, situazioni comiche, più o meno arditi rimandi cinematografici, Maccio Capatonda trasporta sul grande schermo il proprio microcosmo, senza perdere nulla della potenza espressiva che lo corrobora e senza smarrirsi. Italiano medio è un film “brutto, sporco e cattivo”, creatura nella quale in Italia è sempre più difficile imbattersi. Non è adatto al pubblico perbene, né a quello completamente decerebrato, eppure riesce a parlare la lingua di entrambi, accogliendoli e dileggiandoli allo stesso tempo. La speranza è che (non) se ne rendano conto.

Info
Italiano medio, il trailer.
La pagina Facebook di Italiano medio.
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