Quando c’era Marnie

Quando c’era Marnie

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Dopo essere passato a Rotterdam, esce in sala Quando c’era Marnie, nuovo lavoro dello Studio Ghibli che potrebbe tracciare il futuro, eventuale, della leggendaria ‘bottega’ di anime nel post Miyazaki e Takahata.

Lo strano caso di Marnie

Anna è una ragazzina che, per problemi d’asma, viene mandata da una coppia di parenti in un villaggio sul mare. Nel suo girovagare in questi nuovi territori si imbatte in una villa disabitata e fatiscente. Un giorno ad Anna sembra quasi che le luci della casa si accendano e le pare di intravvedere una ragazza bionda dietro una delle finestre… [sinossi]

Tratto dal romanzo di Joan Gale Robinson, scrittrice e illustratrice inglese specializzata in opere per l’infanzia – che Hayao Miyazaki ha sempre annoverato tra le sue fonti d’ispirazione – e diretto da Hiromasa Yonebayashi, Quando c’era Marnie è il primo film Ghibli a non avere né il suo nome né quello di Isao Takahata tra i credits, anche se è evidente il debito con il sensei e padre fondatore, il quale a sua volta ha concluso la carriera e scambiato la staffetta proprio su un’altra figura che ha segnato la sua poetica, quella dell’ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi, su cui è incentrato Si alza il vento.

Un treno porta la bambina protagonista dalla città di Sapporo alla campagna costiera. Il dualismo mondo urbanizzato/mondo rurale, un tema cardine dello Studio, da Heidi a Only Yesterday, compone un viaggio che è qualcosa di più che uno spostamento fisico e che, anzi, diventa un bildungsroman. Abbiamo ancora l’esaltazione bucolica dei fiori, delle coltivazioni, delle messi in una terra in questo caso estrema, di confine, battuta dal vento. E anche l’esaltazione della vita semplice di una volta, rustica, in armonia con i ritmi della natura che modella senza deturparla, di un’operosità campagnola. Apice di questo mondo contadino, come spesso nelle storie dello Studio Ghibli, è il matsuri, la sagra tradizionale del villaggio. Un evento che Anna apparentemente non sembra apprezzare per poi ricredersi con il tanabata, la festa che prevede che si esprima un desiderio scritto su una strisciolina di carta da appendere a un albero. E quello della bambina sarà proprio “Vorrei essere una persona normale”.

Tornano tutta una serie di figure e immagini Ghibli recenti, la collina, la donna che sul prato dipinge il paesaggio, riparandosi dal sole con un ombrello. E il trasferimento in Quando c’era Marnie è proprio dovuto a motivi sanitari, di cura dall’asma. La bambina ne soffre infatti e ha bisogno d’aria pura. Ma la sua malattia è soprattutto psicologica, soffre di insicurezza, sociopatia, solitudine. E corrisponde a Sho, il bambino protagonista di Arrietty, l’altra opera Ghibli diretta da Yonebayashi. Anche Anna, tra l’altro, troverà conforto in una bambina apparentemente fantasmatica, forse immaginaria, che abita una casa di stile antico, diroccata che si anima e si illumina magicamente, e rivive il passato nelle sue stanze, nelle sue camere da Overlook Hotel. Una fata bionda, come la sua omonima hitchcockiana, una creatura notturna. La fantasia e la magia, l’onirismo sono giocati in molto sottile. E Yonebayashi si permette anche di citare Titanic, facendo il verso alla famosa scena dei due protagonisti sulla prua della nave. Un riferimento ironico e auto celebrativo al fatto che La città incantata riuscì nell’impossibile tentativo di superare al box office giapponese il kolossal di James Cameron. Titanic possiamo farlo anche noi, sembrano volerci dire.

Info
Quando c’era Marnie, il trailer.
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