Anomalisa

Selezionato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, Anomalisa è un bicchiere mezzo pieno. O mezzo vuoto. Kaufman lavora di sottrazione, sfrondando lo script dalle consuete e spesso vitalissime complessità, mentre Duke Johnson assicura un’animazione di buona fattura, adeguata alla natura indie dell’opera. Però, complessivamente, permane un retrogusto di occasione mancata, di una suggestione narrativa e visiva che finisce per ruotare su se stessa.

Girls Just Want To Have Fun

Un oratore motivazionale di successo viaggia per il Paese cambiando la vita di molte persone. Tuttavia, nel trasformare gli altri, perde qualcosa di se stesso. La sua vita diventa sempre più grigia e monotona e le persone iniziano a sembrare tutte identiche. All’improvviso la voce di una ragazza sconvolge la sua vita, facendolo finalmente sentire vivo… [sinossi]
I come home in the morning light
My mother says when you gonna live your life right
Oh mother dear we’re not the fortunate ones
And girls they want to have fun
Oh girls just want to have fun…
Girls Just Want To Have Fun – Cyndi Lauper

Tre voci, tre volti. Tutti i volti. E una tecnica, l’animazione in stop motion, che ancora una volta attrae e seduce cineasti e autori del cinema dal vero. Tra i pregi di Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson, in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, c’è proprio l’utilizzo consapevole dell’animazione, la volontà di sfruttare le potenzialità espressive del mezzo tecnico e artistico. Apprezzabile, inoltre, il lavoro di sottrazione di Kaufman, la rinuncia alla consueta arzigogolata complessità di scrittura a favore di un intreccio che privilegia le sfumature minimaliste, con alcuni momenti memorabili – Girls Just Want to Have Fun cantata a cappella da Lisa, quasi un Dôme épais le jasmin dei nostri giorni.

Alla seconda regia cinematografica dopo Synecdoche, New York [1], Kaufman affida script e suggestioni immaginifiche a Duke Johnson (Moral Orel, Mary Shelley’s Frankenhole, Beforel Orel: Trust). La collaborazione, come ai tempi di Tim Burton e Mike Johnson per La sposa cadavere, è l’unica strada percorribile per concretizzare il passaggio dagli attori in carne e ossa ai pupazzi.
Interessante, in questa transizione reale/animato, l’apparente fotorealismo della prima sequenza. Schermo nero, voci che suggeriscono derive nevrotiche, e un aereo di linea che spunta tra le nuvole. L’illusione della realtà è prontamente smascherata dal modellino che si adagia sulla pista d’atterraggio: siamo entrati in un’altra dimensione. Il character design scelto da Kaufman e Johnson sembra proseguire su questa ambiguità, coi volti che si discostano di poco dalle fattezze umane. Già, i volti. Solo due: quello del protagonista, Michael, e poi una folla di repliche, di copie. Donne, uomini, anziani e bambini condividono gli stessi tratti somatici: una maschera dalle linee perfette, inquietanti. Kaufman ci trascina senza fretta e con alcuni dialoghi brillanti (la lunga sequenza in taxi) in una prigione emotiva dai contorni kafkiani: Michael è un uomo di successo che vive una disperata solitudine, immerso nella folla e attorniato da una famiglia che soffoca i suoi sentimenti, la sua sessualità. Quindi l’inatteso risveglio, l’incontro con Lisa, con le sue imperfezioni: bruttina stagionata, goffa, diversa – e con l’incisivo finto. Anomalisa elogia la diversità e smaschera i limiti anaffettivi di Michael.

L’animazione di Anomalisa non cerca di nascondere alcune imperfezioni, cifra stilistica dell’opera. Imperfette sono le forme di Michael e Lisa, corpi segnati dal tempo, appesantiti, impacciati nella scena di sesso – corpi impossibili per il cinema mainstream statunitense, così dipendente dalle forme scultoree. Kaufman e Johnson non nascondono le nudità, non usano le ellissi narrative come paraventi. La stessa stop motion di Anomalisa non è fluida, non aspira alla perfezione. Una coerente scorciatoia.

Le tre voci di Jennifer Jason Leigh (Lisa), David Thewlis (Michael) e Tom Noonan (il resto del mondo), la versione a passo uno de L’impareggiabile Godfrey (1936) di Gregory La Cava, Girls Just Want to Have Fun cantata anche in un’inattesa versione italiana e l’utilizzo non banale della Lakmé di Delibes sono pennellate di un minimalismo creativo che non riesce però a riempire i novanta minuti della pellicola, a dare un senso di compiutezza, a non accontentarsi di un meccanismo narrativo alla lunga prevedibile. Ad Anomalisa è mancata forse l’ultima imperfezione: la durata canonica è il passo non compiuto, è la tomba di tanto cinema indie a metà, spesso solo sulla carta.

Anomalisa è un progetto indubbiamente interessante, ma ci lascia un retrogusto di occasione mancata. Forse ci aspettavamo troppo, soprattutto dall’impianto estetico e immaginifico e dalla compattezza narrativa. Bicchiere mezzo pieno, bicchiere mezzo vuoto.
In fin dei conti, non serve andare troppo indietro nel tempo per rintracciare animazione indie statunitense di tutt’altro spessore, come gli inarrivabili It’s Such a Beautiful Day di Don Hertzfeldt e Consuming Spirits di Chris Sullivan – il primo dura sessantadue minuti, il secondo sfora abbondantemente le due ore. Tralasciando le contingenze festivaliere, e i titoli che si possono o non possono raggiungere, l’impressione è che lo sguardo sul cinema d’animazione del ristretto circuito dei festival maggiori sia ancorato a vecchi schemi, legati alla spendibilità dell’autore e all’eventuale (e quindi preziosa) provenienza dal cinema dal vero. Insomma, bene Anomalisa in concorso, ma là fuori c’è davvero molto altro…

Note
1. Nel 2014 ha diretto il film per la televisione How and Why.
Info
Anomalisa sul sito della Mostra del Cinema di Venezia.
La pagina facebook di Anomalisa.
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