The Visit

The Visit

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Il ritorno di M. Night Shyamalan alle timbriche dei primi film con The Visit mostra un regista intelligente, acuto, perfettamente in grado di adattare la propria poetica a un budget ridotto.

La casa di marzapane è in Pennsylvania

Becca, 15 anni, e il suo fratellino Tyler, di 13, vengono mandati in visita dai nonni per una settimana mentre la madre è in crociera con il suo nuovo compagno. Per i ragazzi è la prima volta nella casa in cui loro madre è cresciuta, perché i rapporti tra lei e i suoi genitori si sono deteriorati in maniera irreparabile. Si tratta solo di una settimana, ma gli anziani parenti mostrano ben presto delle stranezze… [sinossi]
In principio era la fiaba.
E vi sarà sempre.
Paul Valéry

Ogni tanto è necessario ripartire dalle origini.
In Tremendous Trifles (1909), G. K. Chesterton scrive: «Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti».
Qualche anno dopo dalla neonata Unione Sovietica gli risponde, con rigore scientifico, Vladimir Jakovlevič Propp: «In un certo reame, in un certo Stato c’era una volta: è in questo modo tranquillo ed epico che comincia la fiaba. La formula in un certo reame indica l’indeterminatezza spaziale del luogo dell’azione. In un certo reame è un topos della fiaba di magia e in un certo senso mette in chiaro che l’azione si compie al di fuori del tempo e dello spazio».

Anche all’origine del cinema di M. Night Shyamalan c’è la fiaba. Già il percorso di maturazione umana e filosofica raccontato in A occhi aperti, racchiude al proprio interno il significato intimo della fiaba, la sua essenza morale, la sua natura di monito prima ancora che di intrattenimento. Il concetto non muta più di tanto anche nelle successive avventure del regista indo-americano, a partire da Signs e The Village fino a Lady in the Water, nel quale organizza l’intera struttura narrativa attorno alle teorie archetipiche sulla fabula. Il superamento di una psicanalisi moderna, chiave interpretativa dei generi messa in atto per alcuni dei titoli più noti (il già citato The Village, ma anche Il sesto senso e il superomistico Unbreakable), a favore del fantasy nudo e crudo, sia ne L’ultimo dominatore dell’aria che nel vagheggiato e mai raggiunto accordo per la direzione del settimo e ultimo capitolo della saga di Harry Potter, non deve dunque stupire. E ancor meno deve sorprendere la scelta di abbandonare i budget a cui Shyamalan è stato spesso abituato per dirigere The Visit. Perché a volte tornare alle origini è salutare.
Torniamo per un attimo alle citazioni di Propp e Chesterton: in The Visit non esiste in un certo reame e Becca e Tyler, i giovani protagonisti della vicenda, non hanno alcuna idea che i draghi possano esistere. In questo senso Shyamalan sovverte due regole ferree della fiaba, ma solo in apparenza… Perché in realtà i veri protagonisti di questa fiaba non sono i due fratelli, ma gli spettatori stessi. Per loro, e solo per loro, i draghi (e le streghe e gli orchi) esistono e la Masonville, in Pennsylvania, che è teatro degli eventi di The Visit è un non-luogo fuori dal tempo e dallo spazio.

In questo senso, in questo slittamento dello sguardo di Shyamalan dai ragazzini in balia di nonni alquanto bizzarri agli spettatori che stanno assistendo allo spettacolo, acquista un valore peculiare la scelta di affidarsi a una delle mode dell’horror contemporaneo: il found footage. Distante anni luce dal gioco sul vero (o meglio, sulla credibilità dell’incredibile) che agita i sogni e gli incubi della maggior parte dei mestieranti che adoperano gli schemi del falso documentario o delle riprese pseudo-amatoriali, Shyamalan sfrutta il marchingegno del film nel film – Tyler vuole girare un documentario sui nonni con la speranza di ricucire lo strappo creatosi tra loro e sua madre – per eliminare una volta per tutte la frattura tra schermo e spettatore.
The Visit non è un film immediato, né semplice. Non lo è forse proprio perché appare da subito troppo semplice. Shyamalan, che ha fatto del colpo di scena una cifra autoriale, lo dichiara qui fin dalle prime battute, pur senza annunciarlo ufficialmente. Lo spettatore abituato a muoversi nei territori dell’horror e del fantastico, quindi, sa già cosa aspettarsi. Sa anche probabilmente non quale ritmo attendere ciò che accadrà: lo hanno educato a questo i precedenti titoli prodotti dalla Blumhouse (tra gli altri Insidious, Sinister, La notte del giudizio), eccezion fatta per l’eretico Le streghe di Salem di Rob Zombie. Shyamalan da principio sta al gioco, costruendo anche delle sequenze in grado di mozzare il fiato come l’inseguimento tra le fondamenta della casa, o la prima notte trascorsa tra rumori e timori.

Ma The Visit non è tutto qui, e non si accontenta di far sobbalzare sulla poltrona il pubblico. Alle spalle della macchina di genere c’è sempre lo sguardo di Shyamalan, il suo percorso autoriale in cui i protagonisti ricercano una felicità, e una stabilità emotiva che il mondo in cui vivono non può garantire loro. Gli affetti sono negati, agli eroi di Shyamalan, sempre recisi in qualcosa dal rapporto col reale: a volte invisibili agli altri, altre ciechi a loro volta.
Anche Becca e Tyler non possono avere un vero rapporto con la realtà: lei non ha neanche il coraggio di guardarsi allo specchio, e lui vive nel ricordo di un momento in cui non ha avuto la forza di agire, di muovere neanche un muscolo. Vivono in una resezione affettiva, quella col padre, e cercano di sublimarla in un tardivo recupero con i nonni. Ma non è possibile uno scambio simile, nel cinema di Shyamalan. E il ricorso all’horror, e alla fiaba (The Visit è un divertito e affascinante incrocio tra Hansel e Gretel, Pollicino e Cappuccetto Rosso), diventa l’arma perfetta per esplicitarlo.
The Visit, tolte le evidenti differenze, sta al cinema di M. Night Shyamalan come Il signore del male, Essi vivono e The Ward stanno a quello di John Carpenter. Messo alle strette, costretto da paletti produttivi a sviluppare una narrazione coerente e appassionante in un unico luogo e senza troppi personaggi, Shyamalan dimostra ciò che significa possedere una poetica senza mai dimenticare il ludus, il gioco eternamente in fieri con lo spettatore. Ne viene fuori un esempio di cinema vivo, vibrante e a suo modo angoscioso, a tratti terrorizzante, sempre lucido. A volte… Sì, a volte è davvero necessario ripartire dalle origini.

Info
Il trailer di The Visit.
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