Mister Felicità

Mister Felicità

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Tra sonore cadute e torte in faccia, Mister Felicità, terza regia per Alessandro Siani, strappa qualche risata, ma trascura un po’ tutto: dalla sceneggiatura ai personaggi, dalla regia al montaggio.

Prendere o lasciare

Giovane napoletano indolente e disilluso, Martino vive in Svizzera mantenuto dalla sorella Caterina. Quando un incidente costringe Caterina all’immobilità, a Martino non resta che lavorare al suo posto come colf del Dottor Guglielmo Gioia, un mental coach specializzato nella pratica del pensiero positivo. Durante un’assenza del Dottor Gioia, Martino ne approfitta per fingersi il suo assistente. Uno dei suoi primi pazienti sarà la famosissima campionessa di pattinaggio Arianna Croft che, dopo una brutta caduta sul ghiaccio, ha perso completamente fiducia in se stessa e amore per il proprio sport… [sinossi]

A volte si critica la sciatteria registica del cinepanettone Filmauro e la si perdona solo in virtù di quell’obbligo – seppur mai prescritto – della produzione annuale volta al consumo mordi e fuggi natalizio. Ma spesso bisogna ammettere che, anche quando per realizzare una commedia “l’autore” di turno impiega due o più anni, il risultato non è affatto migliore. È successo questo Natale con Fuga da Reuma Park, ritorno del trio Aldo, Giovanni e Giacomo a due anni di distanza dal precedente Il ricco, il povero e il maggiordomo e va incontro alla medesima sorte anche l’Alessandro Siani di Mister Felicità. Eppure due anni dovrebbero essere un lasso di tempo sufficiente per confezionare una sceneggiatura (qui firmata dallo stesso Siani con Fabio Bonifacci) che riesca a oliare almeno qualche passaggio da una scena all’altra, preoccupandosi magari anche di tenere a mente il lineare sviluppo di una storia che, sebbene palese (e accettata) scusa per incastonare qualche gag, deve in ogni caso prevedere una direzione. Di fronte a Mister Felicità non basta infatti sospendere quell’incredulità che è parte fondante del piacere spettatoriale di fronte al cinema di finzione, bisogna rinunciare anche a una serie di altre cose, che vanno dalla concatenazione tra le sequenze, al mancato scioglimento del quid della questione o meglio, per essere più chiari, alla progressione verso una risoluzione accettabile del McGuffin a cui le varie gag sono attaccate con così scarso collante.

Tutto trae origine, in questa terza regia (dopo il promettente Il principe abusivo e il disastroso Si accettano miracoli) del comico partenopeo, da un incidente stradale. Martino (Siani), disoccupato mantenuto dalla sorella Caterina (Cristiana Dell’Anna) in una non precisata cittadina svizzera, è in auto al fianco della congiunta quando questa va a impattare contro un veliero e finisce in ospedale. Per racimolare i ventimila euro che serviranno ad evitarle la zoppìa, Martino finisce suo malgrado per ereditare il lavoro della sorella: colf per un sedicente medico-santone (incarnato da Diego Abatantuono) in grado di infondere nei suoi pazienti la felicità. Quando il Dottor Gioia (questo il nome del medico) si assenta per una trasferta a Dubai, Martino coglie l’occasione per prendere il suo posto, andando a motivare un calciatore di serie C che non vuole più giocare, per questioni di debiti legati a partite vendute. Risolta la faccenda e incassati i primi tremila euro (che vengono in effetti consegnati alla sorella), ecco arrivare un nuovo incarico: far tornare in pista una bella pattinatrice Arianna (Elena Cucci), che giace depressa sul divano dopo una brutta caduta in Eurovisione. Tra Martino e Arianna scoppierà, naturalmente, l’amore.

Niente fa più ridere di una sonora caduta, questo Siani lo sa bene e non lesina momenti slapstick nel corso del suo film, torte in faccia incluse. A tratti si ride, come è giusto che sia, basta adattarsi al ritmo lasco delle battute, pallida eredità del non sense disilluso, ma estremamente creativo, del suo maestro dichiarato Massimo Troisi. Fa capolino anche qualche interessante frecciatina ai “mental coach”, pseudo medici per i ricchi depressi, ultimo prodotto di un capitalismo che confonde la merce con la felicità. Non mancano poi quegli elementi fiabeschi, come il veliero o le farfalle svolazzanti, che ancora non si capisce bene se siano un pregio o una debolezza (in fin dei conti rendono il racconto, se possibile, ancora più sfilacciato) del cinema di Siani. Gli elementi classici della farsa plautina ci sono ancora e si offrono placidi alla loro ennesima rielaborazione, tra scambi di persona, bugie, disvelamenti e persino agnizioni. E poi c’è l’immancabile gag sul sushi, croce e delizia della commedia nostrana (l’ultima volta l’avevamo vista in Un paese quasi perfetto di Massimo Gaudioso). Qualche sorpresa poi la riserva complessivamente proprio quel ritmo lasco sopra citato, che sembra agire quasi “in levare” tra rallentamenti ultra prolungati e improvvise accelerazioni, sovvenzionate dai toni strascicati della cadenza partenopea di cui i personaggi fanno ogni tanto sfoggio; oltre alla favella di Siani, il dialetto anima quelle tautologie cantilenanti del boss malavitoso e dei suoi sgherri, perennemente sospesi tra il fare e il non fare una cosa. Probabilmente l’unica idea comica originale del film.

Tra tanti “ritorni” di trovate classiche e più o meno funzionali, scivoloni e farfalle, romanticismo alpestre, schiaffoni e torte in faccia, Siani smarrisce però l’obiettivo di questa storia e così, tristemente, dell’eventuale zoppìa della povera Caterina, così come dei diciassettemila euro ancora mancanti per la sua operazione, non se ne saprà più nulla. Pazienza, bisogna sorvolare su questo punto, altrimenti non ci si diverte nemmeno un po’. Quanto alla location in cui Mister Felicità è ambientato, allo spettatore la trasferta non resta che spiegarsela con ragioni extradiegetiche: Siani e sorella sono trasferiti da Napoli nei pascoli svizzeri perché la Ticino Film Commission ha finanziato il film. Dobbiamo farcene una ragione sin da subito, passiamo oltre. Accanto al mattatore della scena Siani, la bionda Elena Cucci, con la sua dizione scandita, pare uscita dalla soap Centrovetrine, e infatti scopriamo poi che viene proprio da lì, Carla Signoris fa la Signorina Rottenmeier della situazione, Abatantuono il minimo indispensabile. Non a caso anche quell’unica scena in cui i due comici riescono a duettare in scena più a lungo del previsto, viene smorzata troppo presto da un taglio di montaggio. Ma Siani, si dirà, non è certo un virtuoso della regia e nemmeno della direzione attoriale, al massimo se la cava come interprete. La montatrice poi (Valentina Mariani) non deve aver avuto molta possibilità di scelta, visto che in più di un’occasione le sequenze finiscono bruscamente, perché dovevano finire, e il volume della musica improvvisamente si impenna.

Mister Felicità è fatto così, prendere o lasciare. Indubbiamente un paio d’anni sono sufficienti per realizzare una buona commedia, dal ritmo regolare, dai personaggi definiti, dalla narrazione ben direzionata. O forse no, è inutile illudersi, la cadenza biennale è solo un’altra strategia di mercato – proprio come l’annualità del cinepanettone – e il risultato non ha alcuna importanza.

Info
La scheda di Mister Felicità sul sito della 01 Distribution.
Il trailer ufficiale di Mister Felicità.

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