Sognare è vivere
di Natalie Portman
Giunto sugli schermi italiani con due anni di ritardo, Sognare è vivere è per Natalie Portman un esordio non privo di ambizioni, ma gravato da evidenti squilibri narrativi, nonché da un’eccessiva smania di esibire la propria personalità registica.
Il mito e l’oscurità
All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il giovanissimo Amos cresce a Gerusalemme, dopo che i genitori si sono stabiliti in Palestina per sfuggire alle persecuzioni naziste. Agli entusiasmi del padre Arieh, intellettuale idealista, per il neonato stato di Israele, risponde lo scetticismo della madre Fania, perennemente insoddisfatta e portata ad inventare storie fantastiche che rapiscono da subito il ragazzino… [sinossi]
È abbastanza curiosa, la scelta di distribuire un lavoro come Tale of Love and Darkness (qui trasformato in un marzulliano e poco attinente Sognare è vivere) ben due anni dopo la sua presentazione originale a Cannes (dove trovò posto all’interno delle special screenings). Scelta curiosa in quanto parliamo dell’esordio dietro la macchina da presa di un’attrice da ormai oltre un ventennio ben inserita nell’industria hollywoodiana (e non solo), la cui ultima fase di carriera ha portato sui nostri schermi, nel giro di pochi mesi, ben tre film. Dallo straordinario tour de force attoriale di Jackie al mai così controverso ultimo lavoro di Terrence Malick Song to Song, passando per l’incidente di percorso di Planetarium (senza contare l’ancora inedito Jane Got a Gun) la carriera di Natalie Portman sta attraversando una fase particolarmente vivace, oltre che commercialmente fortunata.
Proprio alla luce di ciò, va senz’altro dato atto all’attrice israelo/statunitense di come questo esordio rappresenti una scelta tutt’altro che priva di rischi: a partire dall’ingombrante origine letteraria (un romanzo autobiografico di Amos Oz, tra le più stimate voci della cultura israeliana), passando per la scelta di girare l’intero film in ebraico, per arrivare a un tema (la nascita dello stato di Israele, vista dagli occhi di una famiglia di coloni) da maneggiare con estrema cura.
La cura, ma anche la passione e il coinvolgimento nel tema trattato, emergono da ogni fotogramma di Sognare è vivere, lavoro con cui la Portman sembra ricercare in modo insistito (e invero abbastanza programmatico) una personalità “autoriale” che è forzatamente ancora embrionale. Malgrado la regista/interprete sia presente nel film nel non secondario ruolo della madre del protagonista, questo esordio sembra invitare a più riprese a dimenticare il credito popolare di cui il personaggio gode: lo fa mettendo in campo una regia dalla consistenza spessa, avvolgente, visivamente molto elaborata, che punta con decisione a evidenziare una presenza forte tanto davanti quanto dietro la macchina da presa.
La scelta di narrare il film in un lungo flashback, e di utilizzare l’espediente della voice over dell’autore, favorisce quel registro sognante e affabulatorio (ma sin da subito improntato a un mood piuttosto cupo) che la Portman punta evidentemente a raggiungere. Proprio questa scelta all’insegna del racconto mitico e atemporale, in certa misura indipendente dalle contingenze storiche (pur essendo ad esse, inevitabilmente, legato), va a giustificare la ricercatissima estetica del film, che si estende ben oltre i frequenti débrayage che mettono in scena gli allegorici racconti della donna. Il tutto sembra costantemente sospeso tra la dimensione della narrazione storica, sfondo collettivo della vicenda familiare raccontata, e quello di una costruzione archetipica, favorita dal carattere simbolico dell’impresa (la fondazione di uno stato) e dagli occhi da cui questa viene filtrata (quelli di un ragazzino).
Animato dalla costante esigenza (diremmo quasi dalla smania) da parte dell’attrice/regista di mettere in campo una personalità forte, costellato di scelte visive non sempre giustificate dal contesto narrativo (comunque sempre in grado di colpire l’occhio con efficacia), Sognare è vivere si rivela difettoso soprattutto dal punto di vista della sceneggiatura; malgrado un lavoro di sintesi che dev’essere stato tutt’altro che agevole (la stesura dello script si sarebbe protratta addirittura per otto anni) il film fallisce nel condensare, in un racconto armonico e coerente, l’arco temporale in cui la storia si svolge.
Dopo una prima parte in cui, tra flashback annidati l’uno nell’altro e digressioni allegoriche, la vicenda della famiglia protagonista resta saldamente ancorata alla costruzione dello stato ebraico, il film perde totalmente di vista la dimensione politica e collettiva del racconto, concentrandosi sulla discesa del personaggio della Portman nel buco nero della depressione. Messo tra parentesi lo sfondo della vicenda, accantonato il suo ruolo storico di generatore di eventi, la narrazione fatica a far emergere la materia e la consistenza del malessere del personaggio, lasciandone sfumate le origini e non rendendo in modo ottimale il suo impatto sulla formazione del protagonista. Laddove la sceneggiatura difetta in chiarezza e armonia, la regia tenta di supplire mettendo in campo tutti gli espedienti possibili: da un uso differenziato (e invero non privo di fascino) delle diverse gradazioni cromatiche, a suggellare i vari segmenti del racconto, a un insistito, e spesso gratuito, ricorso al ralenty.
Non privo di ambizioni, e caratterizzato da una buona dose di coraggio per la scelta del soggetto, Sognare è vivere si rivela quindi gravato da evidenti limiti di equilibrio e tenuta narrativa, oltre che da un impianto visivo che finisce spesso per sfiorare (e a volte oltrepassare) i limiti del formalismo.
Al di là dell’infelice scelta del titolo italiano, dobbiamo poi sottolineare purtroppo la cattiva qualità del doppiaggio, che appiattisce oltremodo le voci dei personaggi, spesso sacrificando i rumori d’ambiente e facendo calare un fastidioso alone di posticcio sull’intero film. A risentire di tale limite, soprattutto la prova (in sé piuttosto efficace) del giovane protagonista Amir Tessler, da rivedere in altro contesto (e possibilmente con la sua voce reale).
Info
Il trailer di Sognare è vivere su Youtube.
Il sito ufficiale di Sognare è vivere.
- Genere: biopic, drammatico, storico
- Titolo originale: A Tale of Love and Darkness
- Paese/Anno: Israele, USA | 2015
- Regia: Natalie Portman
- Sceneggiatura: Natalie Portman
- Fotografia: Sławomir Idziak
- Montaggio: Andrew Mondshein, Hervé Schneid
- Interpreti: Agan Omer, Ahmed Saleh, Alexander Peleg, Aliza Ben-Moha, Amir Hinkis, Amir Tessler, Asia Naifeld, Bar Sade, Carmi Strak Harari, Cathy Trifonov, Dana Kotchrovsky, Dima Ross, Dina Doron, Edie Rush, Erez Shavit, Errel Steinmetz, Gera Sandler, Gilad Kahana, Gillian Buick, Hadar Rotem Ratzon, Henri Goldman, Henry David, Igal Reznik, Itzchak Peker, Jana Fridman, Kamila Jarosinska, Lola Cohen, Makram Khoury, Maria Belkin, Moni Moshonov, Mor Cohen, Naama Israeli, Nadezda Tichonova, Natalie Portman, Nathan Cohen, Nehami Druck, Neta Riskin, Noa Raban, Ohad Knoller, Or Shefer, Peter Knoller, Rom Lahmish, Rotem Keinan, Ruth Rasiuk, Salina Daw, Shimon Mendel, Shira Haas, Silvia Drori, Tomer Kapon, Tony Vilkin, Varda Ben Hur, Vladimir Friedman, Vladimir Vorobev, Yehudit Moskowitch, Yizhar Haas, Yonaton Shiray, Yuval Gal, Yuval Garber, Zina Zinchenko, Zvi Salton
- Colonna sonora: Nicholas Britell
- Produzione: Avi Chai Fund, Gesher Fund, Handsomecharlie Films, Israel Film Council, Israel Fund for Film Production, Jerusalem Film and Television Fund, Keshet Broadcasting, Mountaintop Productions, Movie Plus productions, Rabinovich Film Fund Cinema Project, Ram Bergman Productions, Recanati Foundation
- Distribuzione: Altre Storie
- Durata: 95'
- Data di uscita: 08/06/2017
