Maria Maddalena

Maria Maddalena

di

Pallido ed esangue come i suoi protagonisti, Maria Maddalena di Garth Davis non prova nemmeno a infondere alle sue ben note vicende una parvenza di personalità.

Cercasi Gesù

Insofferente alle regole della società gerarchica del suo tempo, Maria di Magdala sfida la sua famiglia per unirsi al carismatico Gesù di Nazareth e ai suoi discepoli. Al loro seguito, intraprenderà un lungo viaggio che la porterà a Gerusalemme… [sinossi]

Un Cristo ieratico e sofferente, una Maria Maddalena adorante, apostoli in sobrie tuniche di lino e i paesaggi del nostro Meridone. Sono questi gli ingredienti principali di Maria Maddalena di Garth Davis, anodina trasposizione evangelica pronta ad raccogliere un pubblico di buona volontà in occasione dell’imminente festività pasquale.
Volto principalmente a restituire alla figura di Maria di Magdala il ruolo di discepola del Cristo nel suo percorso verso la crocefissione, il film di Davis prende apertamente le distanze, come spiegato nella didascalia conclusiva, da quelle interpretazioni, dovute a San Gregorio Magno e accolte tra l’altro da una vasta filmografia, che le attribuivano invece il ruolo di prostituta. Un ottimo punto di partenza dunque, utile a infondere un po’ di sano femminismo in questa storia, peccato che, oltre a dirci che la Maddalena non era una meretrice, il film di Davis non riesca poi a comunicarci chi realmente fosse questa donna, né a infondere al suo personaggio un alito di vita propria.
Lo stesso poi avviene quando il film tenta la rilettura del personaggio di Giuda, raffigurato in parte e giustamente, come colui che ha reso possibile il compimento del destino del Cristo, in parte però anche come un facinoroso ribelle senza né arte né parte. Infine, non tocca qui miglior sorte al povero apostolo Pietro (il Chiwetel Ejiofor di 12 anni schiavo), troppo impegnato a incarnare una sorta di “Moro di Venezia”, roso dalla gelosia per via del favore che la nostra eroina riscuote presso il suo Maestro.

Ma andiamo con ordine. Giovane e operosa donna di Magdala, una comunità di pescatori sita sul lago di Tiberiade, qui “incarnata” dalla location nostrana di San Vito Lo Capo, Maria (Rooney Mara) rifiuta di sposarsi e avere figli come le altre. Come fino a pochi decenni fa accadeva sovente proprio nel Meridione d’Italia, questo ostinato rifiuto di adeguarsi alle regole sociali da parte della donna viene scambiato per possessione demoniaca e, pertanto, la povera Maria si trova suo malgrado vittima di un inatteso esorcismo notturno, orchestrato dal padre e dai fratelli. Persa ogni speranza, i familiari pensano infine di farla visitare da un guaritore che sta raccogliendo proseliti in quei luoghi: Gesù di Nazareth (Joaquin Phoenix). Ma il Nazareno non trova alcun demone nella donna che, sedotta da un suo in realtà poco avvincente sermone, deciderà invece di seguire il Rabbi e i suoi discepoli nel lungo viaggio a piedi verso Gerusalemme, dove, come qualcuno degli adepti crede (Giuda in primis) prenderà possesso del “Regno”, cacciando gli oppressori Romani.

Forse troppo gravato dal peso di dover in qualche modo dire qualcosa di nuovo su una storia già tante volte portata sul grande schermo (la Passione di Cristo è storicamente uno dei primi soggetti narrativi affrontati dalla settima arte), Maria Maddalena procede per inerzia (tanto le sue vicende sono già note), al seguito di personaggi fantasmatici e poco incisivi, privi di chiaroscuri (persino Giuda, in larga parte), dubbi o tentazioni. D’altronde Gesù viene qui colto nel momento in cui ha già ben noto il suo destino e la sorte che gli spetta sembra soprattutto deprimerlo, attutendone ogni incisività, specie dal punto di vista dell’oratoria, che si traduce in sermoni poco coinvolgenti e biascicati, interpretati da uno Joaquin Phoenix un po’ mistico e un po’ delirante. È un Cristo che non desta scandalo quello incarnato da Phoenix in Maria Maddalena, un predicatore senza nerbo, devirilizzato e sussurrante, che anche quando sembra sia finalmente sul punto di far esplodere la sua rabbia contro i mercanti del tempio di Gerusalemme, appare tenuto a freno, fiaccato dall’imminente destino di morte.

Già regista dell’edificante melodramma lacrimevole Lion – La strada verso casa, Garth Davis oscilla in Maria Maddalena tra il già visto e l’inefficace, riscopre le location del nostro Sud (ovviamente c’è anche Matera), riconoscendo da un lato la pregnanza spirituale del pasoliniano Il vangelo secondo Matteo quando mostra paesaggi riarsi e un’umanità immiserita dall’occupazione romana, ricusando poi lo spettacolarismo della La passione di Cristo di Mel Gibson, sottraendo infine il dubbio sulla fede e sul destino che animava L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese. Senza trovare mai una strada che sia davvero la propria, Davis si concentra principalmente su campi lunghi e primi piani, vasti paesaggi e volti, animandosi soltanto nella raffigurazioni di scene di massa, dove si compiace di concentrarsi sulla calca umana (mentre Gesù predica, così come, più tardi, al momento del martirio) e la sua entropia.
Infine, Garth Davis si accorge poi forse troppo tardi – forse solo in fase di montaggio – di aver dedicato troppo tempo alla contemplazione di personaggi e location, delle eleganti tuniche di lino (davvero troppo linde, considerando il lungo viaggio) degli apostoli sbattute dal vento, degli sguardi sgranati e adoranti di Maria nei confronti di un Gesù perennemente assiso in solitudine tra le rocce a meditare. Ecco allora che quando l’azione (ovvero il martirio, la passione) devono irrompere necessariamente sulla scena, il regista taglia corto e accelera i tempi oltremisura. Tutto avviene in poche inquadrature: niente Barabba nè Ponzio Pilato, niente lancia nel costato né spugna con l’aceto, niente “mio Dio, mio Dio” né relativa luce divina dall’alto al momento del trapasso supremo.

Un po’ bigio, ieratico senza raggiungere una vera spiritualità e sostanzialmente privo di idee originali Maria Maddalena si offre dunque meramente come ripasso pre-pasquale con corollario di due divi cari al cinefilo contemporaneo, ma resta un’occasione sprecata se il suo intento era davvero quello di restituire a Maria di Magdala il ruolo che i Vangeli (Matteo e Marco, in particolare, le ascrivono il ruolo di seguace del Cristo) le attribuivano. Non a caso, Davis apre e chiude il suo film lasciando fluttuare la sua protagonista nell’acqua del lago di Tiberiade, un’immagine a scopo meramente estetico che ben esprime il clima di inane, perenne sospensione di cui vive il film.

Info
Il trailer di Maria Maddalena.
La scheda di Maria Maddalena sul sito della Universal.
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-01.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-02.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-03.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-04.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-05.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-06.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-07.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-08.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-09.jpg
  • maria-maddalena-2018-Garth-Davis-10.jpg

Articoli correlati

Array
  • Interviste

    Luigi Di Gianni intervistaIntervista a Luigi Di Gianni

    Possessioni, esorcismi ed esistenzialismo, da esperire e impressionare su pellicola grazie a un'accorta mistura di emozione e razionalità, fede e ateismo. Abbiamo parlato di questi e altri argomenti con il regista e documentarista etnografico Luigi Di Gianni.
  • Roma 2016

    Lion – La strada verso casa

    di Dramma biografico articolato lungo un trentennio, sospeso tra due continenti, Lion soffre di un’estetica da spot pubblicitario, restando didascalico e poco incisivo nella narrazione. Alla Festa del Cinema di Roma.
  • Interviste

    Intervista ad Abel Ferrara

    Il cinema di Abel Ferrara è radicale, sovversivo, spiazzante e lo ha dimostrato ancora una volta con i suoi due film più recenti, Welcome to New York e Pasolini, entrambi del 2014. Ora è al lavoro su un progetto su Padre Pio. Lo abbiamo incontrato a Roma, dove vive stabilmente da due anni.
  • Archivio

    12 anni schiavo Recensione12 anni schiavo

    di Nelle sale e lanciato verso la serata degli Oscar, 12 anni schiavo del regista britannico Steve McQueen è il terzo capitolo di una ideale trilogia sulla libertà dopo Hunger e Shame. Un film importante, doloroso.