La profezia dell’armadillo

La profezia dell’armadillo

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Emanuele Scaringi esordisce alla regia traducendo in immagini in movimento La profezia dell’armadillo, il bestseller a fumetti di Michele Rech, in arte Zerocalcare. Delle tavole disegnate restano l’ironia e la melanconia, ma si perde quasi completamente l’immaginario. In concorso in Orizzonti a Venezia.

Io giuro

Zero vive nel quartiere di Rebibbia, Tiburtina Valley. Terra di mammuth, tute acetate e cuori grandi. Zero è un disegnatore, ma senza un posto fisso si arrabatta tra vari lavoretti. La sua vita scorre sempre uguale ma, una volta tornato a casa, lo aspetta la sua coscienza critica: un armadillo che, con conversazioni al limite del paradossale, lo aggiorna su che cosa accade nel mondo. A tenere compagnia a Zero nelle sue peripezie quotidiane è l’amico Secco. La morte di Camille, compagna di scuola e suo amore adolescenziale mai dichiarato, lo costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua generazione di “tagliati fuori”. [sinossi]

La profezia dell’armadillo, che la Mostra del Cinema di Venezia presenta in concorso nella sezione Orizzonti – dove rappresenta l’Italia insieme a Sulla mia pelle di Alessio Cremonini e Un giorno all’improvviso di Ciro D’Emilio – può apparire a prima vista come un’operazione inedita per la produzione nazionale, per la sua patina pop mescolata alla “sporcizia” metropolitana. In realtà l’esordio alla regia di Emanuele Scaringi ha molti tratti in comune con un film forse già dimenticato, Paz di Renato De Maria. Lì c’erano le tavole di Andrea Pazienza a fungere da archetipo visivo e narrativo, mentre qui ci si basa sul lavoro di Michele Rech, in arte Zerocalcare; lì ci si muoveva tra la generazione del ’77, riottosa e prossima alla dispersione, qui si racconta quella che ancora ricorda le manganellate e le angherie patite a Genova nel 2001 durante le giornate del G8; lì (infine) i personaggi attraversavano bellezze e putritudini della Bologna “grassa, rossa e dotta”, mentre le location de La profezia dell’armadillo si articolano lungo il corpo un po’ agonizzante di Roma, tra il nord snob e benestante e la periferia di Rebibbia, feudo del protagonista Zero e del suo migliore amico. Le similitudini si allargano anche all’idea stessa di trasposizione per il grande schermo: le immagini eversive di Pazienza e le tavole di Zerocalcare vengono riprese in modo ossequioso, forse anche troppo, e in qualche modo depauperate della loro forza primigenia.

Non è certo un’operazione banale, quella condotta da Fandango, e sarebbe troppo semplice snobbarla: in un proscenio artistico nazionale che ha negli autori di graphic novel e di fumetti una delle punte di diamante (a proposito, è doveroso ricordare come Igort abbia pressoché completato il suo esordio alla regia, la trasposizione del suo capolavoro noir partenopeo 5 è il numero perfetto, e come al Lido sia presente anche Gipi con il suo traballante ma interessante Il ragazzo più felice del mondo), è doveroso che il cinema si confronti con un’arte che altrove, dal Giappone agli Stati Uniti fino alla Francia, da sempre dona idee fertili e spunti di partenza.
Da questo punto di vista Zerocalcare sembra la scelta perfetta: autore conclamato non solo in Italia, Michele Rech è un acuto osservatore del proprio microcosmo, ma ha dimostrato di saper allargare la visuale fino a spingersi in zone di guerra, senza però mai perdere la propria peculiare (auto)ironia, e il proprio tratto, così falso da superare le insidie del reale e dimostrarsi compiutamente, perfettamente vero. Ecco, è la realtà il principale nemico del film di Scaringi. La realtà, il peso della materia, la verità di ciò che viene ripreso. Se Zerocalcare ha inserito nel suo mondo immaginario moltissimi elementi della propria formazione culturale, da Yoda ai personaggi Disney, in un mondo cinematografico che impedisce l’utilizzo di copyright altrui è impensabile che questi possano trovare collocazione sullo schermo. Il problema è che senza quei detriti “nerd” viene depotenziato in buona parte lo strapotere immaginifico e il senso di Zerocalcare. La madre di Zero, se non ha le sembianze di Lady Cocca del Robin Hood disneyano, ma quelle ben più ovvie di Laura Morante, perde la stragrande maggioranza del proprio fascino. Non fa ridere, ma soprattutto non costringe il lettore/spettatore a una ricostruzione del reale.

Come film in sé e per sé La profezia dell’armadillo svolge anche bene il proprio compito, tratteggia i personaggi di Zero e Secco – quest’ultimo, interpretato con intelligenza dal figlio d’arte Pietro Castellitto, è il vero mattatore del film – con un apprezzabile affetto e cerca di descrivere lo spaesamento di una generazione precaria. A questo aggiunge il conflitto tra Rebibbia e le zone bene, e sembra muoversi in direzione di alcuni lavori di sceneggiatura di Francesco Bruni, magari senza possederne la verve dialettica ma anche costruendo alcune sequenze interessanti. Resta però l’abnorme problema dell’immaginario, che Scaringi cerca disperatamente di ricostruire senza averne le possibilità – così isolato l’armadillo da cui è travestito Valerio Aprea finisce per muovere più alla pena che alla risata sarcastica – e che rende La profezia dell’armadillo un film monco, mancante di un arto che se non è indispensabile per sopravvivere è però fondamentale per mantenere l’equilibrio.

Info
Il trailer de La profezia dell’armadillo.
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